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L’agente provocatore - Der Tatprovokateur - CPP austriaco

L’agente provocatore - Der Tatprovokateur - CPP austriaco
L’agente provocatore - Der Tatprovokateur - CPP austriaco

Indice

I. L’agente provocatore e la giurisprudenza passata dell’OGH;

II. L’articolo 6 della CEDU;

III. L’unzulässige Tatprovokation e il § 5, comma 3, StPO;

IV. Conseguenze dell’unzulässigen Tatprovokation fino al 2016;

V. Sentenze della Corte europea dei Diritti dell’Uomo;

VI. L’unzulässige Tatprovokation comportava soltanto la concessione di un’attenuante;

VII. Il § 1 della legge federale n. 26/2016;

VIII. Alcune sentenze della Corte di Cassazione in materia di agente provocatore

 

I. L’agente provocatore e la giurisprudenza passata dell’OGH

L’intervento di un agente provocatore nella fase che precede la commissione di un reato, ha dato luogo, anche nell’ordinamento austriaco, a problemi tutt’altro che trascurabili, specie con riferimento ai limiti e alle conseguenze einer unzulässigen Tatprovokation, vale a dire, di un intervento illecito di agenti di polizia operanti “sotto copertura” o di una persona che agisce su “indicazione” degli stessi.

La ratio del c.d. Lockspitzelverbot è che il provocato non dovrebbe essere punito per un reato che è stato commesso per effetto dell’“intervento” degli inquirenti o di chi è ”al servizio” degli stessi. Lo Stato e i suoi organi devono limitarsi ad accertare fatti costituenti reato e, nei limiti del possibile, a prevenirli, ma non “neue Straftaten durch Provokation zu produzieren”. Ciò dovrebbe essere indegno di uno Stato democratico che non può farsi “complice” di uno Straftäter.

Come vedremo, anche l’OGH, la Suprema Corte austriaca (analogamente a quanto ha fatto il Bundesgerichtshof (BGH) della RFT), ha ritenuto, fino a poco tempo fa, che eventuali violazioni del Lockspitzelverbot, vale a dire, un’unzulässige Tatprovokation, abbia per conseguenza soltanto la concessione (obbligatoria) di un’attenuante, che comporta una riduzione di pena per il condannato; è, questa, la c.d. Strafzumessungslösung.

Si riteneva che una diminuzione di pena fosse un’ausreichende Kompensation per l’avvenuta violazione dell’articolo 6 CEDU (Convenzione europea dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali del 1950). L’OGH, per molto tempo, non ha tenuto conto del fatto che la Corte europea dei diritti dell’uomo (C.edu) aveva più volte sentenziato (si veda, p. es., la sentenza Furcht c. RFT) che la violazione dell’articolo 6 della CEDU (che prevede il diritto di ogni persona a un processo equo), doveva comportare “ein umfassendes Beweisverwertungsverbot für die aus der Provokation resultierenden Beweise oder ein Verfahren mit vergleichbaren Konsequenzen”. Anche nell’articolo 47, comma 2, della Carta dei diritti fondamentali dell’UE (nella quale, peraltro, vi è (articolo 52) un richiamo alla CEDU), è sancito il diritto di ogni persona auf ein faires Verfahren. Questo diritto viene considerato uno dei principi generali dell’ordinamento dell’UE dopo l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Il “recepimento” della CEDU non preclude che il diritto dell’Unione conceda una protezione più estesa.

I Supremi Giudici hanno “giustificato” la loro Rechtsauffassung osservando che la C.edu, nella sentenza Teixeira de Castro c. Portogallo del 9.6.1998, aveva “censurato” soltanto l’entità della pena inflitta e non la condanna di per se’, per cui, a loro avviso, alla violazione dell’articolo 6 CEDU (che ha sancito il diritto di ogni persona a un fairen Verfahren (a un processo equo)), non doveva necessariamente conseguire un divieto di utilizzabilità delle prove raccolte (per effetto dell’intervento dell’agente provocatore) o una Verfahrenseinstellung (cfr. Furcht c. RFT dd. 23.10.2014).

Nonostante l’OGH non abbia mutato la propria giurisprudenza, autorevole dottrina si era espressa nel senso che la Strafzumessungslösung non costituisse una compensazione adeguata (o comunque sufficiente) per la violazione dell’articolo 6 EDU.

La facoltà, concessa al condannato, di proporre Einspruch wegen Rechtsverletzung ai sensi del § 106 StPO, è stata ritenuta un rimedio poco soddisfacente - e, soprattutto - poco utile per il provocato condannato, per cui è stato chiesto che in caso di unzulässiger Tatprovokation, la sanzione fosse l’inutilizzabilità del materiale probatorio ottenuto per effetto di questa trasgressione dei limiti del lecito da parte degli inquirenti, la cui attività deve – sempre e comunque – ispirarsi al criterio di legalità’. Non pare necessario accennare al fatto che le conseguenze dell’unzulässigen Tatprovokation possono essere gravi per il condannato, tanto più che il ricorso a questo mezzo avviene prevalentemente nell’ambito della repressione di reati contro il Suchtmittelgesetz (che corrisponde, in un certo qual modo, al DPR 309/1990 dell’ordinamento italiano) e che, anche in Austria, prevede pene severe che non di rado devono essere espiate per intero.

 

II. L’articolo 6 della CEDU

È overoso dare atto che le c.d. verdeckten Ermittlungen non contrastano, di per se’, con l’articolo 6 CEDU. Tuttavia la C.edu ha posto ben precise condizioni per il loro impiego legittimo, tra le quali vanno menzionate la previa autorizzazione da parte dell’autorità giudiziaria e che l’attività degli inquirenti impiegati in operazioni del genere, venga überwacht, vale a dire, controllata.

Che la C.edu non veda di buon occhio metodi d’indagine ai limiti della legalità risulta pure dal fatto che in questi casi vi è una vera e propria Beweislastumkehr nel senso che se il condannato – per un reato, alla cui origine vi è un’unzulässige Tatprovokation - deduce, che le prove che hanno determinato l’assunzione della qualità di imputato, sono state ottenute in violazione dell’articolo 6 CEDU e se queste deduzioni non sono da considerare (manifestamente) infondate, è la Pubblica Accusa a dover provare che il Vorwurf  unzulässiger Tatprovokation è privo di valido fondamento. È ovvio che la Beweislastumkehr contribuisce, in modo rilevante, ad una ausreichenden Wahrung der Verteidigungsrechte des Angeklagten.

Va anche rilevato che nell’ordinamento processual-penale austriaco, vige il principio der amtswegigen Wahrheitserforschung, per cui Strafverfolgungsbehörden sono obbligate ad appurare tutti i fatti rilevanti ai fini dell’accertamento della verità (§ 3 StPO). Vi sono però Grundrechte dell’indagato/imputato, che il legislatore ha ritenuto più importanti dell’accertamento dei fatti, che non deve avvenire in ogni modo e ad ogni costo.

Nella sentenza Furcht c. RFT dd. 23.10.2014 – 54.648/09, la C.edu si era, infatti, espressa nel senso che l’interesse alla lotta alla criminalità non può “giustificare” l’utilizzazione di elementi di prova ottenuti per effetto di un’unzulässigen Tatprovokation, dato che in tal caso, l’indagato/imputato sarebbe esposto, sin dall’inizio del procedimento, a veder pregiudicato il diritto a un fairen Verfahren (a un processo equo). Ha rilevato, altresì, la C.edu, che la Strafzumessungslösung (concessione di un’attenuante con conseguente riduzione di pena), non è atta a costituire un Ausgleich (una compensazione) per la violazione integrata da unzulässiger Tatprovokation. Occorre che le prove ottenute per effetto dell’impiego di “mezzi” del genere, non siano utilizzabili nel processo oppure che venga prevista una conseguenza che conduce a un risultato analogo.

Dall’inutilizzabilità di queste prove conseguirebbe, spesso, un’assoluzione dell’imputato per mancanza/insufficienza di prove sulla responsabilità dello stesso. Come vedremo in ulteriore prosieguo di quest’articolo, il legislatore austriaco, sia pure dopo un lungo periodo di “inattività’”, ha (finalmente) “colto la palla al balzo” (così si potrebbe dire), prevedendo, nello Strafprozessrechtsänderungsgesetz del 2016,  che il PM, qualora vi sia stata unzulässige Tatprovokation (§ 5, comma 3, StPO), deve procedere ad archiviazione. Cosí si evita pure la celebrazione di processi inutili.

La previsione dell’obbligo di archiviazione, com’è stato osservato da autorevole dottrina, oltre a costituire una drastica Konsequenz, ha altresì una non trascurabile Disziplinierungswirkung per gli inquirenti a osservare i limiti zulässiger Ermittlungshandlungen. Va osservato in proposito che anche la RFT ora sembra “adeguarsi” ai postulati della C.edu, in quanto, con sentenza dd. 10.6.15 – 2 StR 97/14, del BGH (Suprema Corte federale), in un caso di (unzulässiger) Anstiftung zu einer Straftat durch die Polizei, ha statuito che avrebbe dovuto procedersi a Verfahrenseinstellung (NDP).

In Austria, l’impiego di agenti provocatori è avvenuto (persino) nei confronti di medici non troppo rigorosi nel rilascio di certificati sanitari. Il ricorso a questa Bespitzelung è stato ritenuto unverhältnismäßig dall’Ordine dei Medici, che, in un comunicato stampa, aveva anche detto che un simile modo di “indagare” sarebbe indice di un Generalverdacht nutrito dagli inquirenti nei confronti dei sanitari. Secondo due pareri redatti da un professore di diritto costituzionale e risp. di diritto penale, l’impiego di agenti provocatori nei confronti dei sanitari, sarebbe incostituzionale.

 

III. L’unzulässige Tatprovokation e il § 5, comma 3, StPO

Ciò premesso, va rilevato che si ha unzulässige Tatprovokation tutte le volte in cui una persona viene indotta da un organo dello Stato (o da chi agisce “per conto” dello stesso), a commettere un reato (ved. p. es. OGH – Corte di cassazione austr. – 120s 5 16/a). Si parla in proposito anche di nicht legitimer, verdeckter Ermittlung, se è riscontrabile la violazione del § 5, comma 3, StPO (CPP) e del principio di un processo equo, sancito dall’articolo 6 della CEDU, ratificata anche dall’Austria.

La norma ora citata, il c.d. Lockspitzelverbot, prevede espressamente come unzulässig che gli inquirenti, (specie) se operanti “sotto copertura”, inducano una persona a commettere reato. Il Tatprovokationsverbot sussiste indipendentemente dal fatto che l’autore della provocazione sia un inquirente oppure agisca per conto delle Strafverfolgungsbehörden. La ratio del § 5, comma 3, StPO, è, peraltro, duplice; s’intende, da un lato, assicurare la Verfahrensfairnes, proibendo allo Stato di farsi complice di un reato, dall’altro lato, di garantire il rispetto del diritto dell’indagato al silenzio (Schweigerecht). Quest’ultimo diritto puo’, infatti, essere vanificato, se gli inquirenti p. es. si avvalgono di una persona con il “compito” di raccogliere le confidenze di un detenuto sul reato eventualmente commesso.

L’espressione “verleiten” (istigare/indurre), utilizzata nel comma 3 del § 5 StPO, è da intendere nel senso di provocare in un’altra persona il Tatentschluss, o, meglio, das Erwecken eines Tatentschlusses (cfr. OGH St 47/30), la sollecitazione della decisione di commettere un reato; decisione che, prima dell’istigazione/induzione, era inesistente. In proposito si fa riferimento al § 12, 2^ parte, dello StGB (CP), che equipara all’unmittelbaren Täter coloro che “bestimmen einen anderen, eine strafbare Handlung auszuführen oder sonst zu ihrer Ausführung beizutragen (istigano un’altra persona a commettere un reato oppure a “contribuire”, in altro modo, all’esecuzione del medesimo). Nel primo caso si parla di Bestimmungstäter, nel secondo, di Beitragstäter.

La Bestimmung, pertanto, non si esaurisce in un semplice contributo alla Tathandlung, in una Beitragshandlung (cfr. OGH 120s 21/03 e 110s 37/06 k), anche se va precisato che nel caso della Bestimmung, non occorre una particolare intensità dell’attività di  indurre, di istigare, a commettere un reato; ne’ è necessario che l’istigatore abbia di mira che il provocato compia un reato ben determinato in tutti i suoi particolari (cfr. OGH  47/30). La Tatprovokation è affetta da illiceità, nel caso in cui il provocato è una persona soltanto sospettata (Verdächtiger), ma anche se è un indagato. L’istigazione può essere diretta a una sola persona o a più persone.

Non costituendo la bloße Beitragshandlung Tatprovokation, ad agenti operanti “sotto copertura”, è consentito, p. es, fingersi acquirenti di sostanze stupefacenti, se ciò viene posto in essere nell’ambito di attività istituzionale tesa alla repressione del commercio di droghe. Ai fini della liceità delle verdeckten Ermittlungen, è necessario altresì che vengano rispettati i limiti di cui al § 131 StPO. Sussiste Tatprovokation, qualora “l’influire” degli inquirenti sul provocando travalichi considerevolmente determinati limiti, in modo che possa essere qualificato come “erheblich”. In tal caso è ravvisabile la violazione del principio “des fairen Verfahrens” quale previsto dall’articolo 6 CEDU.

Ai fini della valutazione, se la Tatprovokation sia erheblich o meno, la Corte europea dei diritti dell’uomo[1] ha elaborato criteri che sono poi stati recepiti, sia pure tardivamente, dalla Corte suprema (OGH) austriaca (cfr. OGH 120s 5/16° e OGH 110s 162/16h).

1)Anzitutto occorre la sussistenza di elementi di sospetto – di natura oggettiva – che il provocando sia persona non aliena al compimento di attività criminose; 2) che nella stessa sia riscontrabile una tendenza a delinquere; 3) che gli inquirenti esercitino pressioni sul provocando nel senso che questi viene ripetutamente contattato dagli inquirenti nonostante abbia, almeno, in un primo momento,  declinato l’invito e se gli inquirenti hanno continuato nelle loro sollecitazioni e nella loro opera di “persuasione”. In questo caso non può di certo parlarsi di un atteggiamento passivo delle Strafverfolgungsbehörden; ci troviamo di fronte ad una vera e propria Verleitung zur Begehung einer Straftat, un’istigazione a commettere un reato, che, altrimenti, non verrebbe commesso senza “l’opera” degli inquirenti (cfr. RS 0130354).

Non vi è unzulässige Tatprovokation, se una persona è stark tatgeneigt (ha una forte tendenza a delinquere), che avrebbe commesso il reato anche senza le sollecitazioni, persuasioni, pressioni, da parte degli agenti operanti “sotto copertura” (cfr. OGH 130s 73/08x  e OGH 110s 126/04.).

È da osservare che anche la Tatgeneigtheit (tendenza a delinquere) del provocando deve essere valutata in base a criteri oggettivi. Uno dei criteri oggettivi può essere il fatto che il provocando sia stato, più volte, condannato per reati della stessa specie, anche se questo fatto, di per se’ solo,  non può integrare la Tatgeneigtheit. Si rinvia, in proposito, a quanto già esposto sopra.

IV. Conseguenze dell’unzulässigen Tatprovokation fino al 2016

Quali sono le conseguenze di un’unzulässigen Tatprovokation, della violazione del § 5, comma 3, StPO e dell’articolo 6 CEDU?

Dispone il § 133, comma 5 della StPO austriaca che in questo caso il PM è obbligato a procedere ad archiviazione ai sensi del § 190, n. 1, StPO (“Nichtverfolgung, weil aus rechtlichen Gründen unzulässig”). Se il PM non provvede in tal senso, l’indagato ha facoltà di proporre istanza di archiviazione al giudice (Antrag auf Einstellung des Ermittlungsverfahrens) ai sensi del § 108, 1° c., n. 1, 2^ pt., StPO).

Se vi è già stata Anklageerhebung e se risulta che è avvenuta un’unzulässige Tatprovokation, il giudice è obbligato a emanare ordinanza (Beschluss), con la quale sospende il procedimento fino al termine del dibattimento; ciò in applicazione del combinato disposto dei §§ 133, comma 5, 2 p.te  e 191, comma 2, StPO[2].

Diversamente da quanto previsto per altri Verfolgungshindernisse (p. es. se è stato violato il principio del ne bis in idem), nel caso di unzulässiger Tatprovokation, non deve essere pronunziata sentenza di assoluzione ai sensi del § 259, n. 3, StPO, ma va emanata ordinanza di non doversi procedere (Einstellungsbeschluss). Contro quest’ordinanza il PM può proporre reclamo (Beschwerde) alla Corte d’appello ai sensi del § 87, comma 1, StPO, mentre l’imputato, in caso di condanna, se la difesa del condannato reputa che il giudice di 1 grado erroneamente non abbia ravvisato un’unzulässige Tatprovokation, ha soltanto la facoltà di proporre Nichtigkeitsbeschwerde, con conseguente Neuerungsverbot, mentre questo divieto non è operante per il PM che propone Beschwerde.

 

V. Sentenze della Corte europea dei Diritti dell’Uomo

La Corte europea dei Diritti dell’Uomo (C.edu), sin dalla sentenza Teixeira di Castro c. Portogallo, ha subordinato a precise condizioni l’utilizzabilità di prove ottenute per effetto dell’impiego di un agente provocatore con riferimento alla compatibilità con l’articolo 6 CEDU. L’uso di agenti infiltrati, anche se impiegati al fine di reprimere gravi forme di criminalità (p. es. il traffico di stupefacenti), non può avvenire senza idonee garanzie e non può ritenersi giustificata l’utilizzabilità di materiale probatorio ottenuto a seguito di una provocazione o di un incitamento al crimine esercitato da forze di polizia (si vedano in particolare le sentenze della C.edu dd. 4.11.2010 – Bannikova c. Russia e dd. 5.2.2008 – Ramanauskas c. Lituania). Il c.d. entrapment contrasta con i principi sanciti dall’articolo 6 CEDU, mentre l’uso di agenti infiltrati viene ritenuto non incompatibile con il citato articolo 6, se l’agente infiltrato svolge una semplice opera di controllo e di contenimento dello sviluppo di propositi criminali già esistenti e se l’attività delle forze dell’ordine è “supervisionata” da un’autorità giudiziaria (si vedano p. es. le sentenze Lüdi c. Svizzera  dd. 15.6. 1992 e Sequeira c. Portogallo dd. 6.5.2003).

 Nel caso dell’agente provocatore che agisce al di fuori di un “incarico” autorizzato e senza il controllo da parte dell’autorità giudiziaria, che entra in contatto con persone, la cui predisposizione al crimine non risulta da elementi oggettivi, istigando le stesse a delinquere con il solo scopo di procedere all’arresto delle stesse, è ravvisabile una chiara violazione dell’articolo 6 CEDU. Da ciò emerge che organi di polizia possono – lecitamente – “unirsi” ad attività criminale per sorvegliarla, ma non per iniziarla, per provocarla (cfr. C.edu dd. 24.6.2008 – Miliniene c. Lituania) e che la legge nazionale degli Stati non deve consentire l’utilizzazione di prove ottenute per effetto di un incitamento da parte di organi di polizia (cfr. C.edu dd. 15.12.2005 – Vanyan c. Russia). In uno Stato democratico il ruolo delle forze di polizia è limitato alla protezione della collettività (e ad attività di prevenzione) contro la criminalità esistente e non può consistere nell’incitamento alla commissione di reati.

Per quanto concerne l’onere della prova circa l’avvenuto ricorso a mezzi e metodi contrastanti con l’articolo 6 CEDU, la C.edu ha sentenziato che qualora un imputato presenti allegazioni non manifestamente infondate di esser stato vittima di agenti provocatori, la Beweislast incombe alla Pubblica Accusa, che deve dimostrare che non vi è stato incitamento (o induzione) da parte di organi di polizia. Se tale prova non viene fornita, il giudice di merito deve esaminare attentamente il materiale disponibile e dichiarare non ammissibile ogni elemento (di prova) a carico, ottenuto in violazione dell’articolo 6 CEDU (cfr. C.edu – sent. Bannikova e sent. Ramanauskas).

 

VI. L’unzulässige Tatprovokation comportava soltanto la concessione di un’attenuate

Vediamo ora se e in quale misura la giurisprudenza dell’OGH austriaco ha tenuto conto delle pronunzie della C.edu, che sopra abbiamo elencato. Va osservato in proposito che l’höchst - richterliche Judikatur, in caso “unzulässiger, dem Staate zuzurechnender Tatprovokation” (in altre parole, se vi è stato incitamento a commettere reato da parte di organi di polizia o se questi hanno esercitato pressioni), aveva ritenuto, per non pochi lustri, dopo la ratifica della CEDU e fino alla metà del 2016, che la suddetta Tatprovokation potesse costituire soltanto un Milderungsgrund, un’attenuante (cfr. p. es. 150s 72/07p – 130s 73/08x – 110s 126/04).                                               

L’unzulässige Tatprovokation veniva ravvisata dall’OGH qualora, per effetto del comportamento di un organo dello Stato, una persona venisse istigata a commettere un reato che, in assenza dell’istigazione, certamente non avrebbe commesso (cfr. OGH 12Os 5/16 a  e RS 0130354). In altre parole, l’intervento di agenti di polizia operanti quali verdeckte Ermittler, deve porsi quale causa determinate per la commissione del reato da parte del provocato.

L’unzulässige Tatprovokation si distingue dalla (lecita) c.d. verdeckten Ermittlung, se coloro che agiscono per conto dello Stato, non si limitano a un atteggiamento sostanzialmente passivo (im Wesentlichen passive Haltung), ma inducono (o, meglio, provocano) la persona a commettere un reato, contatando ripetutamente la Zielperson (il provocando), invitando la stessa ad agire, persuadendola e/o mettendola sotto pressione psicologica (p. es. con un ricatto). Va osservato che il ministro dell’Interno (BMI) aveva emanato un c.d. Grundsatzerlass zur verdeckten Ermittlung (GZ BMI – KP 1000/0008/Bk 5. 3/2011), nel quale erano state determinate le direttive per gli organi di polizia operanti quali verdeckte Ermittler. 

Nelle sentenze dell’OGH 110s 37/06k, 130s 11/07 b, 120s 96/05x e in molte altre, per tanti lustri, dopo la ratifica della CEDU, è stato sostenuto che un’unzulässige Tatprovokation (che viola il fair-trial-Gebot di cui all’articolo 6 CEDU) non possa costituire, ne’ uno Straflosigkeitsgrund, ne’ un prozessuales Verfolgungshindernis; dell’unzulässigen Tatprovokation poteva essere tenuto conto unicamente in sede di determinazione della pena (Strafzumessung). La tesi, prospettata da difensori in molti ricorsi all’OGH, che un’unzulässig  provozierte Straftat avrebbe dovuto avere per conseguenza un Verfolgungshindernis oppure un materiellen Strafausschlussgrund, non era mai stata condivisa dagli Höchstrichter, che hanno sempre ritenuto che con la concessione di un Milderungsgrund, si sarebbe ovviato alla violazione dell’articolo 6 CEDU (la Gewährung dell’attenuante veniva ritenuta una specie di “equa riparazione” dell’avvenuta Konventionsverletzung). Sul punto, la giurisprudenza dell’OGH, è rimasta univoca per molto (anzi, per troppo) tempo.

Va però osservato che altrettanto univoca è stata, nel corso degli anni, la Judikatur dell’OGH, secondo la quale il giudice di merito doveva fare non soltanto espressa menzione – della concessione dell’attenuante – nella sentenza di condanna, ma doveva altresí specificare, espressamente, l’entità della riduzione di pena operata per effetto della Gewährung des Milderungsgrundes (“ausdrückliche und messbare Strafmilderung” – RS 0119618 e RS 0116456) come conseguenza dell’unzulässigen Tatprovokation. Doveva quindi essere “bei der Sanktionsfindung berücksichtigt”. Non sono state poche le sentenze annullate (con rinvio) dalla Suprema Corte, per mancata, espressa, indicazione dell’entità di riduzione della pena per effetto della concessione dell’attenuante de qua in sede di determinazione della pena.

 

VII. Il § 1 della legge federale n. 26/2016

Come sopra esposto, ci è voluto l’intervento del legislatore per “provocare” un mutamento della giurisprudenza dell`OGH. Infatti, per effetto del § 1 dello Strafprozessrechtsänderungsgesetz (n. 26/2016), il § 133 StPO è stato integrato con il comma 5 del seguente tenore: ”Von der Verfolgung eines Beschuldigten wegen der strafbaren Handlung, zu deren Begehung er nach § 5, Abs. 3, StPO verleite wurde, hat die Staatsanwaltschaft abzusehen. § 191, Abs. 2, gilt sinngemäß”. Questa norma è entrata in vigore l’1.6.2016. In sostanza, il predetto comma prevede un Verfolgungshindernis, per cui il PM non è tenuto a procedere, se si tratta di un reato che sarebbe procedibile d’ufficio e va disposta l’archiviazione.

È da osservare che l’intervento del legislatore ha tardato parecchio e che la c.d. Strafzumessungslösung, con la semplice concessione di un’attenuante in caso di unzulässiger Tatprovokation (anziché ravvisare un Verfolgungshindernis o un materiellen Strafausschließungsgrund), è stata molto criticata e non era, comunque, conforme allo spirito dell’articolo 6 CEDU, che sancisce il diritto dell’indagato/imputato “auf ein faires Verfahren”. È fuor di ogni dubbio che se organi di polizia istigano o comunque inducono una persona a commettere reato, il procedimento che ne consegue, non può di certo considerarsi “fair”. Sta comunque di fatto che la “soluzione” adottata dal legislatore austriaco (non doversi procedere) in caso unzulässiger Tatprovokation, appare senz’altro da condividere, dato che non ci si limita a sanzionare l’inutilizzabilità delle prove acquisite contra legem, ma è previsto, in linea di massima, che il processo non debba nemmeno iniziare e, se iniziato, che debba essere sospeso o che, in ogni caso, non termini con una condanna, sia pure “addolcita” dalla concessione (obbligatoria) di un’attenuante, con conseguente riduzione di pena, ma pur sempre con una condanna originata da un modo non lecito di operare degli inquirenti.

VIII. Alcune sentenze della Corte di cassazione in materia di agente provocatore

Per quanto concerne la giurisprudenza della Corte di Cassazione italiana, premesso che la figura dell’agente provocatore non ha – finora – trovato una definizione esplicita nella legge (cfr. Cass. 38.488/2008), è da rilevare che la S.C. ha ritenuto non contrastante con l’articolo 6 CEDU l’azione dell’agente provocatore, se l’intenzione criminale nel provocato era già esistente allo stato latente, purché non venga determinata in modo essenziale (cfr. Cass. 20.238/2014 e Cass. 37.805/2013). Nel senso che ai fini dell’applicabilità dell’articolo 49 CP, l’azione criminosa non deve derivare in via assoluta ed esclusiva dall’istigazione dell’agente provocatore, si veda Cass. 11.915/2010. Non vi è violazione dell’articolo 6 CEDU, tutte le volte in cui l’attività dell’agente provocatore, lungi dall’essere determinante per la commissione del reato, si limiti a disvelare un’intenzione criminale (già’) esistente, ma allo stato latente, fornendo l’occasione per concretizzare la stessa (cfr. Cass. 26.763/2008).  Non vi è “provocazione illecita” qualora l’azione criminosa, voluta e realizzata dal “provocato” secondo impulsi e modalità concrete allo stesso autonomamente riconducibili, non derivi in via assoluta ed esclusiva dall’istigazione dell’agente provocatore, la cui attività costituisca un fattore estrinseco che ha dato spunto all’azione stessa.

Vi è invece contrasto con l’articolo 6 CEDU, tutte le volte in cui l’attività dell’agente provocatore è determinante - per la commissione del reato da parte del provocato – in modo tale che, senza la predetta attività’, il reato non sarebbe stato commesso.

Come risulta da quanto ora esposto, la giurisprudenza della Cassazione non è  univoca nel senso che nelle pronunzie n. 20.238/2014 e 37.805/2013, ai fini della ravvisabilità del contrasto con l’articolo 6 CEDU, è richiesto che la determinazione sia avvenuta in modo essenziale. Parimenti nella sentenza n. 11.915/2010 è stato ritenuto che l’azione criminosa posta in  essere dal provocato sia riconducibile “in via assoluta ed esclusiva” all’istigazione dell’agente provocatore. Secondo la sentenza n. 26.763/2008 invece l’attività dell’agente provocatore deve essere stata tutt’altro che determinante (“lungi dall’essere determinante”) per la commissione del reato (provocato), potendo la stessa essere (semplicemente) l’occasione, lo spunto, per la concretizzazione dell’intenzione criminale.

Per quanto concerne l’invocabilità dell’esimente dell’adempimento di un dovere (articolo 51 CP), la stessa, in materia di agente provocatore, può essere addotta unicamente nel caso in cui la condotta del medesimo non s’inserisca, con rilevanza causale, nell’“iter criminis”, ma intervenga in modo indiretto e marginale (Cfr. Cass. 47.056/2016).

Qualora la determinazione (del provocato) a commettere reato, provenga, oltre che da un agente provocatore, anche dall’attività di soggetti diversi da quest’ultimo, non è configurabile l’esclusione della punibilità prevista dall’articolo 49, cpv., CP, dato che l’attività dell’agente provocatore, in tal caso, costituisce un fattore (meramente) estrinseco (cfr. Cass. 16.163/2008 e 9.370/ 1996).

 

[1]  Si vedano in proposito le sentenze: 9.6.1998 – 25829/94 Teixeira de Castro c. Portogallo; 5.2.2008 – 74420/01 Ramanauskas c. Lituania; 4.11.2010 – 18757/2006 – Bannikova c. Russia; 23.10.2014 – 54648/2009 – Furcht c. RFT.

[2] Fuori dibattimento provvede il presidente del collegio. Nei procedimenti dinanzi alla Corte d’assise, è lo stesso Geschworenengericht a provvedere.