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L’attestazione di intervenuta efficacia dell’aggiudicazione definitiva negli appalti pubblici

1. Premessa

Il D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, meglio noto come Codice degli appalti, prevede che la fase finale del procedimento di affidamento dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture sia suddivisa in due sottofasi. La prima è rappresentata dall’“aggiudicazione provvisoria”, la seconda, invece, dall’“aggiudicazione definitiva”. Quest’ultima, poi, diviene efficace a fronte della verifica del possesso dell’aggiudicatario dei requisiti previsti dall’ordinamento.[1]

L’efficacia dell’aggiudicazione definitiva è, dunque, subordinata all’esito positivo del controllo sul possesso dei prescritti requisiti. Il Codice, infatti, prevede all’art. 11, comma 5, che: “La stazione appaltante, previa verifica dell’aggiudicazione provvisoria ai sensi dell’articolo 12, comma 1, provvede all’aggiudicazione definitiva” e, al comma 8, quanto segue: “L’aggiudicazione definitiva diventa efficace dopo la verifica del possesso dei prescritti requisiti”.

All’art. 12, inoltre, è previsto che: “L’aggiudicazione provvisoria è soggetta ad approvazione dell’organo competente secondo l’ordinamento delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori, ovvero degli altri soggetti aggiudicatori, nel rispetto dei termini previsti dai singoli ordinamenti, decorrenti dal ricevimento dell’aggiudicazione provvisoria da parte dell’organo competente. In mancanza, il termine è pari a trenta giorni. Il termine è interrotto dalla richiesta di chiarimenti o documenti, e inizia nuovamente a decorrere da quando i chiarimenti o documenti pervengono all’organo richiedente. Decorsi i termini previsti dai singoli ordinamenti o, in mancanza, quello di trenta giorni, l’aggiudicazione si intende approvata”.

I “prescritti requisiti” possono essere individuati in quegli stessi di ordine generale previsti dall’art. 38: l’assenza di precedenti penali, l’inesistenza di inadempimenti agli obblighi del collocamento obbligatorio, del pagamento delle imposte e tasse, dei contributi previdenziali ed assistenziali (DURC), etc. Tali controlli non vanno confusi con quelli sul possesso dei requisiti “di ordine speciale”, cioè economico-finanziari e tecnico-professionali, la cui verifica è prevista dall’art. 48 e che risultano necessari per la formulazione della graduatoria di gara. Da ciò discende che il loro accertato difetto, ai sensi dell’art. 48, comma 2, comporta la “determinazione della nuova soglia di anomalia dell’offerta e alla conseguente eventuale nuova aggiudicazione”.

La verifica del possesso dei requisiti richiesti dall’art. 38 del D. Lgs. 163/2006 viene effettuata, ai sensi dell’art. 43 del DPR 445/2000, dalle stazioni appaltanti sulla scorta di quanto dichiarato dagli operatori economici in autocertificazione, acquisendo “d’ufficio le relative informazioni, previa indicazione, da parte dell’interessato, dell’amministrazione competente e degli elementi indispensabili per il reperimento delle informazioni o dei dati richiesti”.

2. I requisiti dell’aggiudicatario, l’atto di accertamento e il dies a quo

In merito alla corretta interpretazione da darsi alle fattispecie relative ai singoli requisiti di ordine generale è intervenuta copiosissima giurisprudenza e svariati atti dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, tra cui la ben nota Determinazione 12 gennaio 2010, n. 1.

In questa sede, d’altro canto, l’obiettivo è chiarire la natura dell’atto che attesta l’intervenuta efficacia dell’aggiudicazione definitiva a seguito dell’esito positivo della suddetta verifica e di formulare una proposta di modalità con cui porlo in essere.

Tali aspetti rivestono un carattere di importanza sotto svariati profili, con particolare riferimento all’individuazione del dies a quo per la decorrenza di tre termini: il termine massimo di 60 giorni entro il quale procedere alla stipula del contratto d’appalto, il termine c.d. “dilatorio” di 35 giorni entro cui non si può procedere alla stipula dello stesso contratto e, infine, il termine per l’impugnazione dell’aggiudicazione definitiva avanti i giudici amministrativi.

Per quanto riguarda il primo di detti termini, l’art. 11 del D. Lgs. 163/2006, al comma 9, prevede che: “Divenuta efficace l’aggiudicazione definitiva, e fatto salvo l’esercizio del potere di autotutela nei casi consentiti dalle norme vigenti, la stipulazione del contratto d’appalto o di concessione ha luogo entro il termine di sessanta giorni, salvo diverso termine previsto nel bando o nell’invito ad offrire, ovvero l’ipotesi di differimento espressamente concordata con l’aggiudicatario…”.

In questo primo caso, dunque, è espressamente la norma a prevedere che il termine decorra dall’intervenuta efficacia dell’aggiudicazione definitiva.

Per quanto riguarda, invece, il secondo di detti termini, al comma 10, sempre dell’art. 11, il Codice dispone che: “Il contratto non può comunque essere stipulato prima di trentacinque giorni dall’invio dell’ultima delle comunicazioni del provvedimento di aggiudicazione definitiva ai sensi dell’art. 79”.

Mentre l’art. 79, comma 5 lett. a), prevede:

“In ogni caso l’amministrazione comunica di ufficio:

a) l’aggiudicazione definitiva, tempestivamente e comunque entro un termine non superiore a cinque giorni, all’aggiudicatario, al concorrente che segue nella graduatoria, a tutti i candidati che hanno presentato un’offerta ammessa in gara, a coloro la cui candidatura o offerta siano state escluse se hanno proposto impugnazione avverso l’esclusione, o sono in termini per presentare dette impugnazioni, nonché a coloro che hanno impugnato il bando o la lettera di invito, se dette impugnazioni noin siano state ancora respinte con pronuncia giurisdizionale definitiva;…”.

Quest’ultimo termine c.d. “dilatorio” o di “standstill” rappresenta un impedimento temporaneo alla stipula del contratto, che trova coordinamento con il termine di ricorso giurisdizionale. Esso, infatti, è diretto a garantire che, qualora venga adito il giudice, il contratto non sia ancora stipulato a tutela dell’interesse, sia pubblico che privato.

Sorge il dubbio se le norme sopra riportate, ai fini della decorrenza di detto termine, abbiano inteso riferirsi alla comunicazione dell’aggiudicazione definitiva sic et simpliciter o a quella definitiva divenuta efficace. È scrive ragionevole sostenere che si debba comunicare all’impresa l’aggiudicazione definitiva divenuta efficace e che il termine di standstill decorra dalla ricezione di tale comunicazione.

La garanzia realizzata attraverso il termine di standstill, infatti, ha logica ragione di essere riferita al momento in cui sia possibile stipulare il contratto, cioè al momento in cui l’aggiudicazione diviene efficace. Si consideri, inoltre, che i concorrenti potrebbero avere interesse ad impugnare l’aggiudicazione definitiva meramente con riferimento agli atti che ne attestino l’intervenuta efficacia (ad es., da parte del secondo in graduatoria che contesti la legittimità dell’accertamento della sussistenza degli stessi in capo all’aggiudicatario) o inefficacia (ad es., da parte dell’aggiudicatario che si veda revocata l’aggiudicazione per una dichiarata insussistenza dei requisiti).

Sul punto si riscontrano opinioni divergenti e si rimane in attesa di conoscere la giurisprudenza che sicuramente interverrà[2].

Con particolare riferimento, infine, alla decorrenza del termine per l’impugnazione dell’aggiudicazione definitiva avanti i giudici amministrativi, vale la pena ricordare che l’entrata in vigore, dapprima, del D.Lgs. 20 marzo 2010 n. 53 e, poi, del Codice del processo amministrativo (in particolare l’art. 120, commi 2 e 5), hanno apportato alcune innovazioni normative che hanno codificato indirizzi giurisprudenziali già consolidati.

La giurisprudenza, già prima dell’entrata in vigore del Codice del processo amministrativo, si era uniformata nel sostenere che l’aggiudicazione provvisoria di un appalto pubblico ha la natura di atto endoprocedimentale, ad effetti ancora instabili e del tutto interinali, sicché è inidonea a produrre la definitiva lesione del soggetto non risultato aggiudicatario, lesione che – di contro – si verifica solo con l’aggiudicazione definitiva. Quest’ultima non costituisce atto meramente confermativo della prima ed è in riferimento esclusivamente a questa che, quindi, va verificata la tempestività del ricorso[3].

Di conseguenza, la giurisprudenza ha affermato che l’onere per l’impresa di impugnare tempestivamente gli atti della procedura di evidenza pubblica, ad eccezione dell’esclusione dalla stessa e delle clausole del bando c.d. “escludenti”, quelle cioè che rendano impossibile la partecipazione alla gara, sorge solo a seguito dell’emanazione del provvedimento di aggiudicazione definitiva[4].

Per quanto riguarda la decorrenza del termine di impugnazione, la giurisprudenza, inoltre, ha chiarito che la pubblicazione o pubblicità dell’aggiudicazione (c.d. “pubblicità di ritorno”) costituisce forma di conoscenza legale solo per chi, non avendo partecipato alla procedura selettiva, non era direttamente contemplato nell’atto in questione[5].

Per quanto riguarda, invece, la decorrenza di detto termine per i soggetti che avevano partecipato alla procedura, aveva sancito l’insostituibilità della comunicazione prevista dall’art. 79, comma 5 del D. Lgs. 163/2006 affermando che: “tale comunicazione, in effetti, assolve allo scopo imprescindibile di offrire al concorrente la conoscenza piena di un elemento essenziale del provvedimento lesivo, ossia l’identità del soggetto che trae vantaggio dall’atto, che, come tale, assume la veste di contraddittore necessario nell’eventuale giudizio di impugnazione, al quale, pertanto, il ricorso deve essere notificato a pena di inammissibilità”[6].

Ora, l’art. 120, comma 2, del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (c.d. Codice del processo amministrativo), prevede che: “Nel caso in cui sia mancata la pubblicità del bando, il ricorso non può comunque essere più proposto decorsi trenta giorni decorrenti dal giorno successivo alla data di pubblicazione dell’avviso di aggiudicazione definitiva di cui all’articolo 65 e all’articolo 225 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, a condizione che tale avviso contenga la motivazione dell’atto con cui la stazione appaltante ha deciso di affidare il contratto senza previa pubblicazione del bando. Se sono omessi gli avvisi o le informazioni di cui al presente comma oppure se essi non sono conformi alle prescrizioni ivi contenute, il ricorso non può comunque essere proposto decorsi sei mesi dal giorno successivo alla data di stipulazione del contratto”.

Mentre, al comma 5 dello stesso articolo, dispone che: “Per l’impugnazione degli atti di cui al presente articolo il ricorso e i motivi aggiunti, anche avverso atti diversi da quelli già impugnati, devono essere proposti nel termine di trenta giorni, decorrente dalla ricezione della comunicazione di cui all’articolo 79 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, o, per i bandi e gli avvisi con cui si indice una gara, autonomamente lesivi, dalla pubblicazione di cui all’articolo 66, comma 8, dello stesso decreto; ovvero, in ogni altro caso, dalla conoscenza dell’atto”[7].

In relazione al termine di trenta giorni di cui al comma 5 dell’art. 120 sopra riportato e con particolare riferimento alla fattispecie dell’impugnazione dell’aggiudicazione definitiva, si ritiene che esso decorra della comunicazione dell’aggiudicazione definitiva (divenuta efficace), in considerazione della necessità di garantire in maniera piena il diritto da parte del concorrente all’impugnazione dell’atto di aggiudicazione definitiva efficace e, in particolare, degli atti inerenti alla verifica del possesso dei requisiti di ordine generale. Anche in questo caso, si rimane in attesa della giurisprudenza che sicuramente interverrà sul punto.

3. L’accertamento come attività tipica del responsabile del procedimento

Tornando all’oggetto più specifico del presente contributo, vale a dire l’indagine sulla natura della verifica sul possesso dei requisiti di ordine generale in capo all’aggiudicatario, si ritiene che essa debba realizzarsi attraverso il compimento di un’attività istruttoria e l’adozione di un atto amministrativo la cui estrinsecazione con esito positivo rappresenta una condizione sospensiva a cui è sottoposta l’efficacia dell’aggiudicazione definitiva.

Come già detto sopra, l’atto viene adottato sulla scorta di una valutazione che spesso è molto complessa, prova ne è il copiosissimo contenzioso intervenuto in merito alla sussistenza o meno del possesso dei requisiti.

Si ritiene che, in relazione alla competenza alla emanazione dell’atto che accerta o meno la sussistenza dei suddetti requisiti, la dicitura “stazione appaltante” usata dal Codice degli appalti all’art. 38, commi 3 e 4, potrebbe aprire la strada a tre diversi possibili scenari, a seconda che si attribuisca la competenza alla Commissione di gara, oppure al dirigente (o all’organo) che adotta il provvedimento oppure ancora al responsabile del procedimento.

Questa ultima soluzione, sembra trovare conforto anche nella legge 241/1990, laddove è previsto, all’art. 6, comma 1, lett. b), che il responsabile del procedimento amministrativo:

accerta di ufficio i fatti, disponendo il compimento degli atti all’uopo necessari, e adotta ogni misura per l’adeguato e sollecito svolgimento dell’istruttoria. In particolare, può chiedere il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete e può esperire accertamenti tecnici ed ispezioni ed ordinare esibizioni documentali;

Gli obblighi di accertamento vanno raccordati con quanto prevede il successivo art. 18, comma 3, della legge 241/1990:

3. Parimenti sono accertati d’ufficio dal responsabile del procedimento i fatti, gli stati e le qualità che la stessa amministrazione procedente o altra pubblica amministrazione è tenuta a certificare

In ogni caso, si ritiene che la soluzione preferibile sia quella che il soggetto competente all’adozione del provvedimento di aggiudicazione definitiva attesti che spetta al responsabile del procedimento la competenza dell’accertamento dell’esito positivo o negativo della verifica sul possesso dei requisiti de quibus a seguito dell’istruttoria svolta.

Non si tratta, infatti, di un’altra azione provvedimentale separata dalla prima, ma di un’azione ricognitiva sul possesso dei requisiti dell’aggiudicatario, che si risolve in un mero atto del pubblico ufficiale, il quale, appunto, deve attestare l’accertato possesso dei requisiti.

Non è quindi il dirigente (o l’organo competente) che deve rinnovare con un ulteriore elemento volitivo l’aggiudicazione definitiva, ma il responsabile del procedimento amministrativo che, nella fase integrativa dell’efficacia, è chiamato a svolgere una procedura ben codificata dalla normativa vigente e anche dal bando di gara come lex specialis di riscontro dei requisiti.

4. Un provvedimento e un atto rappresentati nel medesimo documento, con data certa collegata al protocollo informatico

Rimane, in ultima istanza, da chiarire come possa essere possibile esternare in un atto pubblico tale ricognizione. Alcune amministrazioni, infatti, procedono alla redazione di un ulteriore provvedimento di aggiudicazione definitiva. In questo scenario avremo due provvedimenti, a seconda dei rispettivi ordinamenti: la deliberazione, il decreto o la determinazione dirigenziale di aggiudicazione definitiva e la deliberazione, il decreto o la determinazione dirigenziale di aggiudicazione definitiva efficace.

Va qui ribadito che accertamento e conseguente attestazione dell’avvenuto positivo accertamento sono atti propri, come abbiamo visto, del responsabile del procedimento e che, in quanto tali, non richiedono alcun elemento volitivo, né la sua rinnovazione. In particolare per l’attestazione, si tratta di una procedura simile a quella di pubblicazione di una deliberazione con conseguente refertazione, come previsto, ad esempio, dagli artt. 124 o 134 del TUEL 267/2000.

In questo senso, infatti, risulterà necessario redigere un unico provvedimento, subordinandone l’efficacia all’esito dell’accertamento e attestando, successivamente alla verifica positiva, l’intervenuta efficacia dell’aggiudicazione definitiva in calce al medesimo (se cartaceo) o come annotazione digitale (se informatico).

In ogni caso, la data certa verrà assicurata dalla contestuale annotazione non modificabile nel registro di protocollo informatico nel medesimo record di registrazione del provvedimento da parte del responsabile del procedimento amministrativo dotato di potestà certificatoria.

A mero titolo esemplificativo, nel provvedimento di aggiudicazione provvisoria potrà essere inserita una frase come la seguente: «Di subordinare l’efficacia dell’aggiudicazione definitiva all’esito positivo delle verifiche di legge. L’efficacia verrà accertata dal responsabile del procedimento, nominato con decreto gg/mm/anno, rep. n. 0000, e annotata nel registro di protocollo».

In questo modo l’aggiudicazione definitiva risulterà notevolmente semplificata, garantendo la data certa, cioè cer(tificat)a, grazie a un atto pubblico di fede privilegiata qual è il registro di protocollo. Sarà poi cura dell’ufficio procedente apporre l’attestazione dell’avvenuto accertamento nel provvedimento definitivo, sia in ambito tradizionale che digitale, effettuando una stampa da allegare o da associare alla minuta del provvedimento di aggiudicazione definitiva, che in questo modo diviene “aggiudicazione definitiva efficace”, con data certa e quindi opponibile a terzi.



[1] L’articolo che qui si presenta prende le mosse da una studio di casi a metà strada tra diritto e diplomatica, discussi alla Sapienza - Università di Roma nell’ambito del progetto Procedamus del Coinfo (http://unidoc.coinfo.net/PROCEDAMUS), diretto da Pietro Di Benedetto e Gianni Penzo Doria.

[2] Contra alla tesi qui sostenuta Luigi Oliveri, La lunga strada verso la stipulazione del contratto dopo il D.Lgs 53/2010, «Appalti&Contratti», 2010/6.

[3] Ex multis Consiglio di Stato, sez. V, 20 luglio 2009, n. 4527; Consiglio di Stato, sez. V, 11.01.2011 n. 80 e Pelino Santoro,“L’aggiudicazione provvisoria: potenzialità lesiva ed immediatezza di tutela tra finzione e realtà” a commento della sentenza del Tar Molise, 11 febbraio 2009, n. 31 «Rivista Trimestrale degli appalti», 2009/3.

[4] Ex multis Consiglio di Stato, sez. V, 6 aprile 2009, n. 2143.

[5] Consiglio di Stato, sez. IV, 12 giugno 2009, n. 3696.

[6] Consiglio di Stato, Sez. V, 12 luglio 2010, n. 4483.

[7] Per un inquadramento generale della materia risultano preziosi i contributi: Rosanna De Nictolis, Il recepimento della direttiva ricorsi nel codice appalti e nel nuovo codice del processo amministrativo” e Roberto Politi, Il contenzioso in materia di appalti: dal recepimento della direttiva ricorsi al codice del processo amministrativo” di pubblicati sul sito www.giustizia-amministrativa.it, rispettivamente il 11.07.2010 e l’11.10.2010.

1. Premessa

Il D.Lgs. 12 aprile 2006, n. 163, meglio noto come Codice degli appalti, prevede che la fase finale del procedimento di affidamento dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture sia suddivisa in due sottofasi. La prima è rappresentata dall’“aggiudicazione provvisoria”, la seconda, invece, dall’“aggiudicazione definitiva”. Quest’ultima, poi, diviene efficace a fronte della verifica del possesso dell’aggiudicatario dei requisiti previsti dall’ordinamento.[1]

L’efficacia dell’aggiudicazione definitiva è, dunque, subordinata all’esito positivo del controllo sul possesso dei prescritti requisiti. Il Codice, infatti, prevede all’art. 11, comma 5, che: “La stazione appaltante, previa verifica dell’aggiudicazione provvisoria ai sensi dell’articolo 12, comma 1, provvede all’aggiudicazione definitiva” e, al comma 8, quanto segue: “L’aggiudicazione definitiva diventa efficace dopo la verifica del possesso dei prescritti requisiti”.

All’art. 12, inoltre, è previsto che: “L’aggiudicazione provvisoria è soggetta ad approvazione dell’organo competente secondo l’ordinamento delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori, ovvero degli altri soggetti aggiudicatori, nel rispetto dei termini previsti dai singoli ordinamenti, decorrenti dal ricevimento dell’aggiudicazione provvisoria da parte dell’organo competente. In mancanza, il termine è pari a trenta giorni. Il termine è interrotto dalla richiesta di chiarimenti o documenti, e inizia nuovamente a decorrere da quando i chiarimenti o documenti pervengono all’organo richiedente. Decorsi i termini previsti dai singoli ordinamenti o, in mancanza, quello di trenta giorni, l’aggiudicazione si intende approvata”.

I “prescritti requisiti” possono essere individuati in quegli stessi di ordine generale previsti dall’art. 38: l’assenza di precedenti penali, l’inesistenza di inadempimenti agli obblighi del collocamento obbligatorio, del pagamento delle imposte e tasse, dei contributi previdenziali ed assistenziali (DURC), etc. Tali controlli non vanno confusi con quelli sul possesso dei requisiti “di ordine speciale”, cioè economico-finanziari e tecnico-professionali, la cui verifica è prevista dall’art. 48 e che risultano necessari per la formulazione della graduatoria di gara. Da ciò discende che il loro accertato difetto, ai sensi dell’art. 48, comma 2, comporta la “determinazione della nuova soglia di anomalia dell’offerta e alla conseguente eventuale nuova aggiudicazione”.

La verifica del possesso dei requisiti richiesti dall’art. 38 del D. Lgs. 163/2006 viene effettuata, ai sensi dell’art. 43 del DPR 445/2000, dalle stazioni appaltanti sulla scorta di quanto dichiarato dagli operatori economici in autocertificazione, acquisendo “d’ufficio le relative informazioni, previa indicazione, da parte dell’interessato, dell’amministrazione competente e degli elementi indispensabili per il reperimento delle informazioni o dei dati richiesti”.

2. I requisiti dell’aggiudicatario, l’atto di accertamento e il dies a quo

In merito alla corretta interpretazione da darsi alle fattispecie relative ai singoli requisiti di ordine generale è intervenuta copiosissima giurisprudenza e svariati atti dell’Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture, tra cui la ben nota Determinazione 12 gennaio 2010, n. 1.

In questa sede, d’altro canto, l’obiettivo è chiarire la natura dell’atto che attesta l’intervenuta efficacia dell’aggiudicazione definitiva a seguito dell’esito positivo della suddetta verifica e di formulare una proposta di modalità con cui porlo in essere.

Tali aspetti rivestono un carattere di importanza sotto svariati profili, con particolare riferimento all’individuazione del dies a quo per la decorrenza di tre termini: il termine massimo di 60 giorni entro il quale procedere alla stipula del contratto d’appalto, il termine c.d. “dilatorio” di 35 giorni entro cui non si può procedere alla stipula dello stesso contratto e, infine, il termine per l’impugnazione dell’aggiudicazione definitiva avanti i giudici amministrativi.

Per quanto riguarda il primo di detti termini, l’art. 11 del D. Lgs. 163/2006, al comma 9, prevede che: “Divenuta efficace l’aggiudicazione definitiva, e fatto salvo l’esercizio del potere di autotutela nei casi consentiti dalle norme vigenti, la stipulazione del contratto d’appalto o di concessione ha luogo entro il termine di sessanta giorni, salvo diverso termine previsto nel bando o nell’invito ad offrire, ovvero l’ipotesi di differimento espressamente concordata con l’aggiudicatario…”.

In questo primo caso, dunque, è espressamente la norma a prevedere che il termine decorra dall’intervenuta efficacia dell’aggiudicazione definitiva.

Per quanto riguarda, invece, il secondo di detti termini, al comma 10, sempre dell’art. 11, il Codice dispone che: “Il contratto non può comunque essere stipulato prima di trentacinque giorni dall’invio dell’ultima delle comunicazioni del provvedimento di aggiudicazione definitiva ai sensi dell’art. 79”.

Mentre l’art. 79, comma 5 lett. a), prevede:

“In ogni caso l’amministrazione comunica di ufficio:

a) l’aggiudicazione definitiva, tempestivamente e comunque entro un termine non superiore a cinque giorni, all’aggiudicatario, al concorrente che segue nella graduatoria, a tutti i candidati che hanno presentato un’offerta ammessa in gara, a coloro la cui candidatura o offerta siano state escluse se hanno proposto impugnazione avverso l’esclusione, o sono in termini per presentare dette impugnazioni, nonché a coloro che hanno impugnato il bando o la lettera di invito, se dette impugnazioni noin siano state ancora respinte con pronuncia giurisdizionale definitiva;…”.

Quest’ultimo termine c.d. “dilatorio” o di “standstill” rappresenta un impedimento temporaneo alla stipula del contratto, che trova coordinamento con il termine di ricorso giurisdizionale. Esso, infatti, è diretto a garantire che, qualora venga adito il giudice, il contratto non sia ancora stipulato a tutela dell’interesse, sia pubblico che privato.

Sorge il dubbio se le norme sopra riportate, ai fini della decorrenza di detto termine, abbiano inteso riferirsi alla comunicazione dell’aggiudicazione definitiva sic et simpliciter o a quella definitiva divenuta efficace. È scrive ragionevole sostenere che si debba comunicare all’impresa l’aggiudicazione definitiva divenuta efficace e che il termine di standstill decorra dalla ricezione di tale comunicazione.

La garanzia realizzata attraverso il termine di standstill, infatti, ha logica ragione di essere riferita al momento in cui sia possibile stipulare il contratto, cioè al momento in cui l’aggiudicazione diviene efficace. Si consideri, inoltre, che i concorrenti potrebbero avere interesse ad impugnare l’aggiudicazione definitiva meramente con riferimento agli atti che ne attestino l’intervenuta efficacia (ad es., da parte del secondo in graduatoria che contesti la legittimità dell’accertamento della sussistenza degli stessi in capo all’aggiudicatario) o inefficacia (ad es., da parte dell’aggiudicatario che si veda revocata l’aggiudicazione per una dichiarata insussistenza dei requisiti).

Sul punto si riscontrano opinioni divergenti e si rimane in attesa di conoscere la giurisprudenza che sicuramente interverrà[2].

Con particolare riferimento, infine, alla decorrenza del termine per l’impugnazione dell’aggiudicazione definitiva avanti i giudici amministrativi, vale la pena ricordare che l’entrata in vigore, dapprima, del D.Lgs. 20 marzo 2010 n. 53 e, poi, del Codice del processo amministrativo (in particolare l’art. 120, commi 2 e 5), hanno apportato alcune innovazioni normative che hanno codificato indirizzi giurisprudenziali già consolidati.

La giurisprudenza, già prima dell’entrata in vigore del Codice del processo amministrativo, si era uniformata nel sostenere che l’aggiudicazione provvisoria di un appalto pubblico ha la natura di atto endoprocedimentale, ad effetti ancora instabili e del tutto interinali, sicché è inidonea a produrre la definitiva lesione del soggetto non risultato aggiudicatario, lesione che – di contro – si verifica solo con l’aggiudicazione definitiva. Quest’ultima non costituisce atto meramente confermativo della prima ed è in riferimento esclusivamente a questa che, quindi, va verificata la tempestività del ricorso[3].

Di conseguenza, la giurisprudenza ha affermato che l’onere per l’impresa di impugnare tempestivamente gli atti della procedura di evidenza pubblica, ad eccezione dell’esclusione dalla stessa e delle clausole del bando c.d. “escludenti”, quelle cioè che rendano impossibile la partecipazione alla gara, sorge solo a seguito dell’emanazione del provvedimento di aggiudicazione definitiva[4].

Per quanto riguarda la decorrenza del termine di impugnazione, la giurisprudenza, inoltre, ha chiarito che la pubblicazione o pubblicità dell’aggiudicazione (c.d. “pubblicità di ritorno”) costituisce forma di conoscenza legale solo per chi, non avendo partecipato alla procedura selettiva, non era direttamente contemplato nell’atto in questione[5].

Per quanto riguarda, invece, la decorrenza di detto termine per i soggetti che avevano partecipato alla procedura, aveva sancito l’insostituibilità della comunicazione prevista dall’art. 79, comma 5 del D. Lgs. 163/2006 affermando che: “tale comunicazione, in effetti, assolve allo scopo imprescindibile di offrire al concorrente la conoscenza piena di un elemento essenziale del provvedimento lesivo, ossia l’identità del soggetto che trae vantaggio dall’atto, che, come tale, assume la veste di contraddittore necessario nell’eventuale giudizio di impugnazione, al quale, pertanto, il ricorso deve essere notificato a pena di inammissibilità”[6].

Ora, l’art. 120, comma 2, del D.Lgs. 2 luglio 2010, n. 104 (c.d. Codice del processo amministrativo), prevede che: “Nel caso in cui sia mancata la pubblicità del bando, il ricorso non può comunque essere più proposto decorsi trenta giorni decorrenti dal giorno successivo alla data di pubblicazione dell’avviso di aggiudicazione definitiva di cui all’articolo 65 e all’articolo 225 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, a condizione che tale avviso contenga la motivazione dell’atto con cui la stazione appaltante ha deciso di affidare il contratto senza previa pubblicazione del bando. Se sono omessi gli avvisi o le informazioni di cui al presente comma oppure se essi non sono conformi alle prescrizioni ivi contenute, il ricorso non può comunque essere proposto decorsi sei mesi dal giorno successivo alla data di stipulazione del contratto”.

Mentre, al comma 5 dello stesso articolo, dispone che: “Per l’impugnazione degli atti di cui al presente articolo il ricorso e i motivi aggiunti, anche avverso atti diversi da quelli già impugnati, devono essere proposti nel termine di trenta giorni, decorrente dalla ricezione della comunicazione di cui all’articolo 79 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, o, per i bandi e gli avvisi con cui si indice una gara, autonomamente lesivi, dalla pubblicazione di cui all’articolo 66, comma 8, dello stesso decreto; ovvero, in ogni altro caso, dalla conoscenza dell’atto”[7].

In relazione al termine di trenta giorni di cui al comma 5 dell’art. 120 sopra riportato e con particolare riferimento alla fattispecie dell’impugnazione dell’aggiudicazione definitiva, si ritiene che esso decorra della comunicazione dell’aggiudicazione definitiva (divenuta efficace), in considerazione della necessità di garantire in maniera piena il diritto da parte del concorrente all’impugnazione dell’atto di aggiudicazione definitiva efficace e, in particolare, degli atti inerenti alla verifica del possesso dei requisiti di ordine generale. Anche in questo caso, si rimane in attesa della giurisprudenza che sicuramente interverrà sul punto.

3. L’accertamento come attività tipica del responsabile del procedimento

Tornando all’oggetto più specifico del presente contributo, vale a dire l’indagine sulla natura della verifica sul possesso dei requisiti di ordine generale in capo all’aggiudicatario, si ritiene che essa debba realizzarsi attraverso il compimento di un’attività istruttoria e l’adozione di un atto amministrativo la cui estrinsecazione con esito positivo rappresenta una condizione sospensiva a cui è sottoposta l’efficacia dell’aggiudicazione definitiva.

Come già detto sopra, l’atto viene adottato sulla scorta di una valutazione che spesso è molto complessa, prova ne è il copiosissimo contenzioso intervenuto in merito alla sussistenza o meno del possesso dei requisiti.

Si ritiene che, in relazione alla competenza alla emanazione dell’atto che accerta o meno la sussistenza dei suddetti requisiti, la dicitura “stazione appaltante” usata dal Codice degli appalti all’art. 38, commi 3 e 4, potrebbe aprire la strada a tre diversi possibili scenari, a seconda che si attribuisca la competenza alla Commissione di gara, oppure al dirigente (o all’organo) che adotta il provvedimento oppure ancora al responsabile del procedimento.

Questa ultima soluzione, sembra trovare conforto anche nella legge 241/1990, laddove è previsto, all’art. 6, comma 1, lett. b), che il responsabile del procedimento amministrativo:

accerta di ufficio i fatti, disponendo il compimento degli atti all’uopo necessari, e adotta ogni misura per l’adeguato e sollecito svolgimento dell’istruttoria. In particolare, può chiedere il rilascio di dichiarazioni e la rettifica di dichiarazioni o istanze erronee o incomplete e può esperire accertamenti tecnici ed ispezioni ed ordinare esibizioni documentali;

Gli obblighi di accertamento vanno raccordati con quanto prevede il successivo art. 18, comma 3, della legge 241/1990:

3. Parimenti sono accertati d’ufficio dal responsabile del procedimento i fatti, gli stati e le qualità che la stessa amministrazione procedente o altra pubblica amministrazione è tenuta a certificare

In ogni caso, si ritiene che la soluzione preferibile sia quella che il soggetto competente all’adozione del provvedimento di aggiudicazione definitiva attesti che spetta al responsabile del procedimento la competenza dell’accertamento dell’esito positivo o negativo della verifica sul possesso dei requisiti de quibus a seguito dell’istruttoria svolta.

Non si tratta, infatti, di un’altra azione provvedimentale separata dalla prima, ma di un’azione ricognitiva sul possesso dei requisiti dell’aggiudicatario, che si risolve in un mero atto del pubblico ufficiale, il quale, appunto, deve attestare l’accertato possesso dei requisiti.

Non è quindi il dirigente (o l’organo competente) che deve rinnovare con un ulteriore elemento volitivo l’aggiudicazione definitiva, ma il responsabile del procedimento amministrativo che, nella fase integrativa dell’efficacia, è chiamato a svolgere una procedura ben codificata dalla normativa vigente e anche dal bando di gara come lex specialis di riscontro dei requisiti.

4. Un provvedimento e un atto rappresentati nel medesimo documento, con data certa collegata al protocollo informatico

Rimane, in ultima istanza, da chiarire come possa essere possibile esternare in un atto pubblico tale ricognizione. Alcune amministrazioni, infatti, procedono alla redazione di un ulteriore provvedimento di aggiudicazione definitiva. In questo scenario avremo due provvedimenti, a seconda dei rispettivi ordinamenti: la deliberazione, il decreto o la determinazione dirigenziale di aggiudicazione definitiva e la deliberazione, il decreto o la determinazione dirigenziale di aggiudicazione definitiva efficace.

Va qui ribadito che accertamento e conseguente attestazione dell’avvenuto positivo accertamento sono atti propri, come abbiamo visto, del responsabile del procedimento e che, in quanto tali, non richiedono alcun elemento volitivo, né la sua rinnovazione. In particolare per l’attestazione, si tratta di una procedura simile a quella di pubblicazione di una deliberazione con conseguente refertazione, come previsto, ad esempio, dagli artt. 124 o 134 del TUEL 267/2000.

In questo senso, infatti, risulterà necessario redigere un unico provvedimento, subordinandone l’efficacia all’esito dell’accertamento e attestando, successivamente alla verifica positiva, l’intervenuta efficacia dell’aggiudicazione definitiva in calce al medesimo (se cartaceo) o come annotazione digitale (se informatico).

In ogni caso, la data certa verrà assicurata dalla contestuale annotazione non modificabile nel registro di protocollo informatico nel medesimo record di registrazione del provvedimento da parte del responsabile del procedimento amministrativo dotato di potestà certificatoria.

A mero titolo esemplificativo, nel provvedimento di aggiudicazione provvisoria potrà essere inserita una frase come la seguente: «Di subordinare l’efficacia dell’aggiudicazione definitiva all’esito positivo delle verifiche di legge. L’efficacia verrà accertata dal responsabile del procedimento, nominato con decreto gg/mm/anno, rep. n. 0000, e annotata nel registro di protocollo».

In questo modo l’aggiudicazione definitiva risulterà notevolmente semplificata, garantendo la data certa, cioè cer(tificat)a, grazie a un atto pubblico di fede privilegiata qual è il registro di protocollo. Sarà poi cura dell’ufficio procedente apporre l’attestazione dell’avvenuto accertamento nel provvedimento definitivo, sia in ambito tradizionale che digitale, effettuando una stampa da allegare o da associare alla minuta del provvedimento di aggiudicazione definitiva, che in questo modo diviene “aggiudicazione definitiva efficace”, con data certa e quindi opponibile a terzi.



[1] L’articolo che qui si presenta prende le mosse da una studio di casi a metà strada tra diritto e diplomatica, discussi alla Sapienza - Università di Roma nell’ambito del progetto Procedamus del Coinfo (http://unidoc.coinfo.net/PROCEDAMUS), diretto da Pietro Di Benedetto e Gianni Penzo Doria.

[2] Contra alla tesi qui sostenuta Luigi Oliveri, La lunga strada verso la stipulazione del contratto dopo il D.Lgs 53/2010, «Appalti&Contratti», 2010/6.

[3] Ex multis Consiglio di Stato, sez. V, 20 luglio 2009, n. 4527; Consiglio di Stato, sez. V, 11.01.2011 n. 80 e Pelino Santoro,“L’aggiudicazione provvisoria: potenzialità lesiva ed immediatezza di tutela tra finzione e realtà” a commento della sentenza del Tar Molise, 11 febbraio 2009, n. 31 «Rivista Trimestrale degli appalti», 2009/3.

[4] Ex multis Consiglio di Stato, sez. V, 6 aprile 2009, n. 2143.

[5] Consiglio di Stato, sez. IV, 12 giugno 2009, n. 3696.

[6] Consiglio di Stato, Sez. V, 12 luglio 2010, n. 4483.

[7] Per un inquadramento generale della materia risultano preziosi i contributi: Rosanna De Nictolis, Il recepimento della direttiva ricorsi nel codice appalti e nel nuovo codice del processo amministrativo” e Roberto Politi, Il contenzioso in materia di appalti: dal recepimento della direttiva ricorsi al codice del processo amministrativo” di pubblicati sul sito www.giustizia-amministrativa.it, rispettivamente il 11.07.2010 e l’11.10.2010.