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L’arte e gli artisti: un’attività predominante

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Ph. Simona Cavucci / mercato

Fa parte dei periodi di avanzata decadenza l’esasperata predominanza che vengono ad assumere certe attività, un tempo parte del tutto nell’ordinato vivere civile, rivendicando priorità assurde quanto deleterie.

È il caso, nel nostro intronatissimo tempo, dell’arte e degli artisti, intellettuali in genere, saliti alla ribalta per interpretare il ruolo di salvatori dell’uman genere. L’importanza assunta dagli artisti nel mondo moderno, e in questi ultimi anni in particolare, è tale da non aver riscontro neppure (e tanto meno) nei secoli d’oro dell’arte. L’artista è pigiato, riverito, conteso e quasi deificato, mentre si cerca nell’arte il toccasana capace di portare tra gli uomini quella fratellanza che le formule politiche non hanno, almeno per ora, saputo trovare. Gli artisti, chiamati d’improvviso a sostenere ruoli da taumaturghi, non si sono fatti pregare per salire in cattedra e si fanno in quattro per confortare le attese in loro riposte.

Così: la vanità, il gigionismo e l’egocentrismo più smodati hanno avuto libero sfogo e i risultati li vediamo. Perduto il senso della misura, eppoi anche quello del ridicolo, ogni artista di un certo nome si ritiene ormai consacrato sull’altare della storia dell’arte e a questa sua gloria già avviata dedica unicamente i suoi sforzi. Gli imperatori del passato erigevano il proprio mausoleo, gli artisti attuali erigono il loro museo.

Convinti che i posteri non chiederanno di meglio che di prostrarsi davanti alla maestà delle loro opere, spendono le loro energie nel preparare il luogo del culto; non si era mai vista tanta sfacciata vanità, tanta tracotante prosopopea. Sono disposti a donare, a spendere di tasca propria, a rimetterci l’osso del collo o a piatire contributi statali, pur di assicurarsi la gloria eterna del museo, la riconoscenza e l’ammirazione dei posteri. Il pensiero che possa accadere esattamente il contrario non sfiora loro neppure la mente; l’idea che i posteri possano fare di gran belle risate constatando gli assurdi sforzi sostenuti da questi nuovi dei per assicurarsi in proprio l’immortalità, non turba i loro sonni.

È un segno dei tempi. Quando i valori di ordine superiore vengon meno, contestati dal demone democratico, tutto diviene possibile e ciò che prima sarebbe sembrato assurdo e innaturale finisce ora con l’assumere, non solo una parvenza di legalità, ma addirittura un incontestabile diritto di giustizia. Ed è ancora un segno dei tempi il fatto riscontrabile che ogni valorizzazione, a parole, di una qualsiasi attività o categoria di persone, si risolva invece proprio in una reale e totale svalorizzazione. 

Non è forse dimostrativo l’esempio offerto dai tanto rivendicati diritti della donna che si risolvono, in realtà, in uno squalificante sfruttamento della femmina ridotta alla stregua di uno dei tanti beni di consumo?  E così è per l’arte: incensata, valorizzata e diffusa, come non mai, è in realtà sconciata nelle sue forme e prostituita per ogni sorta di profani interessi.

Gli enti per il turismo, i comitati per le fiere paesane, le associazioni pro-loco, le parrocchie, le case del popolo, tutti si servono dell’arte e degli artisti per richiamare turisti e fare i loro meschini e privati interessi. In questi casi gli artisti scendono volentieri dall’Olimpo per fare i clowns da fiera; non vogliono perdere occasioni e son disposti a tutti i compromessi pur di figurare sulle pagine dei giornali o di essere inquadrati dal video. La guerra delle parole anche in questo campo ha vinto e, in balia delle parole il pubblico a suo modo pensante è stato ridotto allo stato di robot costantemente sotto carica.    

 

“Stralci”, 5 /5/1974