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La tassa regionale per il diritto allo studio universitario

Analisi della disciplina e profili applicativi
Tassa regionale
Tassa regionale

La tassa regionale per il diritto allo studio universitario costituisce un tributo autonomo, proprio delle regioni e delle province autonome, istituito per la prima volta, nell’ambito della manovra di finanza pubblica per l’anno 1996, dall’articolo 3 commi 20-23 della legge 28 dicembre 1995 n. 549 (“Misure di razionalizzazione della finanza pubblica”)[1].

In un quadro normativo complessivamente ispirato a principi di razionalizzazione, semplificazione e omogeneizzazione della disciplina tributaria volta a garantire la concreta realizzazione del diritto agli studi universitari, tutelato dall’articolo 34 della Carta costituzionale[2] e dalla legge 2 dicembre 1991 n. 390[3], la normativa recata dalla legge n. 549/1995 (al precedente comma 19 dell’articolo 3) decretava l’abolizione, a decorrere dall’anno accademico 1996/1997, di due tributi previsti dalla disciplina sino allora vigente (il contributo suppletivo stabilito dall’articolo 4 della legge 18 dicembre 1951 n. 1551 a carico degli studenti appartenenti a famiglie con maggiore capacità reddituale e la quota di compartecipazione del 20 per cento degli introiti derivanti dalle tasse di iscrizione prevista dall’articolo 5 comma 15 della legge 24 dicembre 1993 n. 537), con la contestuale istituzione in via sostitutiva, con la medesima decorrenza, della nuova tassa regionale.

La normativa nazionale dichiarava esplicitamente, sin dall’origine, l’esigenza fondamentale alla soddisfazione della quale il nuovo tributo veniva finalizzato, ovvero (comma 20) la necessità di “incrementare le disponibilità finanziarie delle regioni finalizzate all’erogazione di borse di studio e di prestiti d’onore agli studenti universitari capaci e meritevoli e privi di mezzi, nel rispetto del principio di solidarietà tra le famiglie a reddito più elevato e quelle a reddito basso […]”, con coerente integrale devoluzione del gettito della tassa “[…] alla erogazione delle borse di studio e dei prestiti d’onore di cui alla legge 2 dicembre 1991 n. 390” (comma 23).

Le nuove previsioni legislative si preoccupavano inoltre di tratteggiare (in modo peraltro non del tutto scevro da profili di incertezza, come si chiarirà infra) l’ambito oggettivo di applicazione della tassa, il cui versamento veniva previsto in relazione alla “[…] iscrizione ai corsi di studio delle università statali e legalmente riconosciute, degli istituti universitari e degli istituti superiori di grado universitario che rilasciano titoli di studio aventi valore legale […]”, disponendo che le università e gli altri istituti accettassero le immatricolazioni e le iscrizioni ai corsi previa verifica del regolare versamento del tributo in favore della regione, o provincia autonoma, nella quale l’ateneo o l’istituto abbiano stabilita la propria sede legale (comma 20).

Il provvedimento che in questa sede si esamina si inseriva perfettamente in una cornice costituzionale e in un assetto normativo che demandava alle regioni (e alle province autonome), sotto l’indirizzo, il coordinamento e la programmazione degli interventi, di stretta pertinenza statale, la concreta attivazione delle misure volte a rimuovere, in adesione all’articolo 3 della Costituzione, gli ostacoli di ordine economico e sociale ai fini di una positiva realizzazione del diritto agli studi universitari; compete infatti alle autonomie regionali, sia ai sensi della legge n. 390/1991 sia ai sensi della successiva legislazione che a questa si è poi sostituita (il riferimento è al decreto legislativo 29 marzo 2012 n. 68[4], che in attuazione della legge fondamentale di riforma universitaria 30 dicembre 2010 n. 240 – c.d. legge Gelmini – ha proceduto a una revisione della normativa generale in materia di diritto allo studio), l’istituzione e l’erogazione in favore degli studenti degli atenei delle provvidenze (borse di studio e prestiti d’onore) che costituiscono le principali misure di sostegno al diritto allo studio universitario, costituzionalmente protetto.

Coerentemente a tale assetto istituzionale, il comma 21 dell’articolo 3 in commento, nella sua stesura originaria, lasciava all’autonoma determinazione di regioni e province autonome (unicamente) la previsione dell’importo della tassa a partire dalla misura minima di lire 120.000 ed entro il limite massimo di lire 200.000, disponendo che, in difetto di normazione da parte di ciascuna regione o provincia autonoma, l’importo della tassa fosse dovuto nella misura minima.

Nel tentativo di calibrare con maggiore precisione l’entità del tributo in un contesto normativo-costituzionale profondamente innovato dalla riforma del Titolo V della Costituzione operata nel 2001, che nel nuovo articolo 117[5] enuclea il concetto di “livello essenziale della prestazione” (LEP) in ordine alla garanzia dei diritti civili e sociali da assicurare in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, il comma 21 veniva successivamente sostituito (con efficacia dall’anno accademico 2012/2013) dall’articolo 18 comma 8 del decreto legislativo n. 68/2012[6], con la previsione che le regioni e le province autonome rideterminino l’importo della tassa articolandolo su tre fasce: la misura minima della fascia più bassa veniva fissata in euro 120,00, con applicazione nei confronti di coloro che presentino una condizione economica non superiore al livello minimo dell’indicatore di situazione economica equivalente corrispondente ai requisiti di eleggibilità per l’accesso ai LEP del diritto allo studio, mentre i restanti valori della tassa minima, stabiliti in euro 140,00 e in euro 160,00, ricevono applicazione nei confronti di coloro che presentino un indicatore di situazione economica equivalente superiore, rispettivamente, al livello minimo e al doppio del livello minimo previsto dai requisiti di eleggibilità per l’accesso ai LEP del diritto allo studio.

Il livello massimo della tassa è, in ogni caso, fissato nell’importo di euro 200,00.

Si delinea, dunque, un sistema normativo-istituzionale di compiuta e chiara coerenza con le disposizioni di rango costituzionale, nel quale la legge dello Stato stabilisce la natura, la finalità, la destinazione e la disciplina di principio della tassa (ivi compreso il suo ambito di applicazione, oggettivo e soggettivo), mentre è demandata alla legislazione regionale unicamente l’individuazione concreta della misura del contributo, nel rispetto dei valori minimi e massimi già fissati dalla normativa nazionale in modo uniforme, al fine di non determinare la possibilità di insorgenza di situazioni di eccessivo squilibrio tra le diverse realtà territoriali; tutto questo non senza, peraltro, la previsione di un ruolo sostitutivo di chiusura da parte della legge dello Stato, in quanto lo stesso comma 21 conclude statuendo che, in difetto di fissazione da parte delle regioni dell’importo della tassa per ciascuna fascia entro il 30 giugno di ogni anno, la misura della tassa medesima è individuata in euro 140,00.

Un profilo di particolare interesse nella materia in disamina, non scevro da aspetti di concreta criticità, attiene alla questione dell’ambito oggettivo di applicazione della tassa regionale per il diritto allo studio universitario; in altri e più chiari termini, si rende necessario fornire una risposta alla domanda: per la frequenza di quali corsi di studio universitari il pagamento della tassa è dovuto?

Il quesito non è affatto ozioso, né tanto meno connotato da caratteri di astrattezza e scolasticità, sol se si consideri che, a partire dalla normativa di riforma degli ordinamenti didattici universitari, contenuta nella legge 19 novembre 1990 n. 341[7], e ancor più dopo le innovazioni radicali in materia di autonomia didattica degli atenei introdotte nell’anno 1999 dal decreto ministeriale n. 509[8], che ha istituito l’articolazione dell’istruzione universitaria su più livelli (c.d. 3+2), con successiva modifica ad opera del decreto ministeriale n. 270/2004[9], le singole istituzioni universitarie hanno nei propri regolamenti didattici moltiplicato in maniera significativa il novero delle attività formative offerte all’utenza di riferimento, che, accanto ai corsi di studio tradizionali (laurea e laurea magistrale o, prima, specialistica), comprendono ormai non soltanto la didattica c.d. di terzo livello (corsi di specializzazione e corsi di dottorato di ricerca), ma anche un nugolo di attività formative complementari o di corredo, che hanno assunto le denominazioni più svariate in conformità agli obiettivi didattici cui tendono, quali, a titolo di esempio, i corsi di perfezionamento scientifico, i corsi di formazione permanente e continua, i corsi di aggiornamento, i corsi di eccellenza, i corsi di alta formazione  alla conclusione dei quali sono rilasciati i master universitari di primo e di secondo livello, e altri ancora (cfr. il vigente articolo 3 del citato d.m. n. 270/2004[10]).

È di tutta evidenza, dunque, la rilevanza, anche in termini di ausilio alla prassi operativa, della questione connessa all’individuazione dei corsi universitari cui collegare la doverosità del pagamento della tassa regionale per il diritto allo studio, in quanto risposte differenti a tale istanza possono ampliare considerevolmente oppure, al contrario, contenere significativamente l’ambito oggettivo di applicazione del tributo.

V’è subito da dire che, nel silenzio serbato dalla (scarna) normativa nazionale di riferimento, l’analisi, sullo specifico punto, della disciplina adottata dalle diverse realtà regionali (sulla quale si veda infra) non contribuisce affatto a dissipare le perplessità che possono originarsi, dal momento che le soluzioni adottate differiscono anche in modo sostanziale da regione a regione; v’è anche da dire che, accedendo alla linea interpretativa sinora proposta, tale per cui l’ambito oggettivo di applicazione della tassa non dovrebbe costituire oggetto di intervento da parte del legislatore regionale, in quanto riservato alla legge statale, una differenza di concreta disciplina da parte delle autonomie territoriali potrebbe costituire un’oggettiva stortura, dal momento che tale differente trattamento costituisce la spia di un (indebito) ruolo di supplenza svolto dalle regioni di fronte al silenzio del legislatore statale, in qualche modo esondando dall’alveo delle proprie competenze.

Le singole realtà regionali, in altri termini, hanno tentato, in un apprezzabile sforzo volto al riempimento di una lacuna della legge statale, di superare un’oggettiva incertezza determinata dalla normativa nazionale contenuta nella legge n. 549/1995 (la quale non si preoccupa di specificare in modo puntuale l’ambito oggettivo di applicazione della tassa neoistituita), senza tuttavia avvedersi (se la chiave di lettura fornita con il presente contributo è da ritenersi corretta) che in questo modo non si limitavano a normare profili riservati alla propria competenza (determinando l’importo della tassa per ciascuna delle tre fasce individuate dalla legge), ma in un certo senso invadevano un ambito di stretta pertinenza del legislatore nazionale, che soltanto un ulteriore intervento di quest’ultimo avrebbe potuto contribuire a specificare e puntualizzare, anche e soprattutto nell’ottica di garantire su tutto il territorio nazionale condizioni uniformi e non sperequate di applicazione del tributo: circostanza, questa, che l’esame delle diverse scelte effettuate dalla regioni purtroppo non può che (in una lettura in negativo) confermare.

Analizzando in prima battuta l’esperienza delle Marche, si osserva ad esempio che la l.r. 2 settembre 1996 n. 38 (“Riordino in materia di diritto allo studio universitario”), adottata immediatamente a ridosso dell’emanazione della nuova disciplina nazionale, all’articolo 38[11] (rubricato “Oggetto della tassa”), stabiliva che: “1. La tassa regionale per il diritto allo studio universitario, prevista dall’articolo 3 comma 20 della legge 28 dicembre 1995 n. 549, è dovuta per l’iscrizione ai corsi di studio delle università statali e legalmente riconosciute, degli istituti universitari e degli istituti superiori di grado universitario che rilasciano titoli di studio aventi valore legale. 2. I corsi di studio delle università comprendono i corsi di diploma universitario, di diploma di laurea, di diploma di specializzazione […]”.

Il legislatore regionale, quindi, nell’ordinamento accademico antecedente il d.m. 3 novembre 1999 n. 509 (“Regolamento recante norme concernenti l’autonomia didattica degli atenei”, adottato ai sensi dell’articolo 17 comma 95 della legge 15 maggio 1997 n. 127), procedeva a un’elencazione puntuale e tassativa dei corsi di studio delle università espressamente gravati della tassa regionale per il diritto allo studio, individuati esaustivamente nel comma 2 della disposizione di riferimento sopra riportata.

Tale elencazione (che aveva, quantomeno, il pregio della chiarezza a vantaggio dell’interprete e dell’operatore) è stata, viceversa, espunta nella successiva legge regionale 20 febbraio 2017 n. 4[12] (“Disposizioni regionali in materia di diritto allo studio”), che abroga la disciplina precedente e che, all’articolo 17 (“Tassa regionale per il diritto allo studio”), si limita a stabilire che: “1. La tassa regionale per il diritto allo studio, prevista dall’articolo 3 comma 20 della legge 28 dicembre 1995 n. 549 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), si applica a tutti gli studenti per l’iscrizione ai corsi di studio delle università statali e legalmente riconosciute, degli istituti universitari e degli istituti superiori di grado universitario che rilasciano titoli di studio aventi valore legale, degli AFAM, degli ITS aderenti e dell’ISIA. La tassa è dovuta altresì in caso di trasferimento da università aventi sede legale in altre regioni. […]”.

L’estrema varietà delle soluzioni prescelte è confermata anche dal raffronto con altre leggi regionali, come la tabella che segue mostra adeguatamente, seppure in via non esaustiva:

Regione

Fonte normativa regionale

Corsi di studio individuati ai fini del versamento della tassa

Lombardia

articolo 8 della l.r. n. 33/2004 (“Norme sugli interventi regionali per il diritto allo studio universitario”)

 

- laurea

- laurea specialistica

- dottorato di ricerca

- diploma di specializzazione, con esclusione dell’area medica

 

Piemonte

 

articolo 1 della l.r. n. 53/1996 (“Tassa regionale per il diritto allo studio universitario e per l’abilitazione all’esercizio professionale”)

 

- diploma universitario

- laurea

- scuola diretta a fini speciali

Toscana

articolo 2 della l.r. n. 4/2005 (“Disciplina della tassa regionale per il diritto allo studio universitario e tassa di abilitazione”)

- laurea

- dottorato di ricerca

- diploma di specializzazione, con esclusione dell’area medica

Umbria

 

articolo 1 della l.r. n. 29/1996 (“Disciplina della tassa regionale per il diritto allo studio universitario”)

 

 

- diploma universitario

- laurea

 

Sicilia

 

articolo 26 della l.r. n. 20/2002 (“Interventi per l’attuazione del diritto allo studio universitario in Sicilia”)

 

 

- diploma universitario

- laurea

- scuola diretta a fini speciali

- diploma di specializzazione

- dottorato di ricerca

 

 

Molte altre regioni (Emilia-Romagna, Lazio, Abruzzo, Campania, Puglia e Calabria tra le altre) si sono invece limitate, nell’esercizio della propria potestà legislativa, a richiamare pedissequamente l’espressione contenuta nel comma 20 dell’articolo 3 della legge n. 549/1995 (iscrizione ai corsi di studio delle università statali e legalmente riconosciute, degli istituti universitari e degli istituti superiori di grado universitario che rilasciano titoli di studio aventi valore legale), non contribuendo in tal modo a chiarificare il quadro di riferimento, ma d’altra parte rimanendo correttamente (stando all’opinione di chi scrive) nell’ambito oggettivo riservato alla legislazione regionale. 

Sul punto pare necessario sviluppare una breve riflessione, anche al fine di poter pervenire a una soddisfacente linea interpretativa e applicativa della disciplina in questione.

Il testo della legge nazionale, invero, espressamente faceva e fa tuttora riferimento alla previsione dell’onere tributario avendo riguardo esclusivamente al profilo soggettivo dell’ente di formazione superiore (“per l’iscrizione ai corsi di studio delle università statali e legalmente riconosciute, degli istituti universitari e degli istituti superiori di grado universitario che rilasciano titoli di studio aventi valore legale”), senza, come già anticipato, fornire tuttavia alcuna esplicita indicazione in merito al profilo oggettivo, ossia alla tipologia dei corsi di studio per la frequenza dei quali il pagamento della tassa è doveroso.

Questa conclusione, indiscutibile dal punto di vista letterale, potrebbe peraltro essere superata attraverso un’operazione ermeneutica oggettivamente controvertibile, ma che si ritiene presenti diversi aspetti meritevoli di considerazione, ovvero mediante l’incrocio e il connubio tra il dato soggettivo e quello oggettivo recati dalla legge; detto in termini più chiari, il riferimento (di carattere squisitamente soggettivo) agli enti e agli istituti che rilasciano titoli di studio aventi valore legale potrebbe essere letto come indice dell’intenzione del legislatore statale di configurare come dovuto il pagamento del tributo unicamente con riferimento a quei corsi di studio al termine dei quali si consegue un titolo avente, per l’appunto, un valore legale (e qui si ricade su un aspetto, invece, di natura oggettiva).

Il non trascurabile pregio di una lettura di tal segno consisterebbe nell’ancorare la debenza della tassa a un elemento di carattere oggettivo e, soprattutto, previsto e disciplinato in modo ormai consolidato a livello di normazione statale: la legge 19 novembre 1990 n. 341 (“Riforma degli ordinamenti didattici universitari”), infatti, all’articolo 1 (“Titoli universitari”) stabilisce in modo esaustivo i titoli rilasciati dalle istituzioni universitarie (diploma universitario, diploma di laurea, diploma di specializzazione e dottorato di ricerca); mentre, successivamente al processo di riforma degli ordinamenti didattici consacrato dal già citato d.m. n. 509/1999 e dal più recente d.m. 22 ottobre 2004 n. 270 (“Modifiche al regolamento recante norme concernenti l’autonomia didattica degli atenei, approvato con decreto del Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica 3 novembre 1999 n. 509”), l’articolo 3 di quest’ultimo decreto prevede che i titoli (aventi pertanto valore legale) rilasciati dagli atenei sono (solo) la laurea, la laurea magistrale, il diploma di specializzazione e il dottorato di ricerca.

È evidente che, accedendo alla chiave di lettura appena esposta, la tassa regionale per il diritto allo studio universitario risulterebbe dovuta esclusivamente per la partecipazione a corsi di studio al termine dei quali si consegue un titolo avente valore legale, ovvero ai corsi di laurea, ai corsi di laurea magistrale, ai corsi di specializzazione e ai corsi di dottorato di ricerca; mentre, viceversa, il tributo in esame non dovrebbe essere versato in relazione a quel florilegio di corsi, come già detto, sbocciati in gran numero con la devoluzione alle università di un’autonomia didattica sostanzialmente completa, quali, a titolo meramente esemplificativo, i corsi master, i corsi di perfezionamento, i corsi di formazione continua e permanente e altri corsi similari.

La scriminante basata sul titolo rilasciato al termine del corso di studio e sul valore legale dello stesso al fine di stabilire l’obbligatorietà o meno del versamento della tassa sembra, inoltre, armonizzarsi in maniera convincente con la ratio dichiarata che ha ispirato il legislatore nell’istituzione del tributo, ovvero la necessità di “incrementare le disponibilità finanziarie delle regioni finalizzate all’erogazione di borse di studio e di prestiti d’onore agli studenti universitari capaci e meritevoli e privi di mezzi”; in un’ottica agevolmente comprensibile di circolarità delle risorse finanziarie in esame, infatti, il gettito discendente dal versamento della tassa è destinato a ritornare, nel rispetto del principio di solidarietà enunciato dalla legge, quale beneficio economico (sub specie di borsa di studio o di prestito d’onore) a vantaggio dell’utenza studentesca iscritta a uno dei corsi di studio in relazione ai quali il prelievo è effettuato.

Ciò che pare avvalorato anche dall’esame della concreta realtà dei fatti: nelle Marche, ad esempio, non pare potersi ascrivere a un caso che le borse di studio erogate dall’ente regionale unico per il diritto allo studio della Regione siano rivolte esclusivamente agli studenti iscritti ai corsi di studio il cui iter termina con il rilascio di un titolo avente valore legale e non anche agli studenti di altri corsi; anzi, a voler essere ancora più puntuali va precisato che le borse di studio erogate da tale ente (recentemente denominato ERDIS) sono destinate esclusivamente a beneficio degli iscritti ai corsi di laurea triennale, a ciclo unico o magistrale delle università della regione, senza che (probabilmente per ragioni di limitatezza delle risorse) le stesse siano erogate anche in favore degli iscritti ai corsi di specializzazione, né tantomeno dei dottorandi di ricerca: ciò che determina, a tacer d’altro, alcuni delicati problemi di equità nel sistema circolare, sopra accennato, che dovrebbe almeno tendenzialmente sussistere in modo rigoroso tra prelievo del tributo e sua destinazione.

Detto in altri e più chiari termini, appare corretto argomentare che, come le provvidenze in favore del diritto allo studio previste dalla legge arrivano a sostenere unicamente gli studenti iscritti a determinati corsi universitari (che sono poi, per la maggior parte, gli iscritti ai corsi di laurea e di laurea magistrale e, solo in alcune realtà regionali, gli iscritti ai corsi di specializzazione e ai corsi di dottorato di ricerca), così, per un’intrinseca coerenza logica e di equità del sistema, il prelievo del tributo dovrebbe effettuarsi esclusivamente in relazione agli immatricolati e agli iscritti a quei medesimi corsi destinatari dei vantaggi economici di provenienza regionale.

Una spia ulteriore che milita in favore di tale conclusione è d’altronde rinvenibile nel precetto, contenuto nel comma 22 dell’articolo 3 della legge n. 549/1995, secondo il quale sono comunque esonerati dal pagamento della tassa gli studenti beneficiari delle borse di studio e dei prestiti d’onore di cui alla legge n. 390/1991 (ora il decreto legislativo n. 68/2012), nonché gli studenti risultati idonei nelle graduatorie per l’ottenimento di tali benefici: a conferma (sia pure indiretta) di quella circolarità tra prelievo del tributo ed erogazione delle provvidenze che pare configurarsi come unica via di corretta attuazione della disciplina in esame.

Non va, infine, sottovalutato il profilo temporale relativo al momento in cui la singola istituzione universitaria, che agisce in qualità di sostituto d’imposta, incamera il tributo per conto della Regione nel cui territorio insiste, che, a sua volta, normalmente lo trasferisce nelle casse del proprio ente strumentale preposto alla materia del diritto allo studio: facendo ancora una volta riferimento, a titolo esemplificativo, al caso della Regione Marche, è positivamente stabilito, nei regolamenti degli atenei che disciplinano la contribuzione studentesca, così come richiamati, per la parte di rilevanza ai fini della presente trattazione, nella tabella che segue, che il tributo viene percepito dai quattro atenei marchigiani contestualmente al pagamento della prima rata della contribuzione, e in due casi (Università Politecnica delle Marche e Università degli Studi di Macerata) il primo versamento richiesto allo studente coincide proprio, nel suo contenuto, con l’importo della tassa regionale per il diritto allo studio universitario, maggiorato dell’imposta di bollo, quali oneri necessari a perfezionare l’iscrizione al corso accademico (in perfetta adesione, occorre sottolineare, al precetto legislativo contenuto nel comma 20 dell’articolo 3 della legge n. 549/1995):

 

Ateneo

Fonte normativa

 

Articolo

 

 

Università Politecnica delle Marche

Regolamento relativo alla contribuzione studentesca per l’a.a. 2019/2020 (emanato con decreto rettorale n. 647 del 10 giugno 2019 e modificato con decreto rettorale n. 920 del 31 luglio 2019)

 

 

Articolo 8 – Modalità e termini di pagamento

Il pagamento delle tasse e contributi è suddiviso in tre rate.

L’importo della prima rata è definito in € 156,00 (di cui € 140,00 di tassa regionale per il diritto allo studio e € 16,00 di imposta di bollo). Tale importo deve essere corrisposto all’atto dell’immatricolazione o dell’iscrizione ad anni successivi al primo. La scadenza della prima rata è fissata al 5 novembre 2019.

 

 

Università degli Studi di Urbino

 

Regolamento in materia di contribuzione studentesca per gli studenti iscritti ai corsi di laurea, laurea magistrale, laurea specialistica, laurea magistrale a ciclo unico, laurea specialistica a ciclo unico per l’a.a. 2019/2020
(emanato con decreto rettorale n. 120 del 3 aprile 2019)

 

 

Articolo 9 – Rateizzazione della contribuzione

Gli importi dovuti per la contribuzione studentesca sono ripartiti in tre rate da versarsi entro le scadenze riportate all’articolo 10; […]  L’importo della prima rata è comprensivo dell’imposta di bollo e del contributo regionale per il diritto allo studio universitario.

 

Università degli Studi di Macerata

 

Regolamento in materia di contribuzione studentesca (emanato con d.r. n. 256 del 15 luglio 2019)

 

 

Articolo 2 – Composizione e modalità di pagamento della contribuzione

Il pagamento della contribuzione studentesca è suddiviso in quattro rate:

a) la prima rata è corrisposta al momento dell’immatricolazione, ovvero dell’iscrizione, ed è composta dall’imposta di bollo e dalla tassa regionale per il diritto allo studio universitario.

 

 

Università degli Studi di Camerino

 

Regolamento contribuzione studentesca (emanato con decreto rettorale prot. n. 34680 del 7 giugno 2019)

 

Articolo 6 –  Modalità di pagamento e scadenze del contributo onnicomprensivo annuale relativo a corsi di laurea, laurea magistrale e laurea magistrale a ciclo unico

Salvo particolari disposizioni e diverse scadenze riportate nella guida on line dei diversi corsi di laurea e/o nel Manifesto degli Studi annuale, tutti gli studenti in corso e fuori corso non in possesso dei requisiti per l’esenzione totale del contributo, corrispondono, entro il termine di scadenza ordinario delle iscrizioni una prima rata del contributo onnicomprensivo nell’importo stabilito annualmente nel Manifesto degli studi. 

Le informazioni relative al termine di scadenza ordinario delle iscrizioni, agli importi della prima rata, della tassa regionale e dell’imposta di bollo vengono comunicate annualmente nel Manifesto degli Studi.

 

Tale allineamento di carattere temporale comprova inequivocabilmente che gli importi relativi alla tassa regionale per il diritto allo studio universitario sono, nella normalità dei casi, incamerati integralmente da ciascun ateneo entro il termine finale (31 dicembre) di ogni anno, così da garantire la massima parte della copertura finanziaria necessaria ad assicurare l’erogazione delle borse di studio che l’ente strumentale della Regione stanzia in favore degli studenti meritevoli, ma privi di mezzi, iscritti ai corsi di laurea triennale, a ciclo unico e magistrale attivati presso ogni istituzione universitaria.

A questo riguardo non può non segnalarsi, per venire ai tempi recenti funestati dall’emergenza epidemiologica determinata dalla diffusione del virus COVID-19, come un provvedimento quale la deliberazione n. 383 della Giunta della Regione Marche del 25 marzo 2020[13], il quale ha stabilito la sospensione sino al 31 luglio 2020, in costanza dell’emergenza determinata dalla pandemia in atto, del pagamento della tassa regionale per il diritto allo studio, seppur certamente ispirato a condivisibili principi di solidarietà e sostegno nei confronti della popolazione studentesca universitaria, con ogni probabilità produrrà effetti particolarmente contenuti, in quanto nell’arco temporale di vigenza della sospensione del tributo lo stesso sarà ormai stato pressoché integralmente versato dai soggetti passivi interessati, in accordo con le previsioni di legge e della regolamentazione degli atenei sopra riportata.

Vi è, infine, un’ultima considerazione che milita, a parere di chi scrive, in favore della tesi prospettata nel presente contributo, secondo la quale la tassa regionale è dovuta unicamente in relazione all’iscrizione a corsi di studio accademici che si concludono con il rilascio di un titolo avente valore legale, e riguarda l’aspetto di una efficace ed esatta programmazione e gestione delle risorse destinate a garantire il diritto allo studio universitario.

Come è ben noto a ogni operatore del settore, la regione e i propri enti strumentali effettuano la programmazione delle risorse destinate a sostenere il diritto allo studio universitario per l’anno successivo in base alle informazioni certe, anche di carattere storico, disponibili allo spirare dell’anno precedente e relative, sostanzialmente, agli iscritti ai corsi di laurea triennale, a ciclo unico e magistrale delle università che hanno la propria sede nel territorio regionale di riferimento.

Avviene comunemente, tuttavia, che successivamente al 31 dicembre ogni singolo ateneo, nell’esercizio dell’autonomia didattica e organizzativa che gli è riconosciuta, attivi in corso d’anno una serie di corsi di studio (quali ad esempio i corsi master o di perfezionamento) che risultano pertanto disallineati, dal punto di vista temporale, rispetto alle informazioni acquisite in fase di programmazione e successivo stanziamento delle risorse.

Orbene, qualora anche detti corsi di studio “minori” fossero gravati della tassa regionale per il diritto allo studio universitario, con successivi trasferimenti del prelievo all’ente regionale, tali gettiti andrebbero a beneficio di coorti di studenti iscritti ad anni successivi a quelli per cui il tributo è finalizzato a produrre effetti di oggettivo sostegno al diritto allo studio, con un chiaro ed evidente effetto distorsivo dell’utilizzo delle risorse rispetto alla finalità normativamente prevista.

Quanto sopra a tacere poi la circostanza, che appare incontrovertibile, anche alla luce della lettura delle diverse normative regionali, per cui gli iscritti a quei corsi, sottoposti al prelievo tributario, non godrebbero giammai dei benefici di legge, ma andrebbero solamente a finanziare borse di studio e prestiti d’onore destinati a studenti di corsi differenti (con ogni conseguenza, che a ciascuno è agevole constatare, sotto il profilo dell’equità e della giustizia nell’attuazione della disciplina che qui si commenta).

Conclusivamente, la tassa regionale per il diritto allo studio universitario costituisce uno strumento senz’altro efficace e opportuno in vista del sostegno a quel diritto allo studio dei soggetti meritevoli, ma meno dotati di mezzi, che la Costituzione della Repubblica riconosce e garantisce e alla cui realizzazione concorrono tanti soggetti dell’apparato pubblico (Stato, Regioni e loro enti strumentali, istituzioni universitarie e di formazione superiore).

Essa, peraltro, spiegherà la propria efficacia in modo ancor più deciso e puntuale qualora la cornice di regole comuni a tutti gli attori in campo, specialmente per quanto riguarda il profilo dell’ambito oggettivo dei corsi di studio soggetti al tributo, che il presente contributo ha cercato di illustrare quanto a criticità e possibili soluzioni interpretative, venga ulteriormente arricchita e chiarita in modo da fornire a tutti i soggetti istituzionali competenti un contesto di indicazioni uniformi, tali da evitare nel territorio nazionale possibili disparità di trattamento tra studenti, che la disciplina di riferimento intende viceversa prevenire e contrastare: un sollecito intervento chiarificatore sul punto da parte del legislatore statale sembra, a tale riguardo, altamente auspicabile quale unica soluzione che, con la propria valenza normativa, superi le inevitabili oscillazioni e incertezze dell’ermeneutica dottrinale.

 

[1]  Articolo 3 commi 20-23 della legge 28 dicembre 1995 n. 549 (“Misure di razionalizzazione della finanza pubblica”): “20. Al fine di incrementare le disponibilità finanziarie delle regioni finalizzate all’erogazione di borse di studio e di prestiti d’onore agli studenti universitari capaci e meritevoli e privi di mezzi, nel rispetto del principio di solidarietà tra le famiglie a reddito più elevato e quelle a reddito basso, con la medesima decorrenza è istituita la tassa regionale per il diritto allo studio universitario, quale tributo proprio delle regioni e delle province autonome. Per l’iscrizione ai corsi di studio delle università statali e legalmente riconosciute, degli istituti universitari e degli istituti superiori di grado universitario che rilasciano titoli di studio aventi valore legale, gli studenti sono tenuti al pagamento della tassa per il diritto allo studio universitario alla regione o alla provincia autonoma nella quale l’università o l’istituto hanno la sede legale, ad eccezione dell’Università degli studi della Calabria per la quale la tassa è dovuta alla medesima università ai sensi del comma 2 dell’articolo 26 della legge 2 dicembre 1991 n. 390. Le università e gli istituti accettano le immatricolazioni e le iscrizioni ai corsi previa verifica del versamento della tassa di cui ai commi da 19 a 23 del presente articolo.

21. Le regioni e le province autonome determinano l’importo della tassa per il diritto allo studio a partire dalla misura minima di lire 120 mila ed entro il limite massimo di lire 200 mila. Qualora le regioni e le province autonome non stabiliscano con proprie leggi, entro il 30 giugno 1996, l’importo della tassa, la stessa è dovuta nella misura minima. Per gli anni accademici successivi, il limite massimo della tassa è aggiornato sulla base del tasso di inflazione programmato.

22. Le regioni e le province autonome concedono l’esonero parziale o totale dal pagamento della tassa regionale per il diritto allo studio universitario agli studenti capaci e meritevoli privi di mezzi. Sono comunque esonerati dal pagamento gli studenti beneficiari delle borse di studio e dei prestiti d’onore di cui alla legge 2 dicembre 1991 n. 390, nonché gli studenti risultati idonei nelle graduatorie per l’ottenimento di tali benefici.

23. Il gettito della tassa regionale per il diritto allo studio universitario è interamente devoluto alla erogazione delle borse di studio e dei prestiti d’onore di cui alla legge 2 dicembre 1991 n. 390”.

[2] Articolo 34 Costituzione della Repubblica italiana: “La scuola è aperta a tutti. L’istruzione inferiore, impartita per almeno otto anni, è obbligatoria e gratuita. I capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso”.

[3] Legge 2 dicembre 1991 n. 390 (“Norme sul diritto agli studi universitari”), oggi interamente abrogata, con l’eccezione dell’articolo 21, ad opera dell’articolo 24 del decreto legislativo 29 marzo 2012 n. 68.

[4] Decreto legislativo 29 marzo 2012 n. 68 (“Revisione della normativa di principio in materia di diritto allo studio e valorizzazione dei collegi universitari legalmente riconosciuti, in attuazione della delega prevista dall’articolo 5 comma 1 lettere a), secondo periodo, e d) della legge 30 dicembre 2010 n. 240, e secondo i principi e i criteri direttivi stabiliti al comma 3 lettera f) e al comma 6”).

[5] Articolo 117 della Costituzione della Repubblica italiana commi 1 e 2 (stralcio): “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.

Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie: […] m) determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale”.

[6] Articolo 18 comma 8 del decreto legislativo n. 68/2012: “L’importo della tassa per il diritto allo studio è disciplinato dall’articolo 3 della legge 28 dicembre 1995 n. 549, recante misure di razionalizzazione della finanza pubblica, il cui comma 21 è sostituito dal seguente: 21. Le regioni e le province autonome rideterminano l’importo della tassa per il diritto allo studio articolandolo in 3 fasce. La misura minima della fascia più bassa della tassa è fissata in 120 euro e si applica a coloro che presentano una condizione economica non superiore al livello minimo dell’indicatore di situazione economica equivalente corrispondente ai requisiti di eleggibilità per l’accesso ai LEP del diritto allo studio. I restanti valori della tassa minima sono fissati in 140 euro e 160 euro per coloro che presentano un indicatore di situazione economica equivalente rispettivamente superiore al livello minimo e al doppio del livello minimo previsto dai requisiti di eleggibilità per l’accesso ai LEP del diritto allo studio. Il livello massimo della tassa per il diritto allo studio è fissato in 200 euro. Qualora le Regioni e le province autonome non stabiliscano, entro il 30 giugno di ciascun anno, l’importo della tassa di ciascuna fascia, la stessa è dovuta nella misura di 140 euro. Per ciascun anno il limite massimo della tassa è aggiornato sulla base del tasso di inflazione programmato”.

[7] Legge 19 novembre 1990 n. 341 (“Riforma degli ordinamenti didattici universitari”).

[8] D.M. 3 novembre 1999 n. 509 (“Regolamento recante norme concernenti l’autonomia didattica degli atenei”)

[9] D.M. 22 ottobre 2004 n. 270 (“Modifiche al regolamento recante norme concernenti l’autonomia didattica degli atenei, approvato con decreto del Ministro dell’università e della ricerca scientifica e tecnologica 3 novembre 1999 n. 509”).

[10] Articolo 3 (“Titoli e corsi di studio”) del d.m. n. 270/2004: “1. Le università rilasciano i seguenti titoli: a) laurea (L); b) laurea magistrale (LM).

2. Le università rilasciano altresì il diploma di specializzazione (DS) e il dottorato di ricerca (DR).

3. La laurea, la laurea magistrale, il diploma di specializzazione e il dottorato di ricerca sono conseguiti al termine, rispettivamente, dei corsi di laurea, di laurea magistrale, di specializzazione e di dottorato di ricerca istituiti dalle università.

4. Il corso di laurea ha l’obiettivo di assicurare allo studente un’adeguata padronanza di metodi e contenuti scientifici generali, anche nel caso in cui sia orientato all’acquisizione di specifiche conoscenze professionali.

5. L’acquisizione delle conoscenze professionali, di cui al comma 4, è preordinata all’inserimento del laureato nel mondo del lavoro ed all’esercizio delle correlate attività professionali regolamentate, nell’osservanza delle disposizioni di legge e dell’Unione europea e di quelle di cui all’articolo 11 comma 4.

6. Il corso di laurea magistrale ha l’obiettivo di fornire allo studente una formazione di livello avanzato per l’esercizio di attività di elevata qualificazione in ambiti specifici.

7. Il corso di specializzazione ha l’obiettivo di fornire allo studente conoscenze e abilità per funzioni richieste nell’esercizio di particolari attività professionali e può essere istituito esclusivamente in applicazione di specifiche norme di legge o di direttive dell’Unione europea.

8. I corsi di dottorato di ricerca e il conseguimento del relativo titolo sono disciplinati dall’articolo 4 della legge 3 luglio 1998 n. 210, fatto salvo quanto previsto dall’articolo 6 commi 5 e 6.

9. Restano ferme le disposizioni di cui all’articolo 6 della legge 19 novembre 1990 n. 341 in materia di formazione finalizzata e di servizi didattici integrativi. In particolare, in attuazione dell’articolo 1 comma 15 della legge 14 gennaio 1999 n. 4, le università possono attivare, disciplinandoli nei regolamenti didattici di ateneo, corsi di perfezionamento scientifico e di alta formazione permanente e ricorrente, successivi al conseguimento della laurea o della laurea magistrale, alla conclusione dei quali sono rilasciati i master universitari di primo e di secondo livello.

10. Sulla base di apposite convenzioni, le università italiane possono rilasciare i titoli di cui al presente articolo anche congiuntamente con altri atenei italiani o stranieri”.

[11] Articolo 38 (“Oggetto della tassa”) della L.R. Marche n. 38/1996 (“Riordino in materia di diritto allo studio universitario”):

1. La tassa regionale per il diritto allo studio universitario, prevista dall’articolo 3 comma 20 della legge 28 dicembre 1995 n. 549, è dovuta per l’iscrizione ai corsi di studio delle università statali e legalmente riconosciute, degli istituti universitari e degli istituti superiori di grado universitario che rilasciano titoli di studio aventi valore legale.

2. I corsi di studio delle università comprendono i corsi di diploma universitario, di diploma di laurea, di diploma di specializzazione e i corsi di diploma dell’ISEF.

3. La tassa è dovuta alla Regione Marche per l’immatricolazione o l’iscrizione ai corsi di studio delle università aventi sede legale nella regione”.

[12] Articolo 17 (“Tassa regionale per il diritto allo studio”) della L.R. Marche n. 4/2017 (“Disposizioni regionali in materia di diritto allo studio”):

1. La tassa regionale per il diritto allo studio, prevista dall’articolo 3 comma 20 della legge 28 dicembre 1995 n. 549 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), si applica a tutti gli studenti per l’iscrizione ai corsi di studio delle università statali e legalmente riconosciute, degli istituti universitari e degli istituti superiori di grado universitario che rilasciano titoli di studio aventi valore legale, degli AFAM, degli ITS aderenti e dell’ISIA. La tassa è dovuta altresì in caso di trasferimento da università aventi sede legale in altre regioni.

2. L’importo della tassa di cui al comma 1 è disciplinato dall’articolo 3 comma 21 della legge 549/1995.

3. Gli studenti, tenuto conto di quanto stabilito al comma 3 dell’articolo 3, sono tenuti al pagamento all’atto dell’iscrizione in un’unica soluzione.

4. La Regione si avvale delle università, con la collaborazione degli AFAM, degli ITS aderenti e dell’ISIA eventualmente interessati, per lo svolgimento delle funzioni relative alla riscossione della tassa sulla base di apposita convenzione da stipularsi con le parti interessate, nella quale vengono definite le modalità di riscossione e di riversamento alla Regione.

5. I criteri per la concessione dell’esonero parziale o totale dal pagamento della tassa di cui al comma 1 agli studenti capaci, meritevoli e privi di mezzi sono determinati nel Programma di cui all’articolo 6, nel rispetto di quanto stabilito dalla normativa statale vigente.

6. Per quanto non previsto da questo articolo, si applicano le disposizioni statali vigenti in materia nonché quelle di cui alla legge regionale 20 febbraio 1995 n. 18 (Disciplina delle tasse sulle concessioni regionali), in quanto compatibili, per l’accertamento delle violazioni, la decadenza, i rimborsi e l’applicazione delle sanzioni”.

[13] http://www.norme.marche.it/Delibere/2020/DGR0383_20.pdf