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La violenza dopo Natale

Basilica di Santo Stefano, Bologna
Basilica di Santo Stefano, Bologna

La pedagogia della Chiesa

Quando vogliamo ricordare o celebrare qualcosa, sia esso un evento o una persona, tendiamo a celarne la natura dietro a dei simboli. Questi segni, che apparentemente nascondono l’evidenza della verità fra le pieghe del loro manto, in verità stimolano proprio quella ricerca che, se portata avanti, conduce ad una più profonda conoscenza della realtà. Un po’ come quando, scorgendo un dipinto il cui soggetto non sia immediatamente evidente, ci troviamo a dedicarvi più tempo ed attenzione di quella riservata al bel paesaggio appeso a fianco.

Quando tali segni diventano numerosi, ordinati e complessi nel loro interagire, danno vita a veri e propri linguaggi; questi, se interpretati, permettono di scorgere filigrane altrimenti celate nella trama dell’oggetto. Una cosa simile accade per l’ordinamento dell’anno liturgico. Anche se noi, semplici fedeli, spesso non lo avvertiamo, se non a livello inconscio, la disposizione delle diverse celebrazioni, nonché delle rispettive letture, nasconde l’intento della Santa Madre Chiesa d’istruire i suoi figli. Per questo se provassimo, specie nei tempi forti, a scoprire il significato celato dietro all’accostamento di specifiche festività e memorie, potremmo trovare preziosi insegnamenti spirituali.

Una cosa del genere accade per il Natale. Vi siete mai chiesti perché, a fianco della magnificenza e della genuina gioia di questa festa, la Chiesa ci propone episodi tanto luttuosi e tristi quanto il martirio di santo Stefano e la festa dei Santi Martiri Innocenti?

 

Non si dà indifferenza

Non ho le competenze per rispondere a questa domanda da storico della liturgia per cui, con i miei poveri mezzi, cercherò di scoprire non come questa disposizione sia giunta ma perché venga conservata. Nell’applicare questa prospettiva alla questione, darò per scontato che la Chiesa, oltre al giusto rispetto delle consuetudini, consideri anche, nel mantenere determinate pratiche, l’intento di promulgarne un certo significato.

Venendo a noi, è innegabile che le festività del ventisei e del ventotto dicembre ci lasciano un certo sapore amaro. Leggendo i brani degli Atti degli Apostoli[1] e del Vangelo secondo Matteo[2] proposti dalla liturgia, dobbiamo ammettere che alla gloria del martirio ivi esaltata fa da contraltare una sofferenza ed una brutalità difficili da immaginare. Queste pagine del Nuovo Testamento, costruite per non soffermarsi troppo sulla violenza degli atti, non riescono tuttavia a celare l’efferatezza e la cieca crudeltà del male. Ciò non scandalizza di per sé il cristiano, già avvertito dal Maestro circa l’amarezza dei frutti del discepolato[3], ma riesce a sorprenderlo per la prossimità alla grande gioia del Natale. Anche se l’episodio della strage degli innocenti ha anche una continuità cronologica con il racconto della natività, l’accostamento al martirio di santo Stefano, invece così distante, suggerisce una chiave di lettura differente.

A fronte dell’immenso dono che il Signore ci ha fatto nel Suo Figlio, l’umanità descritta ha due reazioni, tanto opposte quanto potenti: l’adorazione e la violenza del rifiuto. Questa terribile realtà è vera a prescindere dalla modalità del dono: sia la nascita dal ventre di una donna sia la genuina testimonianza di una santa vita sono, nella loro diversità, veicoli attraverso i quali Cristo si offre agli uomini ed in risposta ai quali sorgono questi due atteggiamenti.

Possiamo concludere quindi che l’elemento su cui la Chiesa vuole spingerci a riflettere è la radicalità delle risposte che l’autentica proposta di Gesù genera. Quando il donarsi del Signore viene reso evidente e presentato attraverso una limpida testimonianza, che non ne offuschi lo splendore, la reazione di chi guarda non può essere tiepida, bensì forte in proporzione alla portata dell’offerta.

 

S’accorsero d’essere nudi

Se proviamo ad approfondire la questione, ci rendiamo conto che ciò che Gesù ci offre, donando se stesso, è la possibilità di dare un corpo all’umano desiderio del bene. San Tommaso d’Aquino c’insegna che la volontà umana desidera naturalmente e necessariamente la propria beatitudine, ossia quel bene nel quale trova il suo pieno compimento[4]. Nessuno sfugge a tale necessità: perfino i suicidi, che più di ogni altro sembrano andare contro il proprio interesse, in realtà mirano, rinunziando alla propria vita, ad una felicità che si riduce alla cessazione della sofferenza.

Il problema è che, per riprendere un’immagine dello stesso Tommaso, se tutti sappiamo di voler attraversare il mare, non siamo tuttavia d’accordo sui mezzi utili a farlo. Se quindi, per esempio, chiedessimo a qualcuno se desidera essere felice, la risposta sarebbe sicuramente positiva; ma se chiedessimo ad altrettanti individui come intendono farlo, le risposte sarebbero diversissime.

Ora, se da un lato è innegabile che ognuno ha il diritto, concessogli da Dio stesso, di applicare la propria libertà a questa ricerca, dall’altro è innegabile che ogni proposta forte e concreta in tal senso non può lasciare indifferenti. Se, tornando all’immagine di prima, tutti sono liberi di scegliere il veicolo migliore per attraversare il mare, la proposta di uno che possiede una bella nave salda e sicura non può essere ignorata.

La nascita di Cristo, nel mondo duemila anni fa ed in noi ogni giorno, perlomeno per coloro cui è resa evidente, rappresenta una risposta forte e netta alla domanda esistenziale circa la via, l’unica Via, che porta a compimento l’umana ricerca del bene e quindi della felicità. Ecco che la Chiesa allora ci mette in guardia: a fianco di chi riconoscerà la veridicità della proposta e la bontà del dono di Dio, vi saranno sempre altri che scorgeranno in essa un tentativo di minare quel fragile mondo da loro edificato.

Gli atti di estrema violenza che l’anno liturgico affianca al Natale sono quindi un serissimo ammonimento: annunciare non una verità ma la Verità, e farlo con la chiarezza che è propria dell’Incarnazione, implica togliere, a chi non vuole riconoscerla, ogni sostegno. Il peccatore non vedrà quindi in quella venuta una benedizione, bensì il violento tentativo di sottrargli quel centro, quel cuore, cui indebitamente ha posto sulle spalle la responsabilità di soddisfare il suo desiderio di compimento.

Come giustamente fa notare un mio confratello, commentando uno scritto di san Tommaso sull’argomento[5], questo male cieco dell’uomo scaturisce non da un semplice errore della volontà nel volgersi al proprio bene, ma da un suo disordine. Tale elemento è la vera radice del peccato e, dando una dimensione assoluta a beni particolari, porta ad usare la violenza per difendere un argomento altrimenti sopraffatto dalla realtà.

Quando festeggiamo il Natale, ricordiamoci sempre del pericolo che corriamo, poiché non v’è nemica peggiore per la menzogna dell’evidenza della verità. Di fronte ad essa, chi vive fondandosi sulla falsità teme di rimanere nudo e, come ogni animale stretto all’angolo, diventa estremamente pericoloso.

 

[1] Cf At 6, 8-10.12; 7, 54-60.

[2] Cf Mt 2, 13-18.

[3] Cf Mc 10, 30.

[4]Cf Tommaso d’Aquino, La Somma Teologica, Prima Parte, questione 80, articolo 1, testo latino e nuova traduzione, ESD, Bologna 2014.

[5] Cf Attilio Carpin, Il mistero del male (in Sacra Doctrina 54), ESD, Bologna 2009, p.176.

Testi consigliati

  • Attilio Carpin, Il mistero del male (in Sacra Doctrina 54), ESD, Bologna 2009.
  • Tommaso d’Aquino, La Somma Teologica, Prima Parte, testo latino e nuova traduzione, ESD, Bologna 2014.