L’atto di recupero (prima e dopo la delega fiscale)
L’atto di recupero (prima e dopo la delega fiscale)
La delega fiscale ha modificato sostanzialmente la normativa dell’atto di recupero. Prima di commentare ed analizzare le modifiche previste, vediamo come è disciplinato oggi l’istituto.
L’ATTO DI RECUPERO
L’art. 1 , comma 421, della Legge n. 311 del 30 dicembre 2004 prevede che:
“Ferme restando le attribuzioni e i poteri previsti dagli articoli 31 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, e successive modificazioni, nonché quelli previsti dagli articoli 51 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e successive modificazioni, per la riscossione dei crediti indebitamente utilizzati in tutto o in parte, anche in compensazione ai sensi dell'articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, e successive modificazioni, nonché per il recupero delle relative sanzioni e interessi l'Agenzia delle entrate può emanare apposito atto di recupero motivato da notificare al contribuente con le modalità previste dall'articolo 60 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973. La disposizione del primo periodo non si applica alle attività di recupero delle somme di cui all'articolo 1, comma 3, del decreto legge 20 marzo 2002, n. 36, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 maggio 2002, n. 96, e all'articolo 1, comma 2, del decreto legge 24 dicembre 2002, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2003, n. 27 .”
La Corte di Cassazione – Sesta Sezione Civile Tributaria –, con l’ordinanza n. 23289/2022, ha chiarito che:
“gli avvisi di recupero di crediti di imposta illegittimamente compensati, oltre ad avere una funzione informativa dell'insorgenza del debito tributario, costituiscono manifestazioni della volontà impositiva da parte dello Stato, al pari degli avvisi di accertamento o di liquidazione (cfr. Cass. nn. 4968/2009, 22322/2010, 8033/11, 8479/2017, 9437/2020).
In particolare, si è precisato come "l'avviso di recupero risulti in sostanza costituito da una comunicazione della motivazione del recupero e da una liquidazione delle somme accertate come dovute a tal titolo dal contribuente. Tale atto ha dunque, in primo luogo, la funzione di diniego o di revoca del credito di imposta, con la relativa motivazione, e, in secondo luogo, la funzione di liquidazione delle somme portate a recupero, con il relativo riepilogo di quanto complessivamente dovuto dal contribuente per imposte, interessi e sanzioni. Ciò induce ad attribuire a tale atto la funzione di un atto di accertamento tributario, dovendo per tale intendersi "ogni atto o provvedimento dell'amministrazione finanziaria, che, a prescindere dalla sua denominazione, spieghi efficacia nei confronti del soggetto passivo del tributo, accertando o dichiarando il debito" (così già Cass. 6262/80).”.
L’atto di recupero viene utilizzato dall’Agenzia delle Entrate per gli accertamenti in merito ai bonus edilizi ed al Superbonus 110% (artt. 119 e 121 D.L. n. 34/2020 e successive modifiche ed integrazioni).
LA GIURISPRUDENZA DELLA CORTE DI CASSAZIONE – RINVIO ALLE SEZIONI UNITE
A pochi mesi dalla precedente ordinanza n. 35536/2022, la Corte di Cassazione, con l’ordinanza interlocutoria n. 3784/2023, propone la rimessione alle Sezioni Unite di una valutazione additiva circa la linea di demarcazione tra i concetti di “non spettanza” e “inesistenza” dei crediti d’imposta.
Infatti, con la suddetta ordinanza interlocutoria n. 3784/2023, la Corte di Cassazione, ha precisato quanto segue:
“Sulla questione si riscontrano differenti orientamenti nell'ambito della giurisprudenza della Sezione tributaria.
L'orientamento tradizionale (Cass. 21 aprile 2017 n. 10112; Cass. 2 agosto 2017 n. 19237; Cass. 16 luglio 2020 n. 24093; Cass. 13 gennaio 2021 n. 354) non distingue tra credito non spettante e credito inesistente o, meglio, ritiene, sia pure ai fini dell'applicazione del più lungo termine concesso all'Amministrazione per l'emissione dell'atto di recupero, tale distinzione priva di senso, come evincibile dalla seguente massima "Il Decreto Legge n. 185 del 2008, articolo 27, comma 16, conv., con modif., dalla l. n. 2 del 2009, nel fissare il termine di otto anni per il recupero dei crediti d'imposta inesistenti indebitamente compensati, non intende elevare l'"inesistenza" del credito a categoria distinta dalla "non spettanza" dello stesso (distinzione a ben vedere priva di fondamento logico - giuridico), ma mira a garantire un margine di tempo adeguato per il compimento delle verifiche riguardanti l'investimento che ha generato il credito d'imposta, margine di tempo perciò indistintamente fissato in otto anni, senza che possa trovare applicazione il termine più breve stabilito dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 43 per il comune avviso di accertamento" (cosi' Cass.n. 10112 del 2017 cit.).
Con tre sentenze gemelle (Cass. n. ri 34443; 34444 e 34445 del 16 novembre 2021) la Sezione tributaria ha espressamente superato l'orientamento precedente e, alla luce della definizione di credito inesistente dettata, in tema di sanzioni, dal Decreto Legislativo n. 471 del 1997 citato articolo 13, comma 5, ha affermato il seguente principio di diritto " In tema di compensazione di crediti fiscali da parte del contribuente (nella specie, credito IVA), l'applicazione del termine di decadenza ottennale, previsto dal Decreto Legge n. 185 del 2008, articolo 27, comma 16, , conv., con modif., in l. n. 2 del 1999, presuppone l'utilizzo non già di un mero credito "non spettante", bensì di un credito "inesistente", per tale ultimo dovendo intendersi - anche ai sensi del Decreto Legislativo n. 471 del 1997, articolo 13, comma 5, terzo periodo, (introdotto dal Decreto Legislativo n. 158 del 2015, articolo 15,) il credito in relazione al quale manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo (cioè il credito che non è "reale") e la cui inesistenza non è riscontrabile mediante i controlli di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articoli 36-bis e 36-ter e Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 54-bis Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973".
In particolare, le citate pronunce hanno affermato che il credito fiscale illegittimamente utilizzato dal contribuente può` dirsi "inesistente" quando ne manca il presupposto costitutivo (ossia, quando la situazione giuridica creditoria non emerge dai dati contabili-patrimoniali-finanziari del contribuente) e quando tale mancanza (non) sia evincibile dai controlli automatizzati o formali sugli elementi dichiarati dal contribuente stesso o in possesso dell'anagrafe tributaria, banca dati pubblica disciplinata dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 605 del 1973, su cui detti controlli anche si fondano, non tralasciando di aggiungere che la citata novella del 2015 si innesta nella riscrittura della norma già contenuta nel contestualmente abrogato articolo 27, comma 18, Decreto Legge cit. (che regolava il relativo quadro sanzionatorio), e mira quindi a specificare il contenuto del precetto originario, così ancorando la nozione di "credito inesistente" ad una dimensione - anche secondo il linguaggio comune - "non reale" o "non vera", ossia priva di elementi giustificativi fenomenicamente apprezzabili, se non anche con connotazioni di fraudolenza (come pure può evincersi dal contenuto della Relazione illustrativa al Decreto Legge n. 185 del 2008).
La dicotomia tra le due tipologie di credito è stata confermata, di recente, anche dalla Terza Sezione Penale della Corte di cassazione, la quale, con la sentenza n. 7615 del 3 marzo 2022, richiamando espressamente, e facendo propria, la definizione di credito inesistente, come effettuata dalle suindicate sentenze della Sezione tributaria, ha rilevato che la diversità delle due ipotesi (non spettante; inesistente) incide anche sul piano dell'elemento soggettivo, diverso nelle due ipotesi contemplate dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, comma 1 e dal comma 2 dell'articolo 10 quater, atteso che l'inesistenza del credito costituisce di per se', salva prova contraria, un indice rilevatore della coscienza e volontà del contribuente di bilanciare i propri debiti verso l'Erario con una posta creditoria artificiosamente creata, mentre nel caso in cui vengano dedotti dei crediti "non spettanti" occorre provare la consapevolezza da parte del contribuente che tali crediti non siano utilizzabili in sede compensativa.
L'interpretazione fornita dalle tre sentenze gemelle del 2021, sopra indicate e richiamata unicamente da Cass., 25 ottobre 2022 n. 31429, non e' stata, tuttavia, recepita dalla giurisprudenza successiva della Sezione tributaria (v. Cass. n. 25436 del 29 agosto 2022; Cass. n. 31419 del 25 ottobre 2022) tant'e' che questa Sezione, ravvisata la persistenza del contrasto interpretativo e la rilevanza della questione, con ordinanza interlocutoria n. 35536 del 2 dicembre 2022, ha già disposto la trasmissione degli atti al Primo Presidente affinchè valuti l'opportunità di rimettere la causa alle Sezioni unite di questa Corte.
La questione sulla quale, con la suddetta ordinanza, si è richiesto l'intervento delle Sezioni Unite di questa Corte, attiene, però, alla rilevanza della dicotomia credito non spettante/credito inesistente esclusivamente ai fini dell'applicabilità del termine di otto anni fissato dal d. l. n. 185 del 2008, articolo 27, comma 16,.Ritiene il Collegio che le ulteriori ricadute (come sopra individuate) che l'ordinamento ricollega alla nozione di credito di imposta inesistente, e nello specifico in tema di sanzioni, richieda, per la rilevanza della questione idonea a riproporsi in numerosi futuri giudizi, un intervento nomofilattico chiarificatore a più ampio raggio sulla nozione stessa di credito inesistente e sulla sua differenziazione rispetto al credito non spettante onde va disposta la trasmissione degli atti al Primo Presidente della Corte di cassazione per l'eventuale rimessione alle Sezioni Unite.”
Sino ad oggi la Corte di Cassazione a Sezioni Unite ancora non si è pronunciata.
DIFFERENZE – QUADRO SINOTTICO SINTETICO
CREDITO
QUESTIONE |
NON SPETTANTE |
INESISTENTE |
DECADENZA NOTIFICA ACCERTAMENTO |
5 ANNI |
8 ANNI |
ISCRIZIONI PROVVISORIE |
ART. 68, c. 1, D.Lgs. n. 546/1992 |
ART. 15 – Bis. D.P.R. n. 602/1973 |
INTERESSI |
4 % |
4 % |
SANZIONI |
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|
PENALE |
DA 6 MESI A 2 ANNI (ART. 10 Qater, c. 1, D.Lgs. n. 74/2000) |
DA 1 ANNO E 6 MESI A 6 ANNI (ART. 10 Qater, c. 2, D.Lgs. n. 74/2000) |
MODIFICHE INTRODOTTE DALLO SCHEMA DI DECRETO LEGISLATIVO IN MATERIA DI PROCEDIMENTO ACCERTATIVO DEL 03/11/2023
L’art. 38 – bis del succitato schema, in merito alla nuova disciplina degli atti di recupero dei crediti non spettanti o inesistenti, ha stabilito quanto segue (senza alcuna distinzione).
- Fermi restando le attribuzioni e i poteri previsti dagli articoli 31 e seguenti, nonché quelli previsti dagli articoli 51 e seguenti del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, e senza pregiudizio dell’ulteriore azione accertatrice nei termini stabiliti per i singoli tributi, per la riscossione dei crediti non spettanti o inesistenti utilizzati, in tutto o in parte, in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, l’Ufficio può emanare apposito atto di recupero motivato da notificare al contribuente con le modalità previste dagli articoli 60 e 60-ter. La disposizione del primo periodo non si applica alle attività di recupero delle somme di cui all’articolo 1, comma 3, del decreto-legge 20 marzo 2002, n. 36, convertito, con modificazioni, dalla legge 17 maggio 2002, n. 96, e all’articolo 1, comma 2, del decreto-legge 24 dicembre 2002, n. 282, convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2003, n. 27.
- Si applicano le disposizioni di cui ai seguenti articoli (acquiescenza delle sanzioni):
- art. 16, comma 3, Decreto Legislativo n. 472/1997, che testualmente dispone:
“Entro il termine previsto per la proposizione del ricorso , il trasgressore e gli obbligati ai sensi dell'articolo 11, comma 1, possono definire la controversia con il pagamento di un importo pari ad un terzo della sanzione indicata e comunque non inferiore ad un terzo dei minimi edittali previsti per le violazioni piu` gravi relative a ciascun tributi. La definizione agevolata impedisce l'irrogazione delle sanzioni accessorie.”
- art. 17, comma 2, del Decreto Legislativo n. 472/1997, che testualmente dispone:
“E' ammessa definizione agevolata con il pagamento di un importo pari ad un terzo della sanzione irrogata e comunque non inferiore ad un terzo dei minimi edittali previsti per le violazioni più gravi relative a ciascun tributo, entro il termine previsto per la proposizione del ricorso.”
- L’atto di cui al n. 1, emesso a seguito del controllo degli importi a credito indicati nei modelli di pagamento unificato per la riscossione di crediti non spettanti o inesistenti utilizzati, in tutto o in parte, in compensazione ai sensi dell’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n. 241, deve essere notificato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre dell’ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo (senza alcuna distinzione tra credito non spettante e credito inesistente); norma palesemente pro fisco !!!!.
- Il pagamento delle somme dovute deve essere effettuato per intero entro il termine per presentare ricorso senza possibilità di avvalersi della compensazione prevista dall’articolo 17 del decreto legislativo 9 luglio 1997, n 241. In caso di mancato pagamento entro il suddetto termine, le somme dovute in base all’atto di recupero, anche se non definitivo, sono iscritte a ruolo ai sensi dell’articolo 15-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 602.
- La competenza all’emanazione degli atti di cui al n. 1, emessi prima del termine per la presentazione della dichiarazione, spetta all’Ufficio nella cui circoscrizione è il domicilio fiscale del soggetto per il precedente periodo di imposta.
- Per le controversie relative all’atto di recupero di cui al n. 1 si applicano le disposizioni previste dal decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 e successive modifiche ed integrazioni, potendo usufruire delle conciliazioni giudiziarie, che la delega fiscale di riforma del processo tributario prevede anche per i giudizi pendenti in Cassazione.
- Il contribuente, se non intende contestare, può prestare totale acquiescenza beneficiando delle sanzioni ridotte ad un terzo (1/3).
- In assenza di specifiche disposizioni, i numeri 1), 2) 4) e 6) si applicano anche per il recupero di tasse, imposte e importi non versati, compresi quelli relativi a contributi e agevolazioni fiscali indebitamente percepiti o fruiti ovvero a cessioni di crediti di imposta in mancanza dei requisiti. Fatti salvi i più ampi termini previsti dalla normativa vigente, l’atto di recupero deve essere notificato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quinto anno successivo a quello in cui è avvenuta la violazione. La competenza all’emanazione dell’atto di recupero spetta all’Ufficio nella cui circoscrizione è il domicilio fiscale del soggetto al momento della commissione della violazione. In mancanza del domicilio fiscale la competenza è attribuita ad un’articolazione dell’Agenzia delle entrate individuata con provvedimento del direttore.
- Con provvedimenti del direttore dell’Agenzia delle entrate è disciplinata la procedura di sottoscrizione dei processi verbali redatti nel corso e al termine delle attività amministrative di controllo fiscale, anche disponendo la possibilità che i verbalizzanti possano firmare digitalmente la copia informatica del documento preventivamente sottoscritto, anche in via analogica, dal contribuente. In caso di firma analogica del documento da parte del contribuente, i verbalizzanti attestano la conformità della copia informatica al documento analogico ai sensi dell’articolo 22 del decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82.”.
ULTERIORI REGOLE
Sono applicabili le seguenti ulteriori regole.
- È applicabile il principio del contraddittorio (art. 6-bis della bozza del Decreto Legislativo di modificazioni allo Statuto dei diritti del contribuente del 23/10/2023).
- L’art. 8 della bozza del decreto legislativo di modificazioni allo Statuto dei diritti del contribuente del 23 ottobre 2023 ha modificato il quinto e sesto comma dell’art. 8 dello Statuto dei diritti del contribuente nel modo seguente:
“5. L'obbligo di conservazione di atti e documenti, incluse le scritture contabili, stabilito a soli effetti tributari, non può eccedere il termine di dieci anni dalla loro emanazione o dalla loro formazione o utilizzazione. Il decorso del termine preclude definitivamente la possibilità per l’Amministrazione finanziaria di fondare pretese su tale documentazione.
6. Con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, adottato ai sensi dell'articolo 17, comma 3, della legge 23 agosto 1988, n. 400, sono emanate le disposizioni di attuazione del presente articolo.”
3. Con la bozza del decreto legislativo citato è stato aggiunto all’art. 2, dopo il comma 4, della Legge n. 212/2000, il comma 4-bis, che testualmente dispone:
"4-bis. Le norme tributarie impositive che recano la disciplina del presupposto tributario e dei soggetti passivi si applicano esclusivamente ai casi e ai tempi in esse considerati."
Secondo me, la suddetta disposizione dovrà essere qualificata come norma di interpretazione autentica, efficace, in quanto tale, anche rispetto agli accertamenti già notificati ed ai rapporti pendenti in relazione ai quali la decadenza è in contestazione in giudizio.
- È ammesso l’accertamento con adesione (art. 1, comma 1, lettere a) ed f), della bozza del citato Decreto Legislativo in materia di procedimento accertativo), senza però la possibilità di rateizzare e di compensare.
- Inoltre, secondo me, tenuto conto dell’ampia formulazione dell’art. 24 della Legge n. 4/1929, si può aderire ai processi verbali di constatazione con la riduzione ad un sesto (1/6) delle sanzioni (art. 5 – quater del citato schema del 03/11/2023).
- Infine, in tema di notifiche, nelle ipotesi in cui la p.e.c. del destinatario risulti satura l’Ufficio fiscale deve procedere ad una nuova notifica (con modalità differenti in base ai destinatari dell’atto) trascorsi almeno sette giorni dal primo invio.
- CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE
Secondo me, sarebbe opportuno attendere la pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (si rinvia alla lettera B del presente articolo) prima di apportare le modifiche legislative agli atti di recupero.
In ogni caso, il legislatore dovrebbe:
- qualificare e distinguere i due tipi di credito inesistente e credito non spettante;
- qualificare credito inesistente quello dove manca, in tutto o in parte, il presupposto costitutivo (cioè il credito che non è “reale”) e la cui inesistenza non è riscontrabile mediante i controlli di cui agli articoli 36 – bis e 36 – ter del D.P.R. n. 600/1973 e all’art. 54 – bis del D.P.R. n. 633/1972;
- distinguere, di conseguenza, i termini di decadenza (5 anni per il credito non spettante ed 8 anni per il solo credito inesistente) e non considerare l’unico termine di 8 anni per tutti i crediti d’imposta compensati, mentre per i contributi e le agevolazioni fiscali indebitamente percepiti o fruiti ovvero a cessioni di crediti d’imposta in mancanza dei requisiti il termine di decadenza è sempre di soli 5 anni;
- infine, consentire sempre la rateizzazione.