Licenziamento: il superamento del periodo di comporto

Esame della disciplina dei licenziamenti individuali per superamento del cosiddetto periodo di comporto
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Licenziamento: il superamento del periodo di comporto


Indice

  1. Periodo di comporto. Definizione.
  2. Legittimità della lettera di licenziamento per superamento del periodo di comporto
  3. Tutele nel caso di licenziamento in violazione dell’articolo 2110 co. 2 Codice Civile


Abstract in italiano

Il saggio qui proposto analizza, con conforto della dottrina e della giurisprudenza, la disciplina dei licenziamenti individuali per superamento del cosiddetto periodo di comporto, per quei lavoratori dipendenti di imprese che integrano il requisito occupazione ex articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, nonché per quei prestatori di lavoro alle dipendenze di imprese non riconducibili alla fattispecie legislativa sopra enunciata. Nondimeno, l’articolo affronta la lettura del tema passando in rassegna le diverse disposizioni normative susseguitesi nel solco dell’ultimo decennio.  


Abstract in inglese

The essay proposed here analyses, with the support of doctrine and jurisprudence, the discipline of individual dismissals for exceeding the so-called period of behaviour, for those employees of companies that integrate the employment requirement pursuant to articolo 18 of the law of 20 May 1970, n. 300, as well as for those workers employed by companies not attributable to the above-mentioned legislative case. Nonetheless, the article addresses the reading of the topic by reviewing the various regulatory provisions that have followed one another in the wake of the last five years.


1. Periodo di comporto. Definizione

Innanzitutto, è doveroso significare che i contratti collettivi assolvono alla funzione di determinare il periodo di comporto, nelle varianti del periodo di comporto c.d., secco e nel periodo di comporto c.d., per sommatoria.

Nella prima ipotesi, viene considerato un unico periodo di malattia continuativo in un arco temporale definito, al di là del quale il datore potrà recedere dal rapporto di lavoro. Nella seconda fattispecie, invece, il datore potrà considerare il periodo di comporto quale somma dei periodi di malattia, anche non continuativi, distribuiti in una fascia temporale definita dalla stessa contrattazione collettiva.

In ogni caso, il periodo di comporto è quel periodo nel quale il lavoratore, non solo ha diritto ad astenersi dalla prestazione per causa di malattia, ma ha anche la garanzia della conservazione del posto di lavoro. [1]

Quale conseguenza dell’articolo 2110 co. 2, si avrà un licenziamento temporaneamente inefficace, qualora sia comminato per cause estranee alla malattia. Lo stesso – di converso – acquisterà la sua efficacia all’esaurimento del predetto comporto. [2]

Tuttavia, il licenziamento per giusta causa costituisce una fattispecie in ragione della quale è possibile recedere “in tronco” anche durante la pendenza della malattia, senza che si incorra nel suddetto perimetro di inefficacia temporale del licenziamento. [3] Ulteriori ipotesi che esulano dall’ambito di applicazione del comma 2 dell’articolo 2110 Codice Civile sono le seguenti: cessazione totale dell’attività d’impresa; scadenza del contratto a termine. [4] In siffatte ipotesi, orbene, il licenziamento irrogato durante il periodo di malattia sarà efficace.

Nella prima ipotesi, viene considerato un unico periodo di malattia continuativo in un arco temporale definito, al di là del quale il datore potrà recedere dal rapporto di lavoro. Nella seconda fattispecie, invece, il datore potrà considerare il periodo di comporto quale somma dei periodi di malattia, anche non continuativi, distribuiti in una fascia temporale definita dalla stessa contrattazione collettiva.

Ad ogni modo, il periodo di comporto pone dei problemi in ordine al computo temporale dello stesso. A tal proposito è consolidato l’orientamento secondo cui il comporto, ancorché espresso in mesi o giorni, comprende anche i giorni festivi o non lavorativi, salva diversa disposizione contrattuale, operando, in tal senso, una presunzione di continuità dell’episodio morboso, che può essere esclusa soltanto dalla prova del rientro in servizio del dipendente.[5]

Superato il periodo di comporto, il datore potrà procedere al licenziamento del dipendente.

La fattispecie in esame, non annoverabile nel disposto di cui all’articolo 2118 Codice Civile, costituisce un’ipotesi speciale di licenziamento, [6] così che il datore non dovrà dare dimostrazione di un giustificato motivo obiettivo ulteriore [7] e neppure che il dipendente risulti inidoneo ad alcun proficuo lavoro. [8]

Il licenziamento de quo, in riferimento al momento nel quale deve essere comminato, può essere disposto durante la vigenza della malattia ma anche quando il lavoratore abbia ripreso servizio, purché non sia decorso un tempo eccessivo dalla scadenza del comporto, tale da configurare non un tollerato spatium deliberandi, bensì una rinuncia implicita al recesso. [9]


2. Legittimità della lettera di licenziamento per superamento del periodo di comporto

Nella sentenza n. 8628 del 16.03.2022, la Corte di Cassazione ha ribadito il principio secondo il quale, nel licenziamento per superamento del periodo di comporto, “il datore di lavoro non deve specificare i singoli giorni di assenza, potendosi ritenere sufficienti indicazioni più complessive, anche sulla base della L. n. 604 del 1966, novellato articolo 2, che impone la comunicazione contestuale dei motivi, fermo restando l’onere di allegare e provare compiutamente in giudizio i fatti costitutivi del potere esercitato”.

Tuttavia, quanto statuito dalla giurisprudenza di legittimità, in linea con precedenti orientamenti, [10] è valevole per il solo periodo di comporto c.d., secco, “ove i giorni di assenza sono facilmente calcolabili anche dal lavoratore”; per contro, nel periodo di comporto c.d. per sommatoria “occorre una indicazione specifica delle assenze computate, in modo da consentire la difesa al lavoratore”.


3. Tutele nel caso di licenziamento in violazione dell’articolo 2110 co. 2 Codice Civile

In tema di licenziamento intimato in violazione dell’articolo 2110 co. 2 del codice civile, e quindi irrogato allorché non sia superato il periodo di comporto, è da effettuare un discrimine in ragione dei lavoratori, di imprese aventi alle dipendenze più di 15 dipendenti, assunti ante 7 marzo del 2015, e quindi tutelati dal disposto dell’articolo 18 della legge 20 maggio 1970, n. 300, e assunti dal 7 marzo 2015 per i quali, di converso, si applicherà la disciplina dei contratti c.d. a tutele crescenti di cui al d.lgs. n. 23/2015. [11]

Prima della legiferazione della legge n. 92/2012 (c.d., riforma Fornero), la fattispecie in disamina veniva ricondotta nelle ipotesi del licenziamento comminato in violazione di norma imperativa. [12]

A seguito della riforma, che ha novellato l’articolo 18 della legge n. 300/1970, [13] la cui rubrica reca “Tutela del lavoratore in caso di licenziamento illegittimo”, “il giudice applica la medesima disciplina di cui al quarto comma del presente articolo (articolo 18 legge n.300/1970) nell’ipotesi in cui accerti il difetto di giustificazione del licenziamento intimato, anche ai sensi degli articoli 4, comma 4, e 10, comma 3, della legge 12 marzo 1999, n. 68, per motivo oggettivo consistente nell’inidoneità fisica o psichica del lavoratore, ovvero che il licenziamento è stato intimato in violazione dell’articolo 2110, secondo comma, del codice civile”.

Ne consegue che il lavoratore sarà destinatario di una tutela di tipo ripristinatoria (reintegra nel posto di lavoro), con diritto “al pagamento di un’indennità risarcitoria commisurata all’ultima retribuzione globale di fatto dal giorno del licenziamento sino a quello dell’effettiva reintegrazione, dedotto quanto il lavoratore ha percepito (c.d., alliunde perceptum), nel periodo di estromissione, per lo svolgimento di altre attività lavorative, nonché quanto avrebbe potuto percepire dedicandosi con diligenza alla ricerca di una nuova occupazione (c.d., alliunde percipiendum). In ogni caso la misura dell’indennità risarcitoria non può essere superiore a dodici mensilità della retribuzione globale di fatto”.

Il Decreto Legislativo n. 23/2015 nulla afferma in ordine al licenziamento disposto in violazione dell’articolo 2110 co. 2 Codice Civile.

Orbene, gli scenari plausibili, ove siffatta ipotesi fosse verificata, possono essere i seguenti: in linea con l’articolo 3 del Decreto Legislativo de quo, potrebbe rilevare una tutela risarcitoria con estinzione del rapporto di lavoro dalla data di licenziamento del rapporto di lavoro dichiarata dal giudice e con la corresponsione di un’indennità risarcitoria da un minimo di 6 mensilità ad un massimo di 36 mensilità, secondo i parametri definiti da una recente pronuncia del giudice delle leggi. [14]

Altra soluzione plausibile, invece, sarebbe quella di ricondurre i lavoratori in commento (prestatori assunti dal 7 marzo 2015) nell’alveo della tutela ripristinatoria, con ricostituzione del rapporto di lavoro, poiché la fattispecie in esame integrerebbe una nullità di diritto comune. Secondo l’orientamento di legittimità, la scelta di una tutela in luogo dell’altra deve propendere per la nullità di diritto comune e, dunque, esige il ripristino del rapporto di lavoro. [15] Non v’è dubbio per ritenere, pertanto, che anche a quei lavoratori alle dipendenze di imprese fino a 15 dipendenti, allorché si accerti la nullità del licenziamento comminato in violazione dell’articolo 2110 Codice Civile (mancato superamento del periodo di comporto), andrà sempre applicata la reintegra nel posto di lavoro. [16]

***

[1] Cfr. DEL PUNTA, La sospensione del rapporto di lavoro, in Comm. Schlesinger, sub artt. 2110 e 2111, Milano 1992, 363 ss.; PANDOLFO, La malattia nel rapporto di lavoro, Milano 1991, 291 ss.

[2] C. 10.10.2013, n. 23063; C. 4.7.2001, n. 9037.

[3] C. 4.1.2017, n. 64; C. 6.8.2001, n. 10881.

[4] T. Milano 11.6.1971, MGL 1971, 432; T. Brescia 15.7.1977, OGL 1977, 955.

[5] C. 23.6.2006, n. 14633; C. 10.11.2004, n. 21385.

[6] Al lavoratore deve essere fornito un congruo preavviso.

[7] C. s.u. 22.5.2018, n. 12568; C. 28.1.2010, n. 1861

[8] C. 7.6.2019, n. 15512

[9] C. 12.10.2018, n. 25535

[10] Cass. 18 maggio 2016, n. 10252; Cass. 27 febbraio 2019, n. 5752

[11] Il Decreto Legislativo n. 23/2015 trova applicazione anche nei confronti dei lavoratori il cui rapporto di lavoro è stato trasformato a tempo indeterminato a partire dal 7 marzo del 2015; per i prestatori di aziende il cui requisito dimensionale dei 16 dipendenti, valevole per l’applicazione della disciplina testé richiamata, è stato integrato a partire dal 7 marzo del 2015. Infine, il Decreto Legislativo n. 23/2015 deve essere applicato agli apprendisti attestati dal 7 marzo del 2015.

[12] C. s.u. 22.5.2018, n. 12568; C. 18.11.2014, n. 24525; C. 26.10.1999, n. 12031, CED

[13] La riforma Fornero ha raschiato il dettame ex articolo 18 della legge n.300/1970, dettando una disciplina che ha circoscritto le ipotesi di reintegra nel posto di lavoro. In proposito, è possibile asserire che la normativa, così come revisionata dalla l. n. 92/2012, ha introdotto due ipotesi di tutela reale (una ad indennizzo pieno e l’altra ad indennizzo attenuato) e due ipotesi di tutela obbligatoria (una ad indennizzo pieno e l’altra ad indennizzo attenuato).

[14] V. Sent. Cort. Cost. 8.11.2018, n. 194

[15] V. C. s.u. 22.5.2018, n. 12568

[16] Con la sentenza n. 19661 del 22.07.2019, la Cassazione – ribaltando quanto precedentemente statuito dalla Corte d’Appello di Catania, ha affermato che “il valore della tutela della salute è prioritario all’interno dell’ordinamento, atteso che l’articolo 32 Cost. lo definisce come un fondamentale diritto dell’individuo, nonché un interesse di tutta la collettività. Ne consegue che la stessa non può essere adeguatamente protetta se non all’interno di tempi sicuri entro i quali il lavoratore, ammalatosi o infortunatosi, possa avvalersi delle opportune terapie senza il timore di perdere, nelle more, il proprio posto di lavoro”.