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L’attribuzione delle spese condominiali deliberate prima dell’acquisto di un immobile

Una importante sentenza chiarificatrice della Corte di Cassazione
Una recentissima sentenza della Corte di Cassazione (Cfr. Corte di Cassazione II Sezione civile sentenza n. 24654/2010) ha chiarito, forse definitivamente, l’annoso e controverso problema riguardante le spese condominiali deliberate prima dell’acquisto di un’unità immobiliare.

Solitamente, infatti, quando si acquista un appartamento, si presta molta attenzione alle spese condominiali pregresse, ed ancor prima di andare dal notaio per la stipula del rogito, ci si premura di chiedere all’amministratore il rilascio di una dichiarazione attestante l’avvenuto e regolare pagamento di ogni somma in sospeso da parte del venditore.

Non sempre, però, si presta la dovuta attenzione alle cause giudiziarie che, al momento della compravendita possono vedere coinvolto il condominio.

Il principio generale prevede che il condomino è tenuto al versamento delle spese di conservazione e di manutenzione delle parti comuni per il semplice fatto di essere proprietario di una unità immobiliare ubicata nello stabile.

Il nuovo condomino è obbligato solidalmente con il suo venditore a versare i contributi relativi all’anno in corso ed a quello precedente. Il che significa che, con i limiti di tempo indicati, l’acquirente può essere chiamato dall’amministratore a pagare le spese riguardanti un periodo di tempo in cui non era proprietario.

Egli si sostituisce al venditore nel pagamento, restando però fermo il suo diritto di rivalsa nei confronti del venditore stesso per il recupero di tutte le somme che sia stato costretto a versare al condominio.

Tale principio era stato ribadito da una precedente sentenza della Cassazione civile, la n. 16975 del 18/06/05.

Dopo tale sentenza, infatti, anche le spese legali riguardanti le cause del condominio costituiscono un debito per quote condominiali e rientrano quindi in quella categoria di obbligazioni che devono essere adempiute da chi risulta proprietario al momento in cui la spesa viene sostenuta.

Vale a dire, nel caso in questione, di alienazione di una unità immobiliare, dal nuovo condomino che l’ha acquistata.

Occorre, però, fare una netta distinzione tra le spese dovute alla controparte a seguito della sconfitta subita dal condominio in giudizio e le somme da versare all’avvocato che lo ha difeso.

Quanto alle prime, l’acquirente può vedersi chiamato a far fronte non solo alla richiesta di pagamento da parte dell’amministratore, ma anche all’esecuzione che il creditore promuove sui suoi beni personali, qualora una volta azionata la sentenza direttamente nei confronti del condominio i beni condominiali siano insufficienti a soddisfare il credito.

Quanto alle seconde, la richiesta di pagamento può essere fatta al nuovo condomino solo se la delibera di dar corso o di resistere alla lite è stata assunta entro l’anno contabile in cui è avvenuto l’acquisto o in quello immediatamente precedente, dovendosi applicare in tal caso il principio generale dettato dalla legge.

Poiché infatti l’obbligo di corrispondere il compenso al proprio difensore sorge con il conferimento del mandato, l’acquirente dell’unità immobiliare è responsabile in solido con il proprio venditore solo per le spese legali relative ai giudizi introdotti a partire dall’anno contabile precedente all’acquisto

Manutenzione straordinaria.

Un discorso diverso deve essere fatto per un’altra fattispecie, quella che si verifica quando all’acquirente viene chiesto di pagare spese riguardanti opere di carattere straordinario eseguite sull’immobile successivamente all’acquisto, ma autorizzate con una delibera assembleare che risale a prima dell’atto di compravendita.

E’ ormai consolidato il principio secondo cui l’obbligo del condomino di versare le spese di conservazione delle parti comuni deriva dalla concreta attuazione dei lavori e non dalla preventiva approvazione della spesa.

La decisione dell’assemblea ha infatti la funzione di rendere liquido il debito di ciascun partecipante e di quantificarne in concreto l’importo attraverso la successiva delibera di ripartizione della spesa.

Per ciò, nel caso di vendita di un appartamento, è tenuto alla spesa chi riveste la qualità di condomino al momento in cui viene attuato l’intervento conservativo deliberato in precedenza, anche perché dall’esecuzione dei lavori deriva un incremento di valore delle parti comuni e, di conseguenza, delle singole unità immobiliari.

Bisogna, poi, a tal proposito menzionare le problematiche sottese alla stesura della cosiddetta Clausola a validità parziale.

Tale clausola è inserita nell’atto di compravendita e con essa il venditore si assume ogni onere in ordine a spese pregresse od a interventi deliberati prima della cessione del bene, ma la clausola ha efficacia esclusivamente tra le prati contraenti e non è opponibile al condominio.

Nulla, perciò impedisce all’amministratore condominiale di rivolgersi comunque all’acquirente, salvo il diritto di quest’ultimo di esercitare la specifica azione di rivalsa nei confronti del venditore.

Pertanto, nel caso di compravendita di un immobile i costi necessari da sostenere per effettuare lavori di straordinaria manutenzione, di ristrutturazione e/o per innovazioni, che siano stati deliberati in data antecedente alla firma del contratto di compravendita, sono posti a carico del venditore, salvo diverso accordo tra le parti.

E’ quanto stabilisce, come già prima accennato, un’interessante e chiarificatrice sentenza della seconda sezione civile della Corte di Cassazione (la sentenza n. 24654/2010) specificando testualmente che "quando tali spese siano state deliberate antecedentemente alla stipulazione dell’atto di trasferimento dell’unità immobiliare, ne risponde il venditore, a nulla rilevando che tali opere siano state, in tutto o in parte, eseguite successivamente".

Per questo, spiega la Suprema Corte, l’acquirente ha diritto a rivalersi, nei confronti del proprio dante causa, per quanto abbia eventualmente pagato al condominio.

Bisogna notare però che chi acquista l’immobile può essere chiamato dal Condominio a pagare la sua quota di spese in virtù dell’articolo 63 di attuazione del codice civile, il quale dispone che "chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato, solidalmente con questo, al pagamento dei contributi relativi all’anno in corso e a quello precedente".

L’acquirente, quindi, se da un lato è tenuto a pagare al condominio la sua quota parte, dall’altro può ottenere dal venditore il rimborso di quanto pagato.

Una recentissima sentenza della Corte di Cassazione (Cfr. Corte di Cassazione II Sezione civile sentenza n. 24654/2010) ha chiarito, forse definitivamente, l’annoso e controverso problema riguardante le spese condominiali deliberate prima dell’acquisto di un’unità immobiliare.

Solitamente, infatti, quando si acquista un appartamento, si presta molta attenzione alle spese condominiali pregresse, ed ancor prima di andare dal notaio per la stipula del rogito, ci si premura di chiedere all’amministratore il rilascio di una dichiarazione attestante l’avvenuto e regolare pagamento di ogni somma in sospeso da parte del venditore.

Non sempre, però, si presta la dovuta attenzione alle cause giudiziarie che, al momento della compravendita possono vedere coinvolto il condominio.

Il principio generale prevede che il condomino è tenuto al versamento delle spese di conservazione e di manutenzione delle parti comuni per il semplice fatto di essere proprietario di una unità immobiliare ubicata nello stabile.

Il nuovo condomino è obbligato solidalmente con il suo venditore a versare i contributi relativi all’anno in corso ed a quello precedente. Il che significa che, con i limiti di tempo indicati, l’acquirente può essere chiamato dall’amministratore a pagare le spese riguardanti un periodo di tempo in cui non era proprietario.

Egli si sostituisce al venditore nel pagamento, restando però fermo il suo diritto di rivalsa nei confronti del venditore stesso per il recupero di tutte le somme che sia stato costretto a versare al condominio.

Tale principio era stato ribadito da una precedente sentenza della Cassazione civile, la n. 16975 del 18/06/05.

Dopo tale sentenza, infatti, anche le spese legali riguardanti le cause del condominio costituiscono un debito per quote condominiali e rientrano quindi in quella categoria di obbligazioni che devono essere adempiute da chi risulta proprietario al momento in cui la spesa viene sostenuta.

Vale a dire, nel caso in questione, di alienazione di una unità immobiliare, dal nuovo condomino che l’ha acquistata.

Occorre, però, fare una netta distinzione tra le spese dovute alla controparte a seguito della sconfitta subita dal condominio in giudizio e le somme da versare all’avvocato che lo ha difeso.

Quanto alle prime, l’acquirente può vedersi chiamato a far fronte non solo alla richiesta di pagamento da parte dell’amministratore, ma anche all’esecuzione che il creditore promuove sui suoi beni personali, qualora una volta azionata la sentenza direttamente nei confronti del condominio i beni condominiali siano insufficienti a soddisfare il credito.

Quanto alle seconde, la richiesta di pagamento può essere fatta al nuovo condomino solo se la delibera di dar corso o di resistere alla lite è stata assunta entro l’anno contabile in cui è avvenuto l’acquisto o in quello immediatamente precedente, dovendosi applicare in tal caso il principio generale dettato dalla legge.

Poiché infatti l’obbligo di corrispondere il compenso al proprio difensore sorge con il conferimento del mandato, l’acquirente dell’unità immobiliare è responsabile in solido con il proprio venditore solo per le spese legali relative ai giudizi introdotti a partire dall’anno contabile precedente all’acquisto

Manutenzione straordinaria.

Un discorso diverso deve essere fatto per un’altra fattispecie, quella che si verifica quando all’acquirente viene chiesto di pagare spese riguardanti opere di carattere straordinario eseguite sull’immobile successivamente all’acquisto, ma autorizzate con una delibera assembleare che risale a prima dell’atto di compravendita.

E’ ormai consolidato il principio secondo cui l’obbligo del condomino di versare le spese di conservazione delle parti comuni deriva dalla concreta attuazione dei lavori e non dalla preventiva approvazione della spesa.

La decisione dell’assemblea ha infatti la funzione di rendere liquido il debito di ciascun partecipante e di quantificarne in concreto l’importo attraverso la successiva delibera di ripartizione della spesa.

Per ciò, nel caso di vendita di un appartamento, è tenuto alla spesa chi riveste la qualità di condomino al momento in cui viene attuato l’intervento conservativo deliberato in precedenza, anche perché dall’esecuzione dei lavori deriva un incremento di valore delle parti comuni e, di conseguenza, delle singole unità immobiliari.

Bisogna, poi, a tal proposito menzionare le problematiche sottese alla stesura della cosiddetta Clausola a validità parziale.

Tale clausola è inserita nell’atto di compravendita e con essa il venditore si assume ogni onere in ordine a spese pregresse od a interventi deliberati prima della cessione del bene, ma la clausola ha efficacia esclusivamente tra le prati contraenti e non è opponibile al condominio.

Nulla, perciò impedisce all’amministratore condominiale di rivolgersi comunque all’acquirente, salvo il diritto di quest’ultimo di esercitare la specifica azione di rivalsa nei confronti del venditore.

Pertanto, nel caso di compravendita di un immobile i costi necessari da sostenere per effettuare lavori di straordinaria manutenzione, di ristrutturazione e/o per innovazioni, che siano stati deliberati in data antecedente alla firma del contratto di compravendita, sono posti a carico del venditore, salvo diverso accordo tra le parti.

E’ quanto stabilisce, come già prima accennato, un’interessante e chiarificatrice sentenza della seconda sezione civile della Corte di Cassazione (la sentenza n. 24654/2010) specificando testualmente che "quando tali spese siano state deliberate antecedentemente alla stipulazione dell’atto di trasferimento dell’unità immobiliare, ne risponde il venditore, a nulla rilevando che tali opere siano state, in tutto o in parte, eseguite successivamente".

Per questo, spiega la Suprema Corte, l’acquirente ha diritto a rivalersi, nei confronti del proprio dante causa, per quanto abbia eventualmente pagato al condominio.

Bisogna notare però che chi acquista l’immobile può essere chiamato dal Condominio a pagare la sua quota di spese in virtù dell’articolo 63 di attuazione del codice civile, il quale dispone che "chi subentra nei diritti di un condomino è obbligato, solidalmente con questo, al pagamento dei contributi relativi all’anno in corso e a quello precedente".

L’acquirente, quindi, se da un lato è tenuto a pagare al condominio la sua quota parte, dall’altro può ottenere dal venditore il rimborso di quanto pagato.