x

x

Le scelte di Pasolini

Divagazioni di un impolitico
Pier Paolo Pasolini
Pier Paolo Pasolini

Pur essendo risaputo che a sinistra è piuttosto facile provocare una valanga ponendo soltanto un piede fuori del percorso tracciato, Pier Paolo Pasolini non ha esitato a camminare fuori strada prendendo, per giunta, a pedate i non pochi ciottoli che si è trovato davanti, grossi o piccoli che fossero. La reazione non si è fatta attendere e dalle pagine dell’Unità e da quelle dell’Espresso si è sparato a zero contro l’apostata arrivando a negare al compagno Pasolini perfino una certa qualità di cultura che neanche il Borghese (sono parole sue) era mai giunto a mettere in dubbio.

Pasolini l’ha fatta grossa, ha creduto di poter parlare liberamente, scrivere ciò che pensa, criticare senza riserve; peggio non poteva fare.

Per chi ha seguito le mosse di Pasolini in questi ultimi anni, era facile prevedere che prima o poi lo scandaletto sarebbe, per forza di cose, scoppiato. È stato sempre difficile per un uomo di cultura militare in un partito politico, o anche soltanto viverne ai margini collaborando, senza venire prima o poi a trovarsi in palese … con interessi di politica contingente per i quali la verità non è quasi mai necessaria. I politici in genere sono portati a considerare l’uomo di cultura come una specie di galoppino al servizio della loro causa, figurarsi se possono accettare le critiche, per giuste e sensate che siano! Se poi, come nel nostro caso, il partito in questione è quello comunista lo scontro è inevitabile; ne seppero qualcosa, a suo tempo, un Guglielmo Peirce e un Alfonso Gatto, Pasolini ha retto fin troppo.

Ma se Pasolini, dopo lo scandalo aperto dalla sua lettera al Corriere, ha visto e potuto contare i killers di partito schierati per l’esecuzione dell’eretico, ha però trovato anche amici, come Sciascia, pronti a tendergli una mano, o i redattori del Mondo che gli hanno offerto le pagine del loro giornale per rispondere agli attacchi. Ed è appunto dalle pagine del Mondo che possiamo cogliere il pensiero attuale di Pasolini, valutarne le sincerità e contestarne gli assurdi.

Se il Borghese, come ha detto lo stesso Pasolini, non è mai giunto a mettere in dubbio una certa qualità della sua cultura, noi aggiungiamo volentieri di aver sempre stimato Pasolini come artista e di aver riscontrato almeno una traccia del suo ingegno anche in quei lavori che meno ci sono andati a genio per più motivi, non ultimi certa ostentazione di omosessualità veramente, e oltretutto, di pessimo gusto, o l’ossequio passivo alla moda di pornografia che ha fatto del sesso uno di quei prodotti tipici del mondo consumistico che proprio Pasolini dice di non condividere. Del resto queste accuse gli furono già mosse da un addetto culturale sovietico in occasione di un convegno sul cinema tenuto anni fa a Firenze (se non andiamo errati)

Sarebbe necessario, e forse divertente, controbattere una per una le risposte di Pasolini all’intervistatore del Mondo, ma occorrerebbe uno spazio che noi non abbiamo e perciò ci limiteremo alle principali, quelle che più ci hanno colpito.

Pasolini se la prende con il sistema consumistico, almeno come da noi si rivela, accusando la televisione di esserne la costante mezzana per l’imbonimento della massa; perfino la vittoria dei NO al referendum per il divorzio, afferma Pasolini sarebbe stata determinata dalla propaganda televisiva del nuovo tipo di vita «edonistico». È una analisi acuta e intelligente che lo porta a mettere il dito sulla piaga giusta scrivendo che il Vaticano non ha mai capito che cosa doveva e che cosa non doveva censurare. Doveva censurare, per esempio, «Carosello» perché è in «Carosello», onnipotente, che esplode in tutto il suo nitore, la sua assolutezza, la sua perentorietà, il nuovo tipo di vita che gli italiani devono vivere.

E ancora più oltre: Gli eroi della propaganda televisiva – giovani su motociclette, ragazze accanto a dentifrici – proliferano in milioni di eroi analoghi nella realtà. Mentre poco prima aveva detto di vedere in tutto questo un nuovo tipo di potere difficile da definirsi ma certo più violento e totalitario che ci sia mai stato perché cambia la natura della gente entrando nel profondo delle coscienze.

A questo punto assieme a noi sarà l’ombra di Ben Gurion a congratularsi, il capo dello Stato ebraico che non volle la televisione nel suo Paese ben prevedendo ciò che di deleterio avrebbe portato nel suo popolo sollecitandone i desideri. Poiché, illustre Pasolini, la televisione ha un linguaggio fisico-mimico, come Lei giustamente annota, che viene immancabilmente mimato di sana pianta, e per non essere deleteria, sotto qualsiasi forma di governo, dovrebbe semplicemente non esservi.

Lei considera peggiore il totalitarismo del capitalismo del consumo che il totalitarismo del potere (si riferisce ai recenti fatti del Portogallo) ma l’affermazione ha valore di principio e noi saremmo anche qui d’accordo poiché a differenza delle dittature politiche, che spesso riescono a generare e mantenere una reazione negli individui che la subiscono, quella dei consumi agisce subdolamente creando necessità fasulle per soddisfare le quali si subiscono scelte, che altri hanno fatto per noi, illudendoci di essere noi protagonisti e quindi senza più possibilità di reazione o anche semplicemente di critica.

Saremmo d’accordo, abbiamo detto, se Pasolini non se ne uscisse fuori con l’esempio dell’Unione Sovietica. Anche noi rimpiangiamo la perdita di un volto popolare, che Pasolini identifica nel garzone che lavorava cantando, ma che potremmo riscontrare in ogni aspetto di quello che un tempo era il popolo ed è ora una categoria anonima pervasa di desideri piccolo borghesi, ma se anche noi siamo colpiti dall’uniformità della folla, anonima, indifferente, stupida; ci sembra però incredibile che si possa arrivare a proporci, di contro, il modello di folla dell’Unione Sovietica, che pure è uniforme, ma per libera scelta, secondo Pasolini, perché qui non c’è più differenza di classe.

Anche noi siamo stati in Russia, e abbiamo notato che là non esiste, o quasi, alcuna differenza sostanziale tra la folla, ma non certamente per le ragioni che il nostro le attribuisce. Se c’è una cosa che colpisce guardando la folla in Russia è proprio l’uniformità nella tristezza e nella miseria. L’uniformità di chi subisce passivamente sapendo che ben poco può fare o sperare. Se nel mondo occidentale si nota una progressiva abulia, il senso di viltà alimentato da un corpo esageratamente satollo di beni puramente materiali; abbiamo notato in Russia il desiderio, non più tanto nascosto, di arrivare a satollarsi (poiché questo è il dramma, egregio Pasolini).

Se da noi Lei vede la proposizione: «Il potere ha deciso che noi siamo tutti uguali» e cioè rimbecilliti dal benessere, come faccia a non trovare in Russia la stessa proposizione per chi è istupidito nella miseria (e non solo materiale), questo ha veramente del miracoloso.

Lo abbiamo già detto e volentieri lo ripetiamo, anche noi detestiamo senza mezzi termini la cosiddetta civiltà dei consumi, anche noi consideriamo con dolore le vittime che fa il sistema ma non possiamo accettare che ci si venga a proporre per rimedio il sistema sovietico il quale, oltre a sognare vanamente proprio il nostro stato sfinendosi in un vago inseguimento, rende impossibili o tragicamente difficili anche i soli ripensamenti.

Veda, egregio Pasolini, non deve sottovalutare la possibilità che ha Lei, che ha il sottoscritto, di poter dire tutto ciò che diciamo in questo pur sporco mondo occidentale, capitalistico, consumistico, eccetera, eccetera, senza rischiare il calvario percorso invece in Russia da un Solgenitsyn, da un Panin e da tanti altri che ancora languono nei lager istituiti dallo zar Giuseppe Stalin e mantenuti dai nuovi, attuali zar, a lui succeduti. Inoltre, e Lei lo sa bene quanto me, in Russia le differenze di classe esistono tuttora, eccome!

All’inizio dell’intervista Lei parla di scelte, ecco, secondo noi tutto l’errore consiste proprio in questo; nell’idea di dover scegliere. Una volta fatta la scelta Lei ne è prigioniero e, se anche in buona fede, deve continuamente costringere la Sua intelligenza ad accettare i dogmi che la scelta ormai Le impone. Lei presenta due tipi possibili di scelta, o quella marxista o quella fascista e ne ritiene una giusta e l’altra, ovviamente errata. Giusta quella marxista, errata quella fascista, ma, o la Sua è una verità rivelata con possibilità di prove indiscutibili, oppure ammetterà che anche chi fa la scelta fascista penserà di essere nel vero e quindi agli occhi di un terzo che con imparzialità vi osservi, apparirete sullo stesso piano, almeno nelle pretese.

Ma la realtà è diversa, questa delle scelte doverose è una trovata adatta solo per addentrarsi in dialettiche senza fondo; ognuno di noi è fatto in un certo modo e tutto il suo sforzo dovrebbe consistere proprio nel conoscersi, in una presa di coscienza del proprio essere, che lo porterebbe automaticamente dalla parte giusta perché la sua, riconosciuta in sé senza più necessità di scelta. La scelta decisa invece mentalmente, e frutto libresco più che d’interiore conoscenza, finirà col dimostrarsi quasi sempre errata, finirà egregio Pasolini, per farci sentire fuori posto e indurci, prima o poi, a tirare i sassi in piccionaia come Lei ha fatto; finirà, se la buona fede sarà costante, per farci dubitare proprio della scelta. (Car.9358)

Quotidiano “Roma” di Napoli – 16 luglio 1974