Le Sezioni unite penali e il dibattito critico sulle loro decisioni

Nota a Cass. pen., Sez. V, sentenza n. 1757/2021
Grigio è
Ph. Luca Martini / Grigio è

Abstract

Lo scritto analizza una recente sentenza della Corte di cassazione che, traendo spunto da un chiarimento delle Sezioni unite penali sui limiti posti dall’articolo 270 codice procedura penale, ha puntualizzato la funzione e i poteri interpretativi di tale organo giudiziario.

The paper analyzes a recent ruling by the Court of Cassation which, drawing inspiration from a clarification of the Joined Sections on the limits set by article 270 of the Italian criminal procedure code, has clarified the function and the interpretative powers of this judicial body.

 

Sommario

La vicenda giudiziaria

La decisione della quinta sezione penale della Corte di cassazione

…La convinta adesione alla sentenza “Cavallo” delle Sezioni unite

…Il riepilogo delle critiche della procura generale alla sentenza “Cavallo”

…Il giudizio di infondatezza delle argomentazioni del PG

…Le conclusioni della sentenza

Riflessioni finali

 

Summary

The court case

The decision of the fifth criminal section of the Court of Cassation

… The convinced adherence to the “Cavallo” ruling of the Joined Sections

... The summary of the criticisms of the Attorney General at the Court of Cassation on the "Cavallo" ruling

… The judgment of groundlessness of the AG's arguments

… The conclusions of the decision

Final remarks

 

Non è bello che tutti si debba pensare allo stesso modo,

è la differenza di opinioni quella che rende possibili le corse dei cavalli. 

Mark Twain

 

La vicenda giudiziaria

Nel 2012 la procura della Repubblica di Catania iscrisse varie persone nel registro degli indagati, contestando loro i reati di associazione mafiosa, scambio elettorale politico mafioso e l’ulteriore fattispecie prevista dall’articolo 86 del d.P.R. n. 570/160 il cui primo comma incrimina “chiunque, per ottenere a proprio o altrui vantaggio, la firma per una dichiarazione di presentazione di candidatura, il voto elettorale o l’astensione, dà, offre o promette qualunque utilità ad uno o più elettori, o, per accordo con essi, ad altre persone”, quest’ultima aggravata dall’articolo 7 del d.l. n. 152/1990.

La procura catanese, contestualmente all’iscrizione ex articolo 335 codice procedura penale, chiese e ottenne l’autorizzazione ad eseguire intercettazioni.

Nel medesimo procedimento vennero successivamente iscritti il presidente della Regione Sicilia e suo figlio per il solo reato ex articolo 86 citato.

Ancora di seguito il PM, previo stralcio e formazione di un autonomo fascicolo procedimentale, chiese (e il GIP dispose) l’archiviazione della posizione di tutti i soggetti indagati per i reati di associazione mafiosa e scambio elettorale e si limitò ad esercitare l’azione penale per la sola ipotesi di reato elettorale.

Il tribunale di Catania assolse tutti gli imputati.

Il verdetto di primo grado fu tuttavia ribaltato dalla Corte di appello che condannò il presidente regionale e il figlio per la fattispecie prevista dal primo comma dell’articolo 86 e i loro coimputati per quella prevista dal secondo comma che punisce “l’elettore, che, per dare o negare la firma o il voto, ha accettato offerte o promesse o ha ricevuto denaro o altra utilità”.

Tutti gli imputati condannati hanno presentato ricorso per cassazione, muovendo numerose censure alla decisione della Corte territoriale, tra le quali spiccano per ciò che interessa in questa sede le eccezioni di inutilizzabilità delle intercettazioni condotte dalla procura catanese.

 

La decisione della quinta sezione penale della Corte di cassazione

…La convinta adesione alla sentenza “Cavallo” delle Sezioni unite

Il giudice di legittimità ha ritenuto fondate le eccezioni di cui si è appena detto.

Ha richiamato a tal proposito la sentenza “Cavallo” n. 51/2020 delle Sezioni unite penali cui si deve la precisazione che

il divieto di cui all'articolo 270 codice procedura penale, di utilizzazione dei risultati delle captazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali le stesse siano state autorizzate - salvo che risultino indispensabili per l'accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l'arresto in flagranza -, non opera con riferimento agli esiti relativi ai soli reati che risultino connessi, ex articolo 12 codice procedura penale, a quelli in relazione ai quali l'autorizzazione era stata "ab origine" disposta, sempreché rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dall'articolo 266 codice procedura penale”.

Ciò significa, secondo il collegio della quinta penale, che nell’accezione dell’articolo 270 codice procedura penale la locuzione “diversi procedimenti” si deve intendere riferita a “diversi reati” non connessi ai sensi dell’articolo 12 codice procedura penale a quelli per i quali è stata autorizzata l’intercettazione.

In altri termini, vi è medesimezza tra due procedimenti – e i risultati delle intercettazioni sono liberamente esportabili dall’uno all’altro - quando essi riguardino reati connessi sostanzialmente tra loro per una delle ipotesi descritte dalle lettere a), b) e c) dell’articolo 12. Per contro, i procedimenti sono diversi – e opera in tal caso il divieto di utilizzazione sancito dall’articolo 270 – quando siano collegati solo formalmente o occasionalmente il che accade nei casi di collegamento delle indagini secondo la previsione dell’articolo 371 codice procedura penale o di appartenenza ad un medesimo contesto investigativo o di mera identità del numero di iscrizione del procedimento.

Il collegio decidente ha poi sottolineato, in accordo al principio affermato dalle Sezioni unite, che la connessione sostanziale è un requisito necessario ma non sufficiente, occorrendo in aggiunta che il reato contestato nel procedimento di destinazione, cioè quello in cui devono confluire i risultati delle intercettazioni eseguite nel procedimento d’origine, sia compreso nel catalogo dei reati per i quali l’articolo 266 codice procedura penale consente di ricorrere alle intercettazioni.

Compiuta questa prima operazione di regolamento dei confini, il collegio ha rilevato che la sentenza impugnata non ha individuato con chiarezza il tipo di connessione, oscillando tra differenti riferimenti e incorrendo in un’irrimediabile confusione definitoria posto che nella motivazione si accenna alla rinfusa al “collegamento”, alla “connessione”, alla “potenzialità espansiva” della notizia di reato, alla “derivazione consequenziale dal nucleo di partenza”.

Già questa sola situazione avrebbe astrattamente comportato l’annullamento con rinvio, essendo indispensabili

un attento esame dei singoli decreti autorizzativi” e “una specifica disamina sui rapporti tra reati; accertamenti che, implicando componenti valutative, non potrebbero essere condotti per la prima volta in questa sede e dovrebbero essere demandati, pertanto, al giudice di merito attraverso lo strumento dell'annullamento con rinvio”.

Nondimeno, osservano i giudici di legittimità, questo tipo di esito è reso superfluo da una mera constatazione. Quand’anche si potesse dimostrare l’esistenza di una connessione sostanziale, il reato previsto dall’articolo 86 non è comunque tra quelli che legittimano il ricorso alle intercettazioni: la sua pena edittale massima è di tre anni di reclusione e non può neanche tenersi conto della contestazione iniziale dell’aggravante della finalità agevolativa mafiosa la quale consente in effetti le intercettazioni (lettera f-quinquies dell’articolo 266 codice procedura penale, inserita dall’articolo 2, comma 1, lettera b-bis del d.l. 161/2019, convertito con modifiche nella l. 7/2020) ma solo per i procedimenti penali iscritti dopo il 31 agosto 2020.

Il collegio ha proseguito l’esegesi della sentenza “Cavallo”, cui ha dichiarato di aderire con convinzione leggendovi

un'opzione interpretativa rispettosa della cd. riserva assoluta di legge stabilita dall'articolo 15 Cost. e della lettura che di tale norma ha fornito la Corte Costituzionale”.

L’estensore richiama a tal fine due passaggi significativi di quella decisione:

consentire, in caso di connessione dei reati o di emersione del nuovo reato nel procedimento ab origine iscritto, l'utilizzazione probatoria dell'intercettazione in relazione a reati che non rientrano nei limiti di ammissibilità fissati dalla legge si tradurrebbe, come la giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo di rimarcare, nel surrettizio, inevitabile aggiramento di tali limiti, con grave pregiudizio per gli interessi sostanziali tutelati dall'articolo 266 codice procedura penale che intende porre un limite alla interferenza nella libertà e segretezza delle comunicazioni in conformità all'articolo 15 della Costituzione”; “del resto, l'indiscriminato, in quanto svincolato dall'osservanza dei limiti di ammissibilità previsti dalla legge, allargamento dell'area dei reati per i quali sarebbero utilizzabili i risultati delle intercettazioni incrinerebbe il bilanciamento tra i valori costituzionali contrastanti (il diritto dei singoli individui alla libertà e alla segretezza delle loro comunicazioni, da una parte; dall'altra, l'interesse pubblico a reprimere i reati e a perseguire i loro autori) che è assicurato dall'articolo 270 codice procedura penale”.

 

…Il riepilogo delle critiche della procura generale alla sentenza “Cavallo”

Il collegio ha quindi richiamato le obiezioni avanzate dal procuratore generale (di seguito PG) d’udienza, secondo il quale:

la connessione tra i reati può ben ritenersi idonea ad escludere a monte il pericolo di "autorizzazione in bianco", e dunque il rischio di una violazione dei principi costituzionali in tema di libertà e segretezza delle comunicazioni, ciò in quanto, trattandosi di captazioni legittimamente autorizzate - e non di intercettazioni ab origine autorizzate per un reato per le quali non sarebbero ammesse -, non si ricadrebbe in alcuna ipotesi di inutilizzabilità patologica, e anzi dovrebbe trovare applicazione il diverso principio di naturale utilizzabilità del risultato di una legittima attività d'indagine nell'ambito del medesimo procedimento”;

le Sezioni Unite Cavallo hanno apposto, per via giurisprudenziale, un ulteriore limite all'utilizzabilità delle intercettazioni, non legislativamente previsto, né costituzionalmente imposto, «ben potendo essere oggetto, come effettivamente è stato nell'esercizio della discrezionalità legislativa, di un bilanciamento con altri principi costituzionali, rappresentati dal "principio di non dispersione degli elementi di prova" e dal "principio di uguaglianza";

differenziando il regime di utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni all'interno dello stesso procedimento, non solo e non tanto si verrebbe a creare una disparità di trattamento tra i diversi indagati, ma si introdurrebbe una vera e propria intima contraddizione di carattere logico-giuridico nel sistema data dal fatto che, nello stesso procedimento, una medesima base probatoria sarebbe al contempo utilizzabile (ad esempio per il reato di associazione per delinquere) e inutilizzabile (per i delitti scopo non rientranti nei limiti di ammissibilità di cui all'articolo 266 codice procedura penale) così da rendere il sistema auto-contraddittorio e da condurre a una conclusione contrastante con l'articolo 3 Cost.”;

la soluzione prescelta dalle Sezioni unite Cavallo, espone ora, dopo i recenti interventi legislativi, al rischio di una interpretatio abrogans in relazione al nuovo testo dell'articolo 270 codice procedura penale e, quindi, del divieto in esso contenuto: se si adottasse l'interpretazione delle Sezioni Unite, infatti, la portata della regola di piena utilizzabilità dei risultati all'interno del medesimo procedimento avrebbe la medesima estensione dell'eccezione posta al divieto utilizzazione in procedimenti diversi, e quest'ultimo risulterebbe, in ultima analisi, privo di portata precettiva, valendo una medesima disciplina per i reati appartenenti al medesimo o a diverso procedimento, con la già ricordata violazione dell'articolo 3 Cost. Da ciò deriverebbe poi che, in punto di utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni, dovrebbe vigere la medesima disciplina sia per i reati rientranti nel medesimo procedimento, sia per i reati afferenti a diversi procedimenti, con una inammissibile equiparazione di situazioni tra loro differenti”;

proprio una lettura costituzionalmente orientata all'articolo 3 Cost. dovrebbe portare verso una soluzione opposta a quella adottata dalle Sezioni unite e ritenere non necessaria la sussistenza dei presupposti di cui all'articolo 266 per i reati del medesimo procedimento, ma pienamente vigente, invece, la regola secondo cui, all'interno del medesimo procedimento (come sopra definito), vale la generale utilizzabilità delle prove acquisite, comprese le intercettazioni, purché ab origine legittimamente autorizzate”.

Il collegio ha poi esposto ulteriori obiezioni del PG, questa volta attinenti ad un preteso straripamento della sentenza “Cavallo” che si sarebbe spinta ben oltre l’oggetto specifico della questione che le era stata rimessa:

le Sezioni unite si sono espresse su una "questione" che non era stata loro devoluta, su un punto che non era rilevante ai fini della "decisione del ricorso", sulla base di un contradditorio delle parti - e in primis della Procura generale - da ritenersi istituzionalmente accentrato sulla questione devoluta e sulla decisione del ricorso e non sul diverso principio di diritto affermato, ponendosi infine in contraddizione con un ampio orientamento di legittimità di segno contrario e finendo così per creare esse stesse un contrasto, che non pareva sussistere sul punto nella giurisprudenza precedente (a parte i due isolati precedenti citati nella medesima sentenza)”.

Su tali presupposti, ha rilevato il collegio, il PG ha chiesto la rimessione alle Sezioni unite della questione della “autorizzabilità autonoma delle intercettazioni per i reati di un medesimo procedimento al fine dell'utilizzazione delle intercettazioni legittimamente autorizzate per un reato connesso” o, in subordine, di sollevare questione di legittimità costituzionale della norma così come interpretata dal "diritto vivente" per violazione degli articoli 3 e 112 Cost.

 

…Il giudizio di infondatezza delle argomentazioni del PG

Le argomentazioni dell’accusa pubblica non hanno persuaso i giudici di legittimità.

Non è vero – hanno rilevato anzitutto – che il principio interpretativo contestato dal rappresentante dell’accusa sia un’eccentrica considerazione a margine: al contrario, esso è stato formulato in uno specifico paragrafo delle conclusioni di diritto.

Non è neanche vero che le Sezioni unite, una volta che una questione interpretativa sia loro devoluta, debbano intenderla in senso stretto: è piuttosto vero il contrario, disponendo tale organo giudiziario del

potere di ricostruire l'istituto oggetto di esame e di formulare "il principio di diritto" secondo un'ottica di razionalizzazione sistematica in funzione nomofilattica, sensibile alle varie connessioni e implicazioni”.

Di questo potere le Sezioni unite si sono servite in più occasioni: ciò fecero, ad esempio, con la notissima sentenza “Mannino” nella quale, pur consistendo la questione principale nella definizione della figura del concorrente esterno in associazione mafiosa, fu ugualmente definita anche la figura del partecipe; lo stesso avvenne con la sentenza “Dasgupta” con cui le Sezioni unite chiarirono che la riforma in appello di una sentenza assolutoria di primo grado, se disposta in conseguenza di una differente valutazione di attendibilità delle fonti testimoniali, può avvenire solo dopo una nuova deposizione dei testi; affermato questo principio, il collegio lo estese, senza che la questione devoluta lo richiedesse, all’ipotesi del giudice di appello che riformi, ai soli fini civili, la sentenza assolutoria di primo grado.

La situazione, ad avviso del collegio, non è mutata dopo l’introduzione, ad opera della l. 103/2017, del comma 1-bis nel corpo dell’articolo 618 codice procedura penale

Tale nuova disposizione, secondo la quale

Se una sezione della corte ritiene di non condividere il principio di diritto enunciato dalle sezioni unite, rimette a queste ultime, con ordinanza, la decisione del ricorso”,

non ha reso vincolante il precedente in modo assoluto e non ha ridotto in alcun modo i margini dell’attività interpretativa delle Sezioni unite.

Tanto ciò è vero che

con la recentissima decisione assunta all'udienza del 26/11/2020 (ric. Sanna), diffusa con informazione provvisoria n. 23, la Corte di cassazione nella sua più autorevole composizione ha dimostrato di intendere il proprio ruolo nei medesimi termini della giurisprudenza antecedente alla novella. Le Sezioni Unite, investite della questione sulla portata della sospensione della prescrizione nel giudizio dinanzi alla Corte di cassazione ex articolo 83, comma 3-bis, d.l. n. 18 del 2020, conv. in I. n. 27 del 2020, hanno esteso il proprio esame all'intera disciplina della sospensione della prescrizione contenuta nel citato articolo 83 in una imprescindibile ottica di sistema pronta a cogliere le interconnessioni e sensibile alle esigenze di fornire una ricostruzione organica dell'istituto scrutinato”.

È irrilevante che la sentenza “Cavallo” abbia smentito un indirizzo interpretativo maggioritario, rientrando nella libertà valutativa delle Sezioni unite aderire a tesi minoritarie se ritenute più convincenti e, del resto, molteplici pronunce di legittimità successive hanno accolto il nuovo orientamento, a conferma della sua condivisibilità.

Non è affatto vero che la stessa decisione abbia dato vita ad un’interpretazione abrogativa, essendo vero piuttosto che ha posto rimedio ad indirizzi interpretativi che consentivano di eludere surrettiziamente i limiti di ammissibilità sanciti dall’articolo 266 codice procedura penale

Proprio la vicenda giudiziaria cui si riferisce il ricorso è un esempio illuminante:

Il caso per cui è processo fornisce dimostrazione concreta del «paradosso» provocato dalla tesi favorevole alla utilizzabilità delle intercettazioni: l'intercettazione non ha fornito gli elementi attesi con riferimento ai reati che la consentivano e per i quali era stata autorizzata (per questo motivo destinati all'archiviazione); i risultati vengono utilizzati come prova solo per un reato, occasionalmente scoperto, che, di per sé, non avrebbe mai potuto legittimare il ricorso all'intercettazione”.

Sono del tutto infondati gli accenni del PG ad eventuali profili di incostituzionalità del principio affermato dalla sentenza “Cavallo” per la pretesa violazione degli articoli 3 e 112 Cost.

Difatti, il principio di non dispersione della prova non può essere usato come un passepartout capace di giustificare, anche in assenza di reati di particolare allarme sociale, la pretermissione del diritto fondamentale alla segretezza delle comunicazioni.

È improprio il riferimento all’asserita compromissione del principio di obbligatorietà dell’azione penale posto che il chiarimento delle Sezioni unite non ha affatto inciso su tale obbligo, essendosi limitato a fissare

i limiti di utilizzo di un mezzo di ricerca della prova particolarmente invasivo, con finalità di salvaguardia di un valore di rango costituzionale (cfr. Corte Cost. ord. n. 259 del 2001)”.

La stessa valutazione di infondatezza è stata riservata all’ipotizzata lesione del principio di uguaglianza formale poiché

è pienamente rispettosa dell'articolo 3 Cost. una disciplina processuale interpretata nel senso di riservare, anche nell'ambito del medesimo procedimento, una diversa regolamentazione per reati diversi secondo un criterio di ragionevolezza, a sua volta ispirato alla necessità di operare un bilanciamento tra interessi di rango costituzionale in conflitto, in sintonia con il principio di proporzionalità tra «mezzi prescelti dal legislatore» ed «esigenze obiettive da soddisfare o finalità che intende perseguire»” [inoltre] “La distinzione della disciplina di utilizzabilità afferisce alla diversità dei reati, non alla diversità dei soggetti tutti concorrenti nel medesimo reato. Invero, le intercettazioni non richiedono che gli indizi di reato siano individualizzati: i presupposti dell'attività di intercettazione sono riferiti alla esistenza del reato e non alla responsabilità dei singoli concorrenti. D'altro canto il sistema processuale italiano conosce varie situazioni nelle quali le prove seguono regimi di utilizzabilità diversi all'interno del medesimo procedimento e addirittura per il medesimo reato”.

 

…Le conclusioni della sentenza

In esito al ragionamento complessivo sintetizzato nei precedenti sottoparagrafi, il collegio ha formulato il seguente principio di diritto (completamente conforme a quello affermato dalla sentenza “Cavallo”):

In tema di intercettazioni di conversazioni o comunicazioni, secondo la disciplina applicabile ai procedimenti penali iscritti fino al 31 agosto 2020, antecedente alla riforma introdotta dal d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 216, come modificato dal d.l. 30 aprile 2020, n. 28, convertito dalla legge 25 giugno 2020, n. 70, i risultati delle intercettazioni autorizzate per un determinato fatto-reato sono utilizzabili anche per ulteriori fatti-reato legati al primo da una connessione sostanziale rilevante ai sensi dell'articolo 12 codice procedura penale, ma solo a condizione che rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dall'articolo 266 codice procedura penale”.

È stato conseguenziale dichiarare l’inutilizzabilità dei risultati delle intercettazioni effettuate e, constatato il peso decisivo che essi hanno avuto ai fini della condanna, disporre il suo annullamento senza rinvio per insussistenza del fatto.

 

Riflessioni finali

Sono molteplici i motivi di interesse e di riflessione della decisione della quinta sezione penale ma tra tutti merita una particolare sottolineatura il dibattito sviluppatosi all’interno del giudizio di legittimità sulle prerogative interpretative delle Sezioni unite.

Attraverso il suo rappresentante d’udienza, la procura generale presso la Corte di cassazione ha mosso un attacco frontale a una decisione di quell’organo giurisdizionale.

Il PG non solo l’ha contestata ma ha addirittura messo in discussione la legittimazione del medesimo organo a pronunciarsi su un punto che eccedeva la questione che gli era stata devoluta ed ha pertanto richiesto l’adozione di iniziative (una nuova rimessione alle Sezioni unite o, in subordine, la proposizione di una questione di legittimità costituzionale) finalizzate a rimuovere la decisione sgradita.

Un dissenso forte, dunque, formulato senza troppe concessioni al lessico felpato e riverente solitamente riservato alle decisioni del massimo organo nomofilattico.

L’insolita asprezza del PG ha generato una reazione altrettanto insolita: il collegio di legittimità non ha potuto limitarsi a decidere il ricorso in virtù della semplice condivisione del principio affermato dalle Sezioni unite ma ha dovuto prima confutare le critiche della procura generale e, addirittura, chiarire e difendere il potere/dovere del massimo organo nomofilattico di dar vita ad interpretazioni sistematiche.

Serve allora provare a capire le ragioni di un così acceso dibattito.

A ben vedere, si sono scontrate due opposte concezioni della funzione e dei limiti della giustizia penale.

Nella visione del PG, la connessione tra reati è tutto quanto serve per escludere il pericolo di “un’autorizzazione in bianco” sicché l’ulteriore requisito richiesto dalla sentenza “Cavallo” – che cioè anche il reato connesso a quello per il quale è stata data l’autorizzazione rientri nell’elenco dell’articolo 266 codice procedura penale – si risolve in un limite arbitrario.

Di più: l’interpretazione avallata dalle Sezioni unite lede due principi di rango costituzionale, vale a dire la non dispersione degli elementi di prova e l’uguaglianza formale, pone nel nulla la recente modifica del primo comma dell’articolo 270 codice procedura penale che ha reso possibile l’uso dei risultati delle intercettazioni in procedimenti diversi anche nei casi in cui siano rilevanti e indispensabili per l’accertamento di un qualsiasi reato previsto dall’articolo 266, comma 1.

Infine: le Sezioni unite si sono pronunciate al di fuori del perimetro ammesso, cioè su una questione il cui oggetto, non essendo rilevante per la decisione del ricorso, non era stato considerato nel contraddittorio delle parti - “in primis della Procura generale” – e per ciò stesso da risolutrici di preesistenti conflitti si sono trasformate in creatrici di nuovi.

Si è già ricordata la risposta complessiva che il collegio della quinta sezione penale ha dato a queste censure e non c’è nulla da aggiungere se non che la si condivide senza riserve.

Si ritiene per contro necessaria, prima di concludere, qualche osservazione sugli argomenti del PG.

Suona piuttosto stonato, in primo luogo, il richiamo al principio di non dispersione della prova come fonte giustificativa del superamento dei divieti di utilizzazione posti dall’articolo 270.

È innegabile che la ricerca della verità costituisca il fine essenziale del processo penale e che la valorizzazione degli elementi di prova sia il primo strumento per la sua realizzazione.

È però ugualmente vero che quella ricerca va condotta nel rispetto dei principi e delle regole che insieme considerati compongono il decalogo del giusto processo nell’accezione offertane dall’articolo 111 Cost.

Così come è vero che nel caso di specie il fine della verità deve confrontarsi ed equilibrarsi con un principio di elevato rango costituzionale quale è quello dell’inviolabilità della libertà e segretezza delle comunicazioni e certamente non si può ritenere equilibrata un’interpretazione che consentirebbe l’uso di intercettazioni per un reato che, di per sé considerato, non le ammetterebbe poiché incapace, per valutazione legislativa, di generare uno speciale allarme sociale.

In altri termini: con una posizione del genere, il PG punta a privilegiare le esigenze dell’accusa e a minimizzare quelle della difesa e chiede a tal fine un’interpretazione creativa che porrebbe nel nulla la volontà del legislatore costituente e ordinario.

Considerazioni analoghe si impongono anche riguardo all’altrettanto pretesa violazione del principio di uguaglianza. Il PG intravede la lesione nel diverso regime che la sentenza “Cavallo” imporrebbe agli indagati di un procedimento unitario ma, ancora un volta, ignora che il coinvolgimento di più individui in un unico contenitore procedimentale non è e non può essere il parametro guida – se così fosse il PM godrebbe di un potere discrezionale senza pari che potrebbe facilmente trasmodare nell’arbitrio – contando soltanto le contestazioni mosse ad ognuno degli indagati e il differente statuto di utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni per esse previsto  dal legislatore.

Altrettanto ingiustificate sembrano infine le censure mosse dal PG al preteso straripamento delle Sezioni unite.

C’è da dire anzitutto – e il collegio di legittimità non ha mancato di rilevarlo, come si è visto – che l’ampliamento del thema decidendum non è affatto una novità nella giurisprudenza delle Sezioni unite ed è avvenuto in occasioni in cui la natura della questione devoluta rendeva necessari chiarimenti più estesi.

La decisione commentata ha ricordato alcuni casi del genere ma altri ve ne sono stati, anche di recente.

Si pensi, ad esempio, alla pronuncia “Chioccini” (SU, sentenza n. 8545/2020).

Nell’occasione si chiedeva alle Sezioni unite di chiarire se l’aggravante dell’agevolazione mafiosa disciplinata dall’articolo 416-bis.1 codice penale abbia natura soggettiva o oggettiva.

L’organo nomofilattico si è schierato a favore della prima opzione interpretativa ma, al tempo stesso, ha ritenuto indispensabile la

ricostruzione dello spazio di autonomia tra la fattispecie aggravata dalla finalità agevolatrice ed il concorso esterno in associazione mafiosa

ed ha inopinatamente rilanciato la tesi, affermata dalla sentenza “Demitry” nel 1994, smentita dalla sentenza Mannino del 2003 e da allora mai più ripresa, che configura la condotta del concorrente esterno come un contributo atipico, necessariamente connesso ad una condizione di fibrillazione del gruppo mafioso:

“elemento differenziale della condotta è l'intervento non tipico dell'attività associativa, ma maturato in condizioni particolari (la cd. fibrillazione o altrimenti definita situazione di potenziale capacità di crisi della struttura), che rendono ineludibile un intervento esterno, per la prosecuzione dell'attività. Rispetto allo sviluppo dello scopo sociale l'azione del concorrente esterno si contraddistingue da elementi di atipicità ed al contempo di necessarietà in quel particolare ambito temporale. Gli elementi costitutivi appena richiamati sono estranei alla figura aggravata, con cui condivide solo la necessità dell'esistenza dell'associazione mafiosa, mentre nella forma circostanziale l'utilità dell'intervento può essere anche valutata astrattamente solo da uno degli agenti, senza estensione ai componenti del gruppo, e del tutto estemporanea e fungibile rispetto all'attività delinquenziale programmata e, soprattutto, non necessariamente produttiva di effetti di concreta agevolazione”.

C’è di più: dopo la sentenza “Chioccini” la tesi della connessione del concorso esterno alla fibrillazione è stata ripresa da Cass. pen., Sez. VI, 25619/2020, che l’ha considerata, piuttosto curiosamente, come un punto fermo, un approdo interpretativo al quale ispirarsi. Non risulta che, allora o dopo, la procura generale presso la Cassazione abbia mosso alcuna particolare censura al riguardo.

Sembrerebbe dunque che non sia tanto l’ampiezza dei chiarimenti delle Sezioni unite ad angustiare la PG quanto piuttosto gli equilibri tra le parti processuali che ne derivano.

Del resto, quell’accenno alla violazione del contraddittorio che avrebbe inficiato la sentenza “Cavallo” e quella sottolineatura della procura generale come prima e più importante vittima della violazione evidenziano come meglio non si potrebbe una certa visione che assegna all’accusa pubblica una primazia nel dibattito processuale che in realtà non le appartiene.

La stessa inconsistenza caratterizza l’accusa di avere sovvertito il preesistente orientamento maggioritario: è fin troppo evidente che le Sezioni unite non hanno alcun dovere conservativo, semmai il dovere opposto di modificare e correggere il “diritto vivente” ogni qualvolta sia necessario, soprattutto quando risultino privilegiate - ed era questo il caso oggetto della sentenza “Cavallo” – interpretazioni confliggenti con principi costituzionali di primissimo rango.

I giudici di legittimità hanno saputo resistere a questa lunga sequela di suggestioni incoerenti ed è l’unica cosa che conta.