L’articolo 572 “Maltrattamenti contro familiari e conviventi” sul luogo di lavoro

L’articolo 572 “Maltrattamenti contro familiari e conviventi” sul luogo di lavoro
L’articolo 572 “Maltrattamenti contro familiari e conviventi” sul luogo di lavoro

Indice

1. Premessa

2. Inquadramento della fattispecie

3. Il caso ipotetico

4. Le decisioni di interesse

 

1. Premessa 

È sempre ipotizzabile il reato previsto e punito dall'articolo 572 del codice penale, laddove, vicende come quelle sotto narrate, abbiano avuto teatro in un contesto endo aziendale con caratteristiche para familiari, realizzatesi con modalità tipiche di una famiglia “allargata”.

Quando qui di seguito si andrà ad argomentare, è frutto del pensiero dell’autore, il cui riferimento a fatti e/o persone è da ritenersi del tutto casuale.

 

2. Inquadramento della fattispecie

Per molti, appare improbabile che, il reato di cui all’articolo 572 del codice penale possa trovare una sua collocazione anche giuslavoristica, dico meglio, in un ambiente di lavoro.

Ma, per coloro i quali hanno avuto modo di imbattersi in dinamismi assimilabili ai rapporti para familiari, rinvenibili sul posto di lavoro, la su evocata fattispecie può e deve essere analizzata e ricondotta, innanzi a fatti concreti, nell’alveo dei maltrattamenti contro familiari e conviventi. 

È chiaro che, in assenza dei presupposti per tale delitto, si può ritenere configurata la sussistenza di altri reati, configurabili, a titolo esemplificativo, a quelli di lesioni personali, di minaccia o piuttosto di ingiuria e violenza con le aggravanti di cui all’articolo 61 comma 11 del codice penale

Di conseguenza, per qualificare correttamente la fattispecie, è necessario aver appreso quegli elementi indispensabili, soggettivi ed oggettivi, che fanno poi la differenza, e saranno motivo di esclusione per l’applicazione di altri delitti quali quelli sopra enucleati. 

Comunque, prima di esaminare, compiutamente, il reato di cui all’articolo 572 del codice penale sotto il profilo giuslavoristico, è necessario rispolverare e ragionare, ancora una volta, sulla definizione di prestatore di lavoro subordinato ex articolo 2094 del codice civile

Il lavoratore subordinato, per tutti, dipendente, altri non è colui che mette a disposizione le proprie energie e il proprio tempo nei confronti di un altro soggetto, datore di lavoro, in modo continuativo, alle dipendenze e sotto la direzione di costui.

Quindi, è notorio che quel rapporto, anche in termini fattuali, si ostenta con una diuturnitas, un quotidiano agire in un ambiente che, solo all’apparenza, può definirsi estraneo all’ambiente familiare ma, come nel caso che andremo a raccontare, invece, non lo è affatto. 

All'opposto, assume una natura para-familiare, perché caratterizzato da relazioni intense e costanti e la soggezione di uno nei confronti dell’altro, tipica del sinallagma del rapporto di lavoro subordinato, ne diventa un elemento pregevole sotto il profilo dell’illecito in argomento. 

In effetti, dinamismi caratterizzati da atteggiamenti estremi, finalizzati a sminuire e/o annichilire la persona umana nell’ambito di una realtà, sia essa familiare o aziendale, allorquando si è sottoposti alla cura, vigilanza o custodia, o per l’esercizio di una professione o di un’arte, rendono fondata la fattispecie di maltrattamenti contro familiari conviventi.

 

3. Il caso ipotetico

In una impresa che occupa più di quindici dipendenti, in un dato sito lavorativo, da qualche anno, alcuni lavoratori, quotidianamente, vengono aggrediti, minacciati e costretti a essere veloci e produttivi sulla catena di produzione. 

A fornire loro questi ordini e vigilare sulla corretta esecuzione, è stato incaricato un prestatore al quel sono state attribuite delle mansioni di capo reparto, con il compito di organizzare, vigilare e sanzionare coloro i quali, a qualsiasi titolo, non si uniformavano alle sue richieste, tanto da pretendere un’obbediente esecuzione delle direttive impartite. 

Qualsiasi contestazione non era considerata, tanto che, emergeva, indubbiamente, che quei lavoratori erano assoggettati ad un volere unilaterale che escludeva, a priori, qualsiasi possibilità di contestazione e di manifestazione di volontà, quale strumento idoneo al legittimo esercizio di diritti riconosciuti dal nostro ordinamento e posti a baluardo (Legge 300 del 1970, articolo 2087 codice civile, Testo Unico 81/2008). 

Ancora, emergeva che le interessate si frequentavano anche al di fuori dell’ambiente lavorativo tanto che la di loro responsabile conosceva congiunture della loro vita privata che utilizzava, anche con l’uso di offese, quale mero espediente per ottenere prestazioni di lavoro, in palese violazione di Legge, con minacce di licenziamento, in assenza di poteri e legittimazione.

4. Le decisioni di interesse

Così fu che, quei prestatori si rivolsero all’Autorità giudiziaria che, ritenne quelle condotte, così acclarate, riconducibili alla violazione di cui all’articolo 572 del codice penale, nonostante questo principio, di diverso avviso.

“costituisce espressione del più recente indirizzo giurisprudenziale, ora nettamente prevalente, il principio per il quale non ogni fenomeno di mobbing e cioè comportamento vessatorio e discriminatorio, attuato nell’ambito di un ambiente lavorativo, integri gli estremi del delitto di maltrattamenti in famiglia, in quanto, per la configurabilità di tale reato, anche dopo le modifiche apportate dalla Legge 172 del 2012, è necessario che le pratiche persecutorie realizzate ai danni del lavoratore dipendente e finalizzate alla sua emarginazione (c.d. mobbing), si inquadrino in un rapporto tra il datore di lavoro ed il dipendente, capace di assumere una natura para-familiare, in quanto caratterizzato da relazioni intense ed abituali, da consuetudini di vita tra i soggetti dalla soggezione di una parte nei confronti dell’altra, dalla fiducia riposta dal soggetto più debole del rapporto in quello che ricopre la posizione di supremazia (Cassazione penale, Sez 6, n. 28603 del 28 marzo 2013, Sez 6, n. 16094 del 11 aprile 2012; Sez 6, n. 12517 del 28 marzo 2012), rapporto di soggezione anche psicologica che può assumere siffatte caratteristiche para-familiari in ragione della peculiarità dell’attività lavorativa prestata (si pensi alla relazione tra un maestro d’arte e il suo apprendista) ovvero delle dimensioni e natura organizzativa del luogo di lavoro (si pensi alla relazione tra padrone di casa e lavoratore domestico), cioè in situazioni nelle quali è possibile riconoscere quella sottoposizione all’altrui autorità ovvero quell’affidamento per l’esercizio di una professione o di un’arte, cui fa espresso riferimento l’articolo 572 codice penale. Con la conseguenza che, il delitto de quo, non è configurabile, anche in presenza di particolari condizioni lavorative, ad esempio, se la vicenda si sia verificata nell’ambito di una realtà aziendale sufficientemente articolata e complessa, in cui non è ravvisabile quella stretta ed intensa relazione diretta tra datore di lavoro e dipendente che determina una comunanza di vita assimilabile a quella del consorzio familiare (Sezione 6, n. 26594 del 06/02/2009), i cui interessi la norma incriminatrice de qua ha inteso proteggere”.

Tuttavia, nel caso sopra descritto, il tribunale ha ritenuto la fondatezza del reato di cui all’articolo 572 codice penale in quanto:

“la riferita situazione ambientale è sussumibile nel contesto lavorativo caratterizzato da quella che per comodità espositiva è stata qualificata come parafamiliarità intesa come sottoposizione di una persona all’autorità di altra in un contesto di prossimità permanente per le dimensioni e la natura del luogo di lavoro, di abitudini di vita proprie e fisiologiche alle comunità familiari per la stretta comunanza di vita, nonché di affidamento e fiducia del sottoposto (soggetto più debole) rispetto all’azione di chi ha ed esercita l’autorità con modalità, tipiche del rapporto familiare, caratterizzate da ampia discrezionalità ed informalità (Sezione 6 sentenze 24642 del 19.03.2014, 24057 del 11.04.2014, 13088 del 05.03.2014, 12517 del 28.03.2012, 26594 del 06.02.2009), tali condotte debbono essere sussunte nella più grave fattispecie di cui all'articolo 572 codice penale (in tal senso, per tutte, Sezione 6 sent. 24057/2014 cit.).”

In conclusione, è sempre ipotizzabile il reato in esame, laddove vicende come quelle narrate, abbiano avuto teatro in un contesto endo aziendale con caratteristiche para familiari, realizzatesi con modalità tipiche di una famiglia “allargata”.