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La Superficie. Gli orientamenti della dottrina su questioni ed aspetti critici di rilievo.

L’istituto della superficie è disciplinato dall’attuale codice civile negli artt. 952 e seg., e ciò differentemente dal codice precedente in cui, sulla falsa riga della tradizione giuridica latina soprattutto in riferimento al Code Napoléon, non ne veniva fatta menzione, benché ampliamente riconosciuto e disciplinato sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza[1].

Tali norme sanciscono in maniera esplicita la possibilità di derogare al principio dell’accessione per cui superficies solo cedit, in base al quale cioè tutto ciò che insiste sul suolo è incorporato ad esso accrescendo il diritto del proprietario del fondo.

 Nel primo comma dell’art. 952 c.c. è prevista la possibilità per il proprietario del fondo di costituire a favore di altri il diritto di fare e mantenere una costruzione sul fondo, acquistandone così la proprietà.

Nel secondo comma, invece, è prevista la possibilità di alienare la proprietà di una costruzione sul fondo separatamente a quella del fondo stesso.

Tralasciando i dati normativi disciplinanti l’istituto della superficie per i quali non rilevano dubbi relativamente la loro applicazione e le eventuali implicazioni, si analizzerà la normativa relativa all’istituto riguardo a quei punti in cui maggiori sono state, e sono tutt’ora, le incertezze della dottrina circa la loro esatta configurazione nonché il loro coordinamento con gli altri settori normativi del codice.

Innanzitutto, è da mettere subito in rilievo che in dottrina riguardo all’interpretazione dell’art. 952 c.c. è dato registrare orientamenti contrastanti. In particolare, si fa riferimento all’orientamento di Pugliese[2], tradizionale e maggiormente avallato, e quello di Salis[3] che più o meno di recente ha trovato conforto nella giurisprudenza della Corte di Cassazione (sentenza n. 1844/93).

Secondo Pugliese, le due fattispecie previste dall’art. 952 c.c. generano situazioni analoghe, con la sola differenza che in quella di cui al primo comma è previsto inizialmente solo uno ius ad aedificandum, cioè il diritto di superficie in senso stretto, per tramite del quale viene acquisita, dopo la realizzazione della costruzione, la proprietà superficiaria della stessa che in nulla differisce da quella trasferita separatamente di cui al secondo comma. 

Salis, invece, sostiene la teoria secondo la quale l’ipotesi di cui al primo comma dell’art. 952 c.c. è diversa da quella del secondo. Infatti, sostiene l’autore, solamente nel primo comma sarebbe configurabile un vero e proprio diritto di superficie, in cui il terzo acquista prima il diritto di fare e mantenere e poi la proprietà della costruzione, che è di tipo superficiario; nella ipostesi di cui al secondo comma si ha la vendita di una proprietà separata orizzontalmente e distinta dalla proprietà superficiaria.

Tale disputa non è d’interesse esclusivamente teorico viste le diverse e rilevanti conclusione a cui si perviene a seconda che ci si rifaccia all’una ovvero all’altra teoria. Si pensi in tema di estinzione del diritto del superficiario per non uso ventennale ex art. 954 quarto comma, qualora ci sia il perimento della costruzione. Infatti, se si aderisce alla tesi del Pugliese si dovrà ritenere che tale previsione normativa vale sia per il superficiario ex primo comma che per quello del secondo, non essendovi per le due ipotesi alcuna differenza dopo la realizzazione della costruzione e quindi entrambi, una volta perita la costruzione avranno venti anni di tempo per realizzare di nuovo la costruzione ed oltre i quali si vedranno estinguere il loro ius aedificandum; se si avalla invece la tesi del Salis si dovrà riconoscere l’applicazione della prescrizione ventennale soltanto al superficiario di cui al primo comma dell’art. 952, in quanto quello della fattispecie di cui al secondo comma, che per tale teoria, si precisa, superficiario non è, acquisterebbe un diritto di proprietà pieno e quindi imprescrittibile.

Invero la giurisprudenza ritiene, con un orientamento che ricalca sostanzialmente la tesi tradizionale, che l’unica distinzione esistente tra la fattispecie del primo e quella del secondo comma della norma di cui all’art. 952 c.c. è di carattere temporale, nel senso che: nella prima ipotesi il terzo prima acquista il diritto di superficie, che gli consente in deroga al principio dell’accessione di mantenere separate la proprietà del fondo da quella della costruzione, e solo dopo la realizzazione della costruzione la proprietà superficiaria della stessa; nella seconda ipotesi invece, semplicemente diritto di superficie e proprietà superficiaria nascono insieme attraverso la costituzione della superficie da parte del proprietario del suolo.

C’è da precisare inoltre che di recente, con la sopraccitata sentenza n. 1844/93, la Cassazione è arrivata però a stabilire tendendo ad avvicinarsi alla teoria del Salis, che la modalità d’acquisto della proprietà della costruzione avviene in maniera differente a seconda che si faccia riferimento alla fattispecie di cui al primo comma ovvero del secondo comma dell’art. 952 c.c. In particolare, mentre nel primo caso la proprietà viene acquisita a titolo originario, cioè con la realizzazione della costruzione, nella seconda ipotesi l’acquisto della proprietà avviene mediante trasferimento e quindi a titolo derivativo.

Relativamente all’istituto in esame, di notevole rilievo appare poi il legame che intercorre tra la superficie e la disciplina normativa del condominio negli edifici e le relative problematiche.

Una parte della dottrina[4], quella maggioritaria e più recente, ritiene che nel condominio negli edifici sia configurabile un diritto di superficie (Salis); in particolare, i condomini sarebbero titolari di un diritto di superficie sulle singole unità abitative che compongono l’edificio che insiste sul suolo, solitamente, in comproprietà tra gli stessi, cosicché  il singolo condomino è superficiario per la singola abitazione e dominus soli pro quota per il suolo. E tutto questo varrebbe sia per la fattispecie sub primo comma che sub secondo comma art. 952 c.c.

Altra parte della dottrina[5], invece, nega l’esistenza di una proprietà superficiaria per i condomini, i quali sarebbero titolari delle singole unità abitative in virtù di una proprietà divisa per piani orizzontali dell’edificio, quindi come forma di manifestazione della proprietà pro indiviso che i singoli hanno sul suolo. Solamente nell’ipotesi in cui il suolo appartenga soltanto ad un condomino, ovvero ad un terzo, sarebbe configurabile un diritto di superficie dei singoli condomini sulle singole abitazioni.

Sempre nell’ambito del condominio negli edifici, è di notevole interesse anche la problematica della sopraelevazione di cui all’art. 1127 c.c. che riconosce solamente al proprietario dell’ultimo piano ovvero al proprietario esclusivo del lastrico solare, la possibilità di elevare nuove costruzioni, salvo che ciò sia escluso dal titolo. In dottrina ed in giurisprudenza, infatti, riguardo a detta norma, è dato riscontrare tesi contrastanti circa la configurabilità o meno di un diritto di superficie.

Secondo taluni autori[6] il diritto di sopraelevare non è un diritto di superficie autonomo rispetto alla proprietà dell’ultimo piano ovvero del lastrico, bensì sarebbe una facoltà contenuta in detta proprietà riconosciuta ai loro titolari per la particolare e vantaggiosa posizione di cui godono. Quindi non si applicherà mai la norma della prescrizione per non uso ventennale di cui all’art. 954 c.c.

Altra parte della dottrina, invece, ritiene che sarebbe configurabile sempre un diritto di superficie distinto da quello di proprietà, che ex lege viene riconosciuto al proprietario dell’ultimo piano ovvero a quello in via esclusiva del lastrico solare. Quindi, per tale teoria, sarebbe sempre applicabile la previsione del l’ultimo comma dell’art. 954 c.c.

In ultimo, un ulteriore orientamento dottrinale (Salis) ritiene che sia configurabile un autonomo diritto di superficie soltanto per il proprietario esclusivo del lastrico solare, non anche per quello dell’ultimo piano, per il quale la facoltà di sopraelevare non sarebbe altro che espressione del diritto di proprietà che egli vanta sull’unità abitativa posta all’ultimo piano. Alla luce di tali osservazioni, di conseguenza, la norma della prescrizione per non uso ventennale sarà applicabile solamente al primo (proprietario del lastrico), non anche a quello dell’ultimo piano.

E’ ovvio che per coloro che configurano l’esistenza di un diritto di superficie nel condominio negli edifici, la previsione normativa di cui all’art. 1127 c.c. rappresenta un’eccezione alla regola dell’accessione in quanto, in sua assenza, la soprelevazione dovrebbe comportare, per accessione al suolo in comunione, una comproprietà della fabbrica sopraelevata di tutti i condomini.

Altro punto in cui è dato rilevare incertezze e incompatibilità di vedute da parte della dottrina è quello relativo alla problematica di stabilire a chi spetti l’area sovrastante un edificio costruito o trasferito con la costituzione di un diritto di superficie, cioè se tale area spetti al dominus soli ovvero al supreficiario; problematica che implica anche quella circa l’oggetto del diritto di superficie, e in maniera più generale dei diritti reali.

In particolare, secondo una parte della dottrina (Pugliese) l’area sovrastante una costruzione in quanto tale è inidonea a divenire oggetto di proprietà, e questo in quanto i diritti reali possono avere ad oggetto solamente beni materiali (quelli immateriali, se si ritiene possibile, solamente nei casi espressamente previsti dalla legge). In conseguenza a tale ragionamento, si ritiene che l’area non potrà essere di proprietà di nessuno, né del proprietario del suolo, né del superficiario, ma in qualità di utilità spetterebbe soltanto al dominus soli.

Gli argomenti utilizzati per giungere a queste conclusioni fanno leva sulle circostanze che: a) la superficie rappresenta un eccezione alla regola che il proprietario del fondo ha la facoltà di utilizzare l’area sovrastante, quindi è limitata alla sola costruzione la possibilità di utilizzo del superficiario; b) analizzando la normativa speciale sulle funicolari e linee aeree, è dato riscontrare l’esistenza di un obbligo di pagamento a favore del proprietario del suolo.

Altra parte della dottrina, però, nega tale tesi e ritiene che l’utilizzazione dell’area sovrastante la costruzione spetti al superficiario, in quanto ritiene che l’art. 1127 c.c., comunque analizzato, fa intendere che il problema relativo alla elevazione, e quindi della porzione d’area necessaria, riguarda più che la proprietà del suolo quella della costruzione. 

[1] Guarnirei, A., voce Superficie, in Digesto it., Discipline Privatistiche, sez. Civile, vol. XIX, Torino, 1999, pp. 206-207.

[2] Pugliese, La Superficie, in Comm. del cod. civ., a cura di Scajola e Branca., Bologna-Roma, 1976, p. 563 e segg.

[3] Salis, L., La Superficie, in Trattato di dir. Civ. Italiano, diretto da Vassalli, A., Vol. IV, Torino 1958, p. 11 e segg.

[4] Palermo, La Superficie, in Trattato diretto da Rescigno, vol. VIII, 1982, p. 26 e segg.

[5] Branca, Costruzione su area comune, diritto di superficie e diritto di comunione, in Giust. Civ., 1969, I, p. 72 e segg.

[6] Bianca, C. M., Diritto Civile, La proprietà, Vol. VI, Milano, 1999. 

L’istituto della superficie è disciplinato dall’attuale codice civile negli artt. 952 e seg., e ciò differentemente dal codice precedente in cui, sulla falsa riga della tradizione giuridica latina soprattutto in riferimento al Code Napoléon, non ne veniva fatta menzione, benché ampliamente riconosciuto e disciplinato sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza[1].

Tali norme sanciscono in maniera esplicita la possibilità di derogare al principio dell’accessione per cui superficies solo cedit, in base al quale cioè tutto ciò che insiste sul suolo è incorporato ad esso accrescendo il diritto del proprietario del fondo.

 Nel primo comma dell’art. 952 c.c. è prevista la possibilità per il proprietario del fondo di costituire a favore di altri il diritto di fare e mantenere una costruzione sul fondo, acquistandone così la proprietà.

Nel secondo comma, invece, è prevista la possibilità di alienare la proprietà di una costruzione sul fondo separatamente a quella del fondo stesso.

Tralasciando i dati normativi disciplinanti l’istituto della superficie per i quali non rilevano dubbi relativamente la loro applicazione e le eventuali implicazioni, si analizzerà la normativa relativa all’istituto riguardo a quei punti in cui maggiori sono state, e sono tutt’ora, le incertezze della dottrina circa la loro esatta configurazione nonché il loro coordinamento con gli altri settori normativi del codice.

Innanzitutto, è da mettere subito in rilievo che in dottrina riguardo all’interpretazione dell’art. 952 c.c. è dato registrare orientamenti contrastanti. In particolare, si fa riferimento all’orientamento di Pugliese[2], tradizionale e maggiormente avallato, e quello di Salis[3] che più o meno di recente ha trovato conforto nella giurisprudenza della Corte di Cassazione (sentenza n. 1844/93).

Secondo Pugliese, le due fattispecie previste dall’art. 952 c.c. generano situazioni analoghe, con la sola differenza che in quella di cui al primo comma è previsto inizialmente solo uno ius ad aedificandum, cioè il diritto di superficie in senso stretto, per tramite del quale viene acquisita, dopo la realizzazione della costruzione, la proprietà superficiaria della stessa che in nulla differisce da quella trasferita separatamente di cui al secondo comma. 

Salis, invece, sostiene la teoria secondo la quale l’ipotesi di cui al primo comma dell’art. 952 c.c. è diversa da quella del secondo. Infatti, sostiene l’autore, solamente nel primo comma sarebbe configurabile un vero e proprio diritto di superficie, in cui il terzo acquista prima il diritto di fare e mantenere e poi la proprietà della costruzione, che è di tipo superficiario; nella ipostesi di cui al secondo comma si ha la vendita di una proprietà separata orizzontalmente e distinta dalla proprietà superficiaria.

Tale disputa non è d’interesse esclusivamente teorico viste le diverse e rilevanti conclusione a cui si perviene a seconda che ci si rifaccia all’una ovvero all’altra teoria. Si pensi in tema di estinzione del diritto del superficiario per non uso ventennale ex art. 954 quarto comma, qualora ci sia il perimento della costruzione. Infatti, se si aderisce alla tesi del Pugliese si dovrà ritenere che tale previsione normativa vale sia per il superficiario ex primo comma che per quello del secondo, non essendovi per le due ipotesi alcuna differenza dopo la realizzazione della costruzione e quindi entrambi, una volta perita la costruzione avranno venti anni di tempo per realizzare di nuovo la costruzione ed oltre i quali si vedranno estinguere il loro ius aedificandum; se si avalla invece la tesi del Salis si dovrà riconoscere l’applicazione della prescrizione ventennale soltanto al superficiario di cui al primo comma dell’art. 952, in quanto quello della fattispecie di cui al secondo comma, che per tale teoria, si precisa, superficiario non è, acquisterebbe un diritto di proprietà pieno e quindi imprescrittibile.

Invero la giurisprudenza ritiene, con un orientamento che ricalca sostanzialmente la tesi tradizionale, che l’unica distinzione esistente tra la fattispecie del primo e quella del secondo comma della norma di cui all’art. 952 c.c. è di carattere temporale, nel senso che: nella prima ipotesi il terzo prima acquista il diritto di superficie, che gli consente in deroga al principio dell’accessione di mantenere separate la proprietà del fondo da quella della costruzione, e solo dopo la realizzazione della costruzione la proprietà superficiaria della stessa; nella seconda ipotesi invece, semplicemente diritto di superficie e proprietà superficiaria nascono insieme attraverso la costituzione della superficie da parte del proprietario del suolo.

C’è da precisare inoltre che di recente, con la sopraccitata sentenza n. 1844/93, la Cassazione è arrivata però a stabilire tendendo ad avvicinarsi alla teoria del Salis, che la modalità d’acquisto della proprietà della costruzione avviene in maniera differente a seconda che si faccia riferimento alla fattispecie di cui al primo comma ovvero del secondo comma dell’art. 952 c.c. In particolare, mentre nel primo caso la proprietà viene acquisita a titolo originario, cioè con la realizzazione della costruzione, nella seconda ipotesi l’acquisto della proprietà avviene mediante trasferimento e quindi a titolo derivativo.

Relativamente all’istituto in esame, di notevole rilievo appare poi il legame che intercorre tra la superficie e la disciplina normativa del condominio negli edifici e le relative problematiche.

Una parte della dottrina[4], quella maggioritaria e più recente, ritiene che nel condominio negli edifici sia configurabile un diritto di superficie (Salis); in particolare, i condomini sarebbero titolari di un diritto di superficie sulle singole unità abitative che compongono l’edificio che insiste sul suolo, solitamente, in comproprietà tra gli stessi, cosicché  il singolo condomino è superficiario per la singola abitazione e dominus soli pro quota per il suolo. E tutto questo varrebbe sia per la fattispecie sub primo comma che sub secondo comma art. 952 c.c.

Altra parte della dottrina[5], invece, nega l’esistenza di una proprietà superficiaria per i condomini, i quali sarebbero titolari delle singole unità abitative in virtù di una proprietà divisa per piani orizzontali dell’edificio, quindi come forma di manifestazione della proprietà pro indiviso che i singoli hanno sul suolo. Solamente nell’ipotesi in cui il suolo appartenga soltanto ad un condomino, ovvero ad un terzo, sarebbe configurabile un diritto di superficie dei singoli condomini sulle singole abitazioni.

Sempre nell’ambito del condominio negli edifici, è di notevole interesse anche la problematica della sopraelevazione di cui all’art. 1127 c.c. che riconosce solamente al proprietario dell’ultimo piano ovvero al proprietario esclusivo del lastrico solare, la possibilità di elevare nuove costruzioni, salvo che ciò sia escluso dal titolo. In dottrina ed in giurisprudenza, infatti, riguardo a detta norma, è dato riscontrare tesi contrastanti circa la configurabilità o meno di un diritto di superficie.

Secondo taluni autori[6] il diritto di sopraelevare non è un diritto di superficie autonomo rispetto alla proprietà dell’ultimo piano ovvero del lastrico, bensì sarebbe una facoltà contenuta in detta proprietà riconosciuta ai loro titolari per la particolare e vantaggiosa posizione di cui godono. Quindi non si applicherà mai la norma della prescrizione per non uso ventennale di cui all’art. 954 c.c.

Altra parte della dottrina, invece, ritiene che sarebbe configurabile sempre un diritto di superficie distinto da quello di proprietà, che ex lege viene riconosciuto al proprietario dell’ultimo piano ovvero a quello in via esclusiva del lastrico solare. Quindi, per tale teoria, sarebbe sempre applicabile la previsione del l’ultimo comma dell’art. 954 c.c.

In ultimo, un ulteriore orientamento dottrinale (Salis) ritiene che sia configurabile un autonomo diritto di superficie soltanto per il proprietario esclusivo del lastrico solare, non anche per quello dell’ultimo piano, per il quale la facoltà di sopraelevare non sarebbe altro che espressione del diritto di proprietà che egli vanta sull’unità abitativa posta all’ultimo piano. Alla luce di tali osservazioni, di conseguenza, la norma della prescrizione per non uso ventennale sarà applicabile solamente al primo (proprietario del lastrico), non anche a quello dell’ultimo piano.

E’ ovvio che per coloro che configurano l’esistenza di un diritto di superficie nel condominio negli edifici, la previsione normativa di cui all’art. 1127 c.c. rappresenta un’eccezione alla regola dell’accessione in quanto, in sua assenza, la soprelevazione dovrebbe comportare, per accessione al suolo in comunione, una comproprietà della fabbrica sopraelevata di tutti i condomini.

Altro punto in cui è dato rilevare incertezze e incompatibilità di vedute da parte della dottrina è quello relativo alla problematica di stabilire a chi spetti l’area sovrastante un edificio costruito o trasferito con la costituzione di un diritto di superficie, cioè se tale area spetti al dominus soli ovvero al supreficiario; problematica che implica anche quella circa l’oggetto del diritto di superficie, e in maniera più generale dei diritti reali.

In particolare, secondo una parte della dottrina (Pugliese) l’area sovrastante una costruzione in quanto tale è inidonea a divenire oggetto di proprietà, e questo in quanto i diritti reali possono avere ad oggetto solamente beni materiali (quelli immateriali, se si ritiene possibile, solamente nei casi espressamente previsti dalla legge). In conseguenza a tale ragionamento, si ritiene che l’area non potrà essere di proprietà di nessuno, né del proprietario del suolo, né del superficiario, ma in qualità di utilità spetterebbe soltanto al dominus soli.

Gli argomenti utilizzati per giungere a queste conclusioni fanno leva sulle circostanze che: a) la superficie rappresenta un eccezione alla regola che il proprietario del fondo ha la facoltà di utilizzare l’area sovrastante, quindi è limitata alla sola costruzione la possibilità di utilizzo del superficiario; b) analizzando la normativa speciale sulle funicolari e linee aeree, è dato riscontrare l’esistenza di un obbligo di pagamento a favore del proprietario del suolo.

Altra parte della dottrina, però, nega tale tesi e ritiene che l’utilizzazione dell’area sovrastante la costruzione spetti al superficiario, in quanto ritiene che l’art. 1127 c.c., comunque analizzato, fa intendere che il problema relativo alla elevazione, e quindi della porzione d’area necessaria, riguarda più che la proprietà del suolo quella della costruzione. 

[1] Guarnirei, A., voce Superficie, in Digesto it., Discipline Privatistiche, sez. Civile, vol. XIX, Torino, 1999, pp. 206-207.

[2] Pugliese, La Superficie, in Comm. del cod. civ., a cura di Scajola e Branca., Bologna-Roma, 1976, p. 563 e segg.

[3] Salis, L., La Superficie, in Trattato di dir. Civ. Italiano, diretto da Vassalli, A., Vol. IV, Torino 1958, p. 11 e segg.

[4] Palermo, La Superficie, in Trattato diretto da Rescigno, vol. VIII, 1982, p. 26 e segg.

[5] Branca, Costruzione su area comune, diritto di superficie e diritto di comunione, in Giust. Civ., 1969, I, p. 72 e segg.

[6] Bianca, C. M., Diritto Civile, La proprietà, Vol. VI, Milano, 1999.