La tutela penale contro il fenomeno dello stalking
Tuttavia, l’operatore del diritto- e ancor prima il legislatore- non si può accontentare della vis figurativa dei termini, ma deve necessariamente precisare i fatti e le condotte richiamate dagli stessi, per regolamentarle e apprestare sanzioni.
Esigenza particolarmente avvertita, allorquando si tratta di descrivere i comportamenti illeciti meritevoli di sanzione penale.
Tocchiamo in questo caso uno dei temi piu’ delicati del diritto, il quale segna il passaggio da uno Stato autoritario, o comunque indifferente nei confronti delle garanzie del cittadino, ad uno Stato di diritto. Ricordiamo a noi stessi che in un ordinamento penale rispettoso delle libertà e dei diritti costituzionalmente riconosciuti e salvaguardati, il fatto di reato deve essere determinato con precisione ed esattezza, per permettere al cittadino di conoscere quali siano i comportamenti penalmente rilevanti ed orientare, di conseguenza, con coscienza e consapevolezza la sua condotta. Mentre la precisione e l’analiticità della fattispecie penale non consentono al giudice alcun arbitrio (o quanto meno attenua di molto la sua discrezionalità) in sede di applicazione della norma penale.
Questa premessa è indispensabile per comprendere appieno a quali difficoltà si va incontro nel tradurre in norme penali incriminatrici, il lodevole intento di punire severamente lo stalking, proprio perché vari possono essere i modi di ledere la vittima, come vedremo.
Si tratta di trasferire sul piano penale un concetto che è nato e studiato in altri ambiti scientifici. La sociologia, e la psichiatria forense in particolare, insegnano che il termine stalking (detto anche sindrome del molestatore assillante) richiama un insieme di comportamenti fastidiosi, intimidatori, persecutori nei confronti della vittima, tali da ingenerare nella stessa uno stato di ansia e preoccupazione. Se questa è la definizione di stalking, che deriva da altri ambiti scientifici, il legislatore si è sicuramente posto dinanzi alla questione se tale definizione è sufficientemente precisa per essere trasferita tout court nell’ambito del diritto penale.
Innanzitutto, dalla definizione di stalking a cui si è fatto riferimento poc’anzi, si comprende come il bene tutelato sia la libertà morale del cittadino, rectius la sua autodeterminazione libera e consapevole, per cui appare opportuno l’inserimento del reato di stalking nel capo del codice penale relativo ai delitti contro la libertà morale. A questo punto è opportuno citare per esteso l’articolo inserito dal D.L. 23 febbraio 2009 n. 11 (in attesa di definitiva approvazione da parte del Senato): art.612 bis (atti persecutori): 1°comma “Salvo che il fatto costituisca piu’ grave reato è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura, ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”.
Sommariamente, la disposizione penale può dividersi in tre parti in base all’evento lesivo prodotto. Nella prima viene in questione la lesione che consiste in perdurante e grave stato di ansia o di paura; nella seconda, rileva il fondato timore per l’incolumità propria o di un congiunto o di una persona legata alla vittima affettivamente; nella terza è il cambiamento delle proprie abitudini di vita ad assurgere ad evento lesivo prodotto dalla condotta dello stalker.
Ad una prima lettura, atteso che le molestie, le minacce e la violenza, sono previste e punite da altri articoli del codice penale (rispettivamente dall’ art.660 c.p., 612 c.p., 610 c.p.), il disvalore del fatto si incentra non tanto e non solo sulla condotta incriminata, quanto sul requisito della reiterazione della condotta, e soprattutto sull’evento- sulla lesione del bene protetto. D’altra parte, è ben noto che la lesione del bene giuridico tutelato, lungi dall’essere criterio meramente ermeneutico-teleologico, orienta e caratterizza la stessa tipicità del fatto, e prima ancora funge da criterio di criminalizzazione in sede di scelte politico-legislative. E’ agevole pensare che sarà la giurisprudenza a delineare i contorni del reato in sede applicativa.. Indubbiamente, come accennato supra, il legislatore ha voluto creare fattispecie criminose sostanzialmente a forma libera, avendo come punto di riferimento non tanto i requisiti della condotta (salvo la necessità della loro reiterazione), quanto l’effetto lesivo prodotto. Quanto appena detto, si potrebbe porre in tensione con il principio di determinatezza e tassatività della fattispecie penale, data la descrizione piuttosto evanescente, o comunque non certo particolarmente distintiva rispetto ad altri reati, dei contorni della condotta incriminata. In altri termini, fino a che punto la condotta può essere non descritta con precisione, o può essere descritta in modo non peculiare, senza ledere i principi sopra richiamati? Tale tensione può essere almeno in parte sciolta, sulla base di due osservazioni. La prima riguarda la circostanza che il legislatore penale non ignora fattispecie a forma libera (viene in questo caso, il caso esemplare dell’omicidio), che non per questo, sono da considerare prive del requisito della determinatezza. In secondo luogo, non si può non sottolineare il rilievo che molteplici possono essere nella realtà concreta le condotte intimidatorie e vessatorie tali da attingere in modo fortemente aggressivo la libertà morale della vittima, per cui, predeterminare con assoluta precisione la condotta, avrebbe escluso dal penalmente rilevante proprio molte condotte lesive.
Ma soprattutto, la possibile obiezione di difetto di determinatezza può essere superata, se si sottolinea che la determinatezza e l’analiticità della fattispecie penale possono essere dedotte anche da elementi diversi dalla caratterizzazione tipica della condotta. E questo è particolarmente vero proprio in quei casi- come nel reato che stiamo sommariamente analizzando- in cui la lesione è essa stessa modalità di lesione della libertà morale del soggetto (esempio: la paura ingenerata nel soggetto passivo è lesione ma anche modalità con cui si lede il soggetto passivo) . D’altra parte, se è vero quanto abbiamo detto sull’intima connessione tra lesione e tipicità, è proprio la lesione che riveste un ruolo centrale nella determinazione del fatto tipico, strutturandolo e qualificandolo in termini caratterizzanti e fortemente distintivi e in ultima istanza, qualifica la stessa condotta del soggetto agente, che sarà punibile allorchè presenti i tratti di una minaccia o molestia fortemente lesiva. Tale premessa spiega perché non è molto difficile la sussunzione, nel fatto tipico descritto dalla fattispecie incriminatrice astratta, del fatto di stalking verificatosi in concreto.
Venendo alle possibili realizzazioni dello stalking, infatti, non appare dubbia la riconduzione allo stalking di pedinamenti assillanti, minacce, telefonate ossessive, ricerca soffocante di contatti, e comunque di ogni molestia, minaccia, tale da incidere in modo fortemente lesivo (nelle tre modalità sopra segnalate di lesione) nella sfera di autodeterminazione della vittima, che spesso è l’ex o l’attuale convivente o coniuge. Sul piano dell’effetto della condotta, è agevole ritenere che saranno le relazioni peritali di psicologi e psichiatri a precisare soprattutto quando è configurabile o meno lo stato di ansia e paura nel soggetto passivo. Questo è inevitabile, dal momento che ci si muove su un terreno della realtà psicologica e morale e non della realtà fisica, per cui è necessario far leva su nozioni ricavabili da altri ambiti scientifici. Mentre per quanto riguarda il fondato timore per l’incolumità propria e/o di una persona cara, e il cambiamento delle abitudini di vita, il giudice apprezzerà il contesto relazionale e emotivo in cui sorgono le dinamiche comportamentali, senza rinunciare, anche in questo caso, al prezioso apporto degli specialisti.
Sul piano della politica criminale, resta da sottolineare che prima del D.L citato, non vi erano fattispecie che incriminavano lo stalking. I reati avvicinabili allo stalking sono la molestia (art.660 c.p) la minaccia (art.612 c.p) e la violenza (art.620 c.p). Ma come è facile dedursi, anche da una sommaria analisi degli articoli richiamati, si tratta di reati che non coprono il disvalore delle condotte riassumibili nello stalking, e i fatti ivi descritti non hanno la capacità offensiva del reato di cui al nuovo art.612 bis c.p.
La necessità di punire lo stalking emerge in modo evidente, laddove si pensi che spesso nella realtà -e gli episodi di cronaca lo confermano- l’atto intimidatorio è, per cosi dire, il momento iniziale di una progressione criminale che sfocia nei delitti di violenza sessuale e/o omicidio, per cui l’incriminazione del molestatore assillante svolge un’importante funzione di carattere preventivo e di indubbia tutela per i soggetti vittime di tali comportamenti. La cronaca è piena di delitti (soprattutto contro le donne da parte di compagni e mariti) che forse potevano essere evitati- anche- per mezzo di una piu’ incisiva tutela in ambito penale.
Prima di chiudere queste sommarie note, appare interessante segnalare come lo stalking si è fatto strada anche in ambiti diversi da quello penale. Risalta in quest’ambito una pronuncia del tribunale per i minori di Bologna (in www.personaedanno.it, sezione enciclopedia, avv.Rita Rossi) che, con decreto del 21.12.2006 dichiara la decadenza della potestà genitoriale del padre, il quale ponendo in essere comportamenti di “disturbo, controllo, minaccia e violenza” nei confronti della sua ex compagna, aveva provocato gravi ripercussioni anche nei confronti di sua figlia. Infine, possiamo brevemente accennare la tutela civilistica della vittima di stalking, accanto, o a prescindere dalla tutela penale. Viene in considerazione l’art.2043, clausola generale dalle feconde conseguenze per la tutela dei consociati danneggiati. Non pare possano esservi dubbi riguardo all’ingiustizia del danno da comportamenti qualificabili come stalking e quindi la conseguente risarcibilità del danno. In sede civile, inoltre, la clausola aperta dell’art.2043, consente al giudice una ben piu’ ampia tutela delle ragioni delle vittime, non dovendo verificare l’esatta corrispondenza del fatto concreto rispetto alla norma incriminatrice. Pur tuttavia si segnalano pronunce restrittive della tutela nei confronti delle vittime di stalking, quanto meno sul piano cautelare.
L’avv. Maria Luisa Missiaggia -in http://www.studiodonne.it/news_48.htm -cita un’ordinanza del tribunale di Cagliari del 10 ottobre 2007 che ha negato la tutela cautelare ex art.700 c.p.c. Mentre, come rileva l’avv. Missiaggia, il provvedimento ex art.700 c.p.c è volto proprio a fornire tutela rispetto a quelle situazioni per le quali il legislatore non ha previsto una tutela cautelare specifica. Inoltre, dinanzi a ipotesi accertate di stalking, i due presupposti della tutela ex art.700 c.p.c. vale a dire il fumus boni iuris e il periculum in mora discendono quasi de plano, considerando da un lato che nello stalking è evidente la lesione dell’autodeterminazione della vittima, mentre dall’altro, sussiste il “periculum in mora, rappresentato dalla innegabile inidoneità del giudizio ordinario a garantire l’effettività della tutela, “posto che nelle more del giudizio i comportamenti persecutori avrebbero continuato ed aggravato la lesione escludendo in radice la possibilità di un risarcimento in forma specifica- unica forma di risarcimento cui tende la vittima dello stalker, il cui obiettivo primario è senz’altro la cessazione delle molestie e delle persecuzioni-”(Avv. Maria Luisa Missiaggia, cit).
Si auspica in futuro, un orientamento piu’ favorevole o comunque meno restrittivo nei confronti delle vittime, in sede cautelare. Piuttosto, venendo alle voci di danno che possono essere risarcite in caso si accertamento di condotte intimidatorie- e pur non addentrandoci nella disamina della nota sentenza delle S. U. 26972/2008, la vittima dello stalking presumibilmente subirà riflessi negativi sulle sue capacità lavorative (danno patrimoniale) del danno non patrimoniale, sub specie del danno alla sua salute (danno biologico) e sulla sua vita di relazione (danno esistenziale)- ammesso – e non concesso- che ancora si possa disquisire dopo la sentenza delle S.U. citata, della categoria del danno esistenziale quale autonoma figura di danno.
Tuttavia, l’operatore del diritto- e ancor prima il legislatore- non si può accontentare della vis figurativa dei termini, ma deve necessariamente precisare i fatti e le condotte richiamate dagli stessi, per regolamentarle e apprestare sanzioni.
Esigenza particolarmente avvertita, allorquando si tratta di descrivere i comportamenti illeciti meritevoli di sanzione penale.
Tocchiamo in questo caso uno dei temi piu’ delicati del diritto, il quale segna il passaggio da uno Stato autoritario, o comunque indifferente nei confronti delle garanzie del cittadino, ad uno Stato di diritto. Ricordiamo a noi stessi che in un ordinamento penale rispettoso delle libertà e dei diritti costituzionalmente riconosciuti e salvaguardati, il fatto di reato deve essere determinato con precisione ed esattezza, per permettere al cittadino di conoscere quali siano i comportamenti penalmente rilevanti ed orientare, di conseguenza, con coscienza e consapevolezza la sua condotta. Mentre la precisione e l’analiticità della fattispecie penale non consentono al giudice alcun arbitrio (o quanto meno attenua di molto la sua discrezionalità) in sede di applicazione della norma penale.
Questa premessa è indispensabile per comprendere appieno a quali difficoltà si va incontro nel tradurre in norme penali incriminatrici, il lodevole intento di punire severamente lo stalking, proprio perché vari possono essere i modi di ledere la vittima, come vedremo.
Si tratta di trasferire sul piano penale un concetto che è nato e studiato in altri ambiti scientifici. La sociologia, e la psichiatria forense in particolare, insegnano che il termine stalking (detto anche sindrome del molestatore assillante) richiama un insieme di comportamenti fastidiosi, intimidatori, persecutori nei confronti della vittima, tali da ingenerare nella stessa uno stato di ansia e preoccupazione. Se questa è la definizione di stalking, che deriva da altri ambiti scientifici, il legislatore si è sicuramente posto dinanzi alla questione se tale definizione è sufficientemente precisa per essere trasferita tout court nell’ambito del diritto penale.
Innanzitutto, dalla definizione di stalking a cui si è fatto riferimento poc’anzi, si comprende come il bene tutelato sia la libertà morale del cittadino, rectius la sua autodeterminazione libera e consapevole, per cui appare opportuno l’inserimento del reato di stalking nel capo del codice penale relativo ai delitti contro la libertà morale. A questo punto è opportuno citare per esteso l’articolo inserito dal D.L. 23 febbraio 2009 n. 11 (in attesa di definitiva approvazione da parte del Senato): art.612 bis (atti persecutori): 1°comma “Salvo che il fatto costituisca piu’ grave reato è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura, ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita”.
Sommariamente, la disposizione penale può dividersi in tre parti in base all’evento lesivo prodotto. Nella prima viene in questione la lesione che consiste in perdurante e grave stato di ansia o di paura; nella seconda, rileva il fondato timore per l’incolumità propria o di un congiunto o di una persona legata alla vittima affettivamente; nella terza è il cambiamento delle proprie abitudini di vita ad assurgere ad evento lesivo prodotto dalla condotta dello stalker.
Ad una prima lettura, atteso che le molestie, le minacce e la violenza, sono previste e punite da altri articoli del codice penale (rispettivamente dall’ art.660 c.p., 612 c.p., 610 c.p.), il disvalore del fatto si incentra non tanto e non solo sulla condotta incriminata, quanto sul requisito della reiterazione della condotta, e soprattutto sull’evento- sulla lesione del bene protetto. D’altra parte, è ben noto che la lesione del bene giuridico tutelato, lungi dall’essere criterio meramente ermeneutico-teleologico, orienta e caratterizza la stessa tipicità del fatto, e prima ancora funge da criterio di criminalizzazione in sede di scelte politico-legislative. E’ agevole pensare che sarà la giurisprudenza a delineare i contorni del reato in sede applicativa.. Indubbiamente, come accennato supra, il legislatore ha voluto creare fattispecie criminose sostanzialmente a forma libera, avendo come punto di riferimento non tanto i requisiti della condotta (salvo la necessità della loro reiterazione), quanto l’effetto lesivo prodotto. Quanto appena detto, si potrebbe porre in tensione con il principio di determinatezza e tassatività della fattispecie penale, data la descrizione piuttosto evanescente, o comunque non certo particolarmente distintiva rispetto ad altri reati, dei contorni della condotta incriminata. In altri termini, fino a che punto la condotta può essere non descritta con precisione, o può essere descritta in modo non peculiare, senza ledere i principi sopra richiamati? Tale tensione può essere almeno in parte sciolta, sulla base di due osservazioni. La prima riguarda la circostanza che il legislatore penale non ignora fattispecie a forma libera (viene in questo caso, il caso esemplare dell’omicidio), che non per questo, sono da considerare prive del requisito della determinatezza. In secondo luogo, non si può non sottolineare il rilievo che molteplici possono essere nella realtà concreta le condotte intimidatorie e vessatorie tali da attingere in modo fortemente aggressivo la libertà morale della vittima, per cui, predeterminare con assoluta precisione la condotta, avrebbe escluso dal penalmente rilevante proprio molte condotte lesive.
Ma soprattutto, la possibile obiezione di difetto di determinatezza può essere superata, se si sottolinea che la determinatezza e l’analiticità della fattispecie penale possono essere dedotte anche da elementi diversi dalla caratterizzazione tipica della condotta. E questo è particolarmente vero proprio in quei casi- come nel reato che stiamo sommariamente analizzando- in cui la lesione è essa stessa modalità di lesione della libertà morale del soggetto (esempio: la paura ingenerata nel soggetto passivo è lesione ma anche modalità con cui si lede il soggetto passivo) . D’altra parte, se è vero quanto abbiamo detto sull’intima connessione tra lesione e tipicità, è proprio la lesione che riveste un ruolo centrale nella determinazione del fatto tipico, strutturandolo e qualificandolo in termini caratterizzanti e fortemente distintivi e in ultima istanza, qualifica la stessa condotta del soggetto agente, che sarà punibile allorchè presenti i tratti di una minaccia o molestia fortemente lesiva. Tale premessa spiega perché non è molto difficile la sussunzione, nel fatto tipico descritto dalla fattispecie incriminatrice astratta, del fatto di stalking verificatosi in concreto.
Venendo alle possibili realizzazioni dello stalking, infatti, non appare dubbia la riconduzione allo stalking di pedinamenti assillanti, minacce, telefonate ossessive, ricerca soffocante di contatti, e comunque di ogni molestia, minaccia, tale da incidere in modo fortemente lesivo (nelle tre modalità sopra segnalate di lesione) nella sfera di autodeterminazione della vittima, che spesso è l’ex o l’attuale convivente o coniuge. Sul piano dell’effetto della condotta, è agevole ritenere che saranno le relazioni peritali di psicologi e psichiatri a precisare soprattutto quando è configurabile o meno lo stato di ansia e paura nel soggetto passivo. Questo è inevitabile, dal momento che ci si muove su un terreno della realtà psicologica e morale e non della realtà fisica, per cui è necessario far leva su nozioni ricavabili da altri ambiti scientifici. Mentre per quanto riguarda il fondato timore per l’incolumità propria e/o di una persona cara, e il cambiamento delle abitudini di vita, il giudice apprezzerà il contesto relazionale e emotivo in cui sorgono le dinamiche comportamentali, senza rinunciare, anche in questo caso, al prezioso apporto degli specialisti.
Sul piano della politica criminale, resta da sottolineare che prima del D.L citato, non vi erano fattispecie che incriminavano lo stalking. I reati avvicinabili allo stalking sono la molestia (art.660 c.p) la minaccia (art.612 c.p) e la violenza (art.620 c.p). Ma come è facile dedursi, anche da una sommaria analisi degli articoli richiamati, si tratta di reati che non coprono il disvalore delle condotte riassumibili nello stalking, e i fatti ivi descritti non hanno la capacità offensiva del reato di cui al nuovo art.612 bis c.p.
La necessità di punire lo stalking emerge in modo evidente, laddove si pensi che spesso nella realtà -e gli episodi di cronaca lo confermano- l’atto intimidatorio è, per cosi dire, il momento iniziale di una progressione criminale che sfocia nei delitti di violenza sessuale e/o omicidio, per cui l’incriminazione del molestatore assillante svolge un’importante funzione di carattere preventivo e di indubbia tutela per i soggetti vittime di tali comportamenti. La cronaca è piena di delitti (soprattutto contro le donne da parte di compagni e mariti) che forse potevano essere evitati- anche- per mezzo di una piu’ incisiva tutela in ambito penale.
Prima di chiudere queste sommarie note, appare interessante segnalare come lo stalking si è fatto strada anche in ambiti diversi da quello penale. Risalta in quest’ambito una pronuncia del tribunale per i minori di Bologna (in www.personaedanno.it, sezione enciclopedia, avv.Rita Rossi) che, con decreto del 21.12.2006 dichiara la decadenza della potestà genitoriale del padre, il quale ponendo in essere comportamenti di “disturbo, controllo, minaccia e violenza” nei confronti della sua ex compagna, aveva provocato gravi ripercussioni anche nei confronti di sua figlia. Infine, possiamo brevemente accennare la tutela civilistica della vittima di stalking, accanto, o a prescindere dalla tutela penale. Viene in considerazione l’art.2043, clausola generale dalle feconde conseguenze per la tutela dei consociati danneggiati. Non pare possano esservi dubbi riguardo all’ingiustizia del danno da comportamenti qualificabili come stalking e quindi la conseguente risarcibilità del danno. In sede civile, inoltre, la clausola aperta dell’art.2043, consente al giudice una ben piu’ ampia tutela delle ragioni delle vittime, non dovendo verificare l’esatta corrispondenza del fatto concreto rispetto alla norma incriminatrice. Pur tuttavia si segnalano pronunce restrittive della tutela nei confronti delle vittime di stalking, quanto meno sul piano cautelare.
L’avv. Maria Luisa Missiaggia -in http://www.studiodonne.it/news_48.htm -cita un’ordinanza del tribunale di Cagliari del 10 ottobre 2007 che ha negato la tutela cautelare ex art.700 c.p.c. Mentre, come rileva l’avv. Missiaggia, il provvedimento ex art.700 c.p.c è volto proprio a fornire tutela rispetto a quelle situazioni per le quali il legislatore non ha previsto una tutela cautelare specifica. Inoltre, dinanzi a ipotesi accertate di stalking, i due presupposti della tutela ex art.700 c.p.c. vale a dire il fumus boni iuris e il periculum in mora discendono quasi de plano, considerando da un lato che nello stalking è evidente la lesione dell’autodeterminazione della vittima, mentre dall’altro, sussiste il “periculum in mora, rappresentato dalla innegabile inidoneità del giudizio ordinario a garantire l’effettività della tutela, “posto che nelle more del giudizio i comportamenti persecutori avrebbero continuato ed aggravato la lesione escludendo in radice la possibilità di un risarcimento in forma specifica- unica forma di risarcimento cui tende la vittima dello stalker, il cui obiettivo primario è senz’altro la cessazione delle molestie e delle persecuzioni-”(Avv. Maria Luisa Missiaggia, cit).
Si auspica in futuro, un orientamento piu’ favorevole o comunque meno restrittivo nei confronti delle vittime, in sede cautelare. Piuttosto, venendo alle voci di danno che possono essere risarcite in caso si accertamento di condotte intimidatorie- e pur non addentrandoci nella disamina della nota sentenza delle S. U. 26972/2008, la vittima dello stalking presumibilmente subirà riflessi negativi sulle sue capacità lavorative (danno patrimoniale) del danno non patrimoniale, sub specie del danno alla sua salute (danno biologico) e sulla sua vita di relazione (danno esistenziale)- ammesso – e non concesso- che ancora si possa disquisire dopo la sentenza delle S.U. citata, della categoria del danno esistenziale quale autonoma figura di danno.