La riserva di legge nel diritto canonico
Abstract
L’articolo ha esaminato se anche nell’ordinamento canonico si prospetti un istituto analogo alla riserva di legge propria del diritto italiano e ha dimostrato che nella dialettica ecclesiale l’istituto, benché similare, assume connotati peculiari e diversi volti a destinare la disciplina dei rapporti tra i fedeli alla legge per limitare le altre tipologie di intervento normativo a necessità contingenti e assicurare il giusto discernimento agli atti predisposti alla salus animarum.
Indice:
1. La riserva di legge nel diritto italiano
2. La riserva di legge nel diritto canonico
3. La riserva di legge nel diritto tributario e penale canonico
1. La riserva di legge nel diritto italiano
La riserva di legge è inserita nella Costituzione italiana per destinare la disciplina di una determinata materia alla competenza della potestà legislativa escludendo che essa venga regolamentata da fonti di diritto secondarie. La funzione primigenia assolta dall’istituto è quella di evitare che la cura di interessi considerati prioritari per l’ordinamento italiano possa sfuggire alla rappresentanza dell’organo parlamentare e, dunque, a controlli dotati di particolare pervasività. Com’é noto si distinguono diversi tipi di riserva di legge. La riserva può essere: assoluta quando la materia da regolamentare è affidata integralmente alla previsione legislativa; relativa quando i principi generali della norma sono rimessi alla forza della legge ma si attribuisce all'esecutivo la possibilità di precisare le norme di dettaglio; rinforzata se la Costituzione assegna, dal punto di vista formale, la disciplina di una materia in maniera esclusiva alla legge parlamentare; ed infine costituzionale quando la cura di determinati interessi è cautelata dalle restrizioni della procedura aggravata previste per la legge costituzionale.
L’istituto in esame è strettamente connesso al principio di legalità affermatosi con il costituzionalismo liberale in virtù del quale ogni attività dei poteri pubblici è vincolata sia rispetto agli obbiettivi che rispetto alle regole di funzionamento degli organi che la esercitano. In particolare, il disposto dell’articolo 23 della Costituzione recita che «nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge». Corollario di questa norma è la previsione di una riserva in materia tributaria che demanda agli atti legislativi la disciplina degli elementi essenziali del tributo per delegare a fonti secondarie la mera individuazione di aspetti tecnici o di natura procedimentale.
Altra riserva propria dell’ordinamento italiano è quella sancita per l’ambito penale dall’articolo 25 della Costituzione in cui è stabilito che nessuno può essere punito o sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi previsti dalla legge. La riserva così formulata è di tipo assoluto e vieta la punizione di una condotta in assenza di una norma che la configuri come reato. Il divieto trova conferma nell’articolo 1 del codice penale ed involge sia il fatto ricondotto nella fattispecie che la sanzione prevista per la sua punizione.
Sul punto la dottrina è concorde nel ritenere che il rinvio ad altra fonte di carattere legislativo non reca in sé particolari problemi attenzionando con maggiore cura le ipotesi di integrazione demandate agli atti amministrativi per i quali è richiesto che la legge di rinvio riporti il maggior numero di dati identificativi della fattispecie vietandosi ogni prospettiva di delega “in bianco”.
2. La riserva di legge nel diritto canonico
Nella disamina dell’istituto della riserva di legge nel diritto canonico occorre, preliminarmente, osservare che l’istituzione ecclesiale non accoglie la teoria montesquiana della separazione dei poteri ma riconosce, secondo la tradizione romana, un’unica potestà di giurisdizione avente un carattere personale e pieno che appartiene in modo proprio agli organi ecclesiastici di natura capitale e può essere esercitata in maniera vicaria, ordinaria e propria. Nella Chiesa, quindi, non esistono tre poteri distinti ma un’unica potestà di regime articolata in tre diverse funzioni. L’esercizio di tale potestà è un diritto nativo e proprio che attiene alla missione che la Chiesa è chiamata a svolgere mediante gli strumenti ritenuti utili ai suoi fini e per concessione diretta del suo Fondatore.
Le norme di diritto canonico, ai sensi del canone 204, si rivolgono ai fedeli che essendo stati incorporati a Cristo mediante il battesimo, sono costituiti popolo di Dio e perciò, resi partecipi secondo la condizione propria di ciascuno della funzione sacerdotale, profetica e regale che Cristo ha affidato alla Chiesa la quale, a tal fine, si è costituita e si ordina come una società governata dal successore di Pietro e dai Vescovi che sono in comunione con Lui. Poste queste premesse è chiaro che nel diritto canonico l’istituto della riserva di legge assume un significato peculiare. Esso non imputa la disciplina di una materia ad uno specifico centro di potere ma riconduce le relazioni dei fedeli che incidono sul bene comune a formalità che ne assicurino il dovuto discernimento.
Un’attenta analisi delle disposizioni codiciali, evidenzia che la fonte ideal – tipica del diritto canonico è rappresentata dalla legge a cui, implicitamente e per via residuale, è riservata la quasi totalità della disciplina normativa ecclesiale. I canoni relativi alle leggi ecclesiastiche e quelli che ineriscono gli atti giuridici ad essa equiparati, infatti, non hanno un oggetto precostituito diversamente da quanto avviene per gli atti amministrativi singolari i quali, senza essere gerarchicamente catalogati, si differenziano per la specificità di contenuto a cui sono astrattamente ricollegati. In particolare, il decreto è utile alla decisione o provvisione di un caso specifico e diverge dal precetto che impone obblighi o divieti quando non sia finalizzato ad urgere l’osservanza di una legge.
I rescritti concedono, su petizione di parte, privilegi, dispense o grazie mentre le istruzioni, pur non essendo atti amministrativi in senso stretto, precisano la portata e le modalità di applicazione di atti normativi di cui determinano i procedimenti di esecuzione. Fuori dai casi vagliati, gli scopi ritenuti meritevoli di tutela per l’ordinamento canonico sono naturalmente designati alla legge e agli atti normativi ad essa equiparati ed in particolare, ai decreti generali disciplinati dal canone 29 con i quali il legislatore detta disposizioni per una comunità capace di essere destinataria di una precipua normazione. C
hi gode della sola potestà esecutiva, ai sensi del canone 30, non può validamente emanare tali decreti se il potere di normare non gli derivi espressamente dal legislatore competente e non siano state pedissequamente adempiute le condizioni fissate nell’atto di concessione. In questo modo, alla stregua dei decreti legislativi dell’ordinamento italiano, i decreti generali esecutivi si muovono entro le linee guida della legge delega con l’intento di precisarne i limiti e i mezzi che ne garantiscono l’osservanza.
3. La riserva di legge nel diritto tributario e penale canonico
Diversamente che nell’ordinamento italiano, la riserva disposta dai canoni del titolo I del libro V in ambito tributario riguarda l’attribuzione della materia alla competenza esclusiva del Vescovo diocesano.
A tal uopo, il canone 1260 stabilisce che «la Chiesa ha il diritto nativo di richiedere ai fedeli quanto le è necessario per le finalità sue proprie». La disposizione è corroborata dall’obbligo sancito nel canone 222 che impone ai fedeli di sovvenire alle necessità dell’istituzione ecclesiale per assicurarle quanto necessario per il culto divino, le opere di apostolato e di carità e l'onesto sostentamento dei suoi ministri.
Secondo le previsioni del canone 1263 il Vescovo diocesano deve esercitare il suo potere impositivo con l’ausilio del consiglio per gli affari economici e del consiglio presbiterale e indirizzarlo alle persone giuridiche pubbliche soggette al suo governo alle quali potrà richiedersi un moderato tributo proporzionato ai redditi di ciascuna e alle necessità della diocesi. Nei confronti delle rimanenti persone fisiche e giuridiche al Vescovo è consentito imporre un’esazione straordinaria e moderata unicamente nei casi di grave necessità salva diversa disposizione di legge o consuetudinaria. Il potere impositivo è mitigato dall’obbligo di creare, per quanto possibile, una legislazione uniforme su tutto il territorio di un medesimo Stato. Ciò spiega la centralità attribuita dal canone 1262 alla Conferenza episcopale la quale, pur non avendo una specifica competenza legislativa, ha un potere di indirizzo primigenio finalizzato alla necessità di evitare ingiustificate disomogeneità o discriminazioni all’interno di uno stesso distretto.
In tal senso, il ruolo ricoperto dalla Conferenza Episcopale Italiana è stato determinante. Essa, infatti, nel corso del tempo, ha saputo adottare numerose delibere di indirizzo le quali, in virtù del disposto normativo dell’articolo 18 dello statuto che ne disciplina il funzionamento, vincolano incisivamente il Vescovo il quale non può discostarsene se non per motivi gravi che attengono al buon governo della propria diocesi.
Quanto, invece, all’ambito penale, anche nel diritto canonico il principio del nullum crimen sine lege è un pilastro fondativo. Il paragrafo 3 del canone 221, infatti, sancisce che «i fedeli hanno il diritto di non essere colpiti da pene canoniche, se non a norma di legge».
La disposizione è ribadita dal canone 1315 nel quale è statuito che il titolare della potestà legislativa, nei limiti della sua competenza, può munire con leggi proprie di una congrua pena la legge divina o la legge ecclesiastica oppure lasciare la determinazione della stessa alla prudente valutazione del giudice. In questo modo la legge particolare può aggiungere altre pene a quelle stabilite dalla legge universale purché nei casi di gravissima necessità o nell’esigenza di specificare con una pena determinata ed obbligatoria una sanzione sancita in modo indeterminato o facoltativo. Nonostante la sua complessa articolazione, il diritto penale canonico resta la soluzione estrema cui ricorrere quando sia stato disatteso ogni altro rimedio. È per questo che i canoni 18 e 19 ribadiscono come le norme che lo compongono non possano essere oggetto di un’interpretazione estensiva vietandosi ogni ricorso a forme di analogia. Anche in questo caso, tuttavia, i Vescovi diocesani sono obbligati all’uniformità di disciplina territoriale e all’obbligo di conformarsi a disposizioni di indirizzo.
Il canone 1319 colloca il precetto tra le fonti del diritto penale. La dottrina ha ampiamente dibattuto circa la natura di tale fonte giuridica e nello specifico se sia da intendersi come un atto amministrativo vero e proprio o come un atto singolare avente caratteri legislativi.
Indubbiamente, il precetto è una fonte di diritto più agile e rapida rispetto alla legge. La sua funzione non è quella di creare nuovi delitti ma, in maniera analoga al decreto legge del diritto italiano, di rispondere più efficacemente ad esigenze eccezionali. È per questo che esso non può contenere pene espiatorie e perpetue e fa fronte a situazioni limite in cui l’efficacia del sistema penale è condizionata ad un pronto intervento impedito dal tempo necessario alla promulgazione di una legge formale.
I precetti, infatti, pur emanati dopo attenta e profonda ricognizione da parte dell’autorità competente, non si rivolgono alla generalità dei consociati ma, perdurando in maniera limitata nel tempo, si indirizzano ai singoli individui che ne sono destinatari. Alla stessa ottica restrittiva va ricondotto il canone 1399 il quale, a ben guardare, rafforza i vincoli del principio di legalità imponendo il divieto di penalizzare condotte diverse rispetto a quelle già sancite dal codice fatta eccezione che nei casi in cui una legge divina o canonica sia stata violata in maniera a tal punto grave da rendere necessario salvaguardare la comunità ecclesiale prevenendo o riparando uno scandalo.
Appare chiaro che, benché anche nel diritto canonico si configuri un istituto similare alla riserva di legge propria dell’ordinamento italiano, il modo in cui esso si articola nella dialettica ecclesiale lo differenzia per scopo e funzioni. Esso implicitamente destina la disciplina dei rapporti giuridici alle norme di legge per limitare altre tipologie di intervento normativo a necessità contingenti con il fine di dedicare il giusto discernimento agli interessi coinvolti e riportarne la competenza agli organi di capitalità predisposti alla salus animarum.