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L’illecito sportivo corre sul filo del telefono

Come è noto, nell’ambito dell’ordinamento federale calcistico, l’illecito sportivo (art. 7, c. 1, C.G.S.) si concretizza nel “compimento, con qualsiasi mezzo, di atti diretti ad alterare lo svolgimento o il risultato di una gara o di una competizione, ovvero ad assicurare, a chiunque, un vantaggio in classifica”.

In particolare, la fattispecie, qualificata come illecito di pericolo, o meglio, a consumazione anticipata (T.A.R. Lazio, Sez. III ter, sent. n. 5645/07 A.C. Arezzo S.p.a. / F.I.G.C.), si colloca nel più ampio genus della c.d. frode sportiva, disciplinata dalla L. n. 401/89.

Un medesimo comportamento fraudolento nei termini di cui sopra, dunque, può assumere giuridico rilievo sia per l’ordinamento sportivo che per quello statuale.

Peraltro, la posizione di pacifica autonomia del primo rispetto al secondo, quanto al giudizio su questioni attinenti all’attività sportiva e ai comportamenti disciplinari (e relative sanzioni) come l’illecito sportivo, permette di escludere che vi possa essere un rapporto di pregiudizialità tra il procedimento radicato dinanzi all’Autorità Giudiziaria Ordinaria (Penale) e quello pendente dinanzi agli organi di giustizia sportiva.

Infatti, l’art. 2, c. 1, della L. n. 401/89 prevede che, in ipotesi di frode sportiva, la medesima condotta possa essere oggetto di una valutazione parallela, poiché l’esercizio dell’azione penale e la sentenza che definisce il relativo giudizio non influiscono in alcun modo sull’omologazione delle gare, né su ogni altro provvedimento di competenza degli organi sportivi.

Inoltre l’inizio del procedimento penale non preclude l’attivazione del procedimento disciplinare sportivo secondo gli specifici regolamenti (art. 2, c. 2, L. n. 401/89), né occorre sospendere il procedimento disciplinare in attesa che venga definito quello in sede penale.

Senza considerare, inoltre, che gli organi di giustizia sportiva, al solo fine della propria competenza funzionale, possono chiedere copia degli atti del procedimento penale, fermo restando il divieto di pubblicazione dei medesimi (art. 2, c. 3, L. n. 401/89).

In tale quadro di riferimento, sinteticamente sottoposto all’attenzione del lettore, si pone il problema afferente alla legittimità o meno dell’utilizzazione, nel procedimento sportivo, delle intercettazioni telefoniche disposte nell’ambito di quello ordinario (penale).

La tesi dell’illegittimità ha costituito, spesso, l’argomento centrale delle difese spiegate dai soggetti coinvolti nelle recentissime vicende di “calciopoli”, tuttavia, senza successo.

In più di un occasione, gli organi di giustizia sportiva, infatti, hanno ritenuto legittima l’acquisizione e la trascrizione di intercettazioni telefoniche e ambientali, a patto che provenissero dall’A.G.O., il che fa presupporre la legittimità della loro assunzione ai sensi dell’art. 268 c.p.p. (esecuzione delle operazioni di intercettazione), mentre la limitazione prevista dall’art. 270 c.p.p. (limiti di utilizzabilità delle intercettazioni in altri procedimenti) opera soltanto nell’ambito del processo penale e trova, ad ogni buon conto, deroga in forza del principio (artt. 21 e 27 D. Lgs. n. 196/03) secondo cui “il trattamento di dati giudiziari da parte di privati o soggetti pubblici è consentito soltanto se autorizzato da espressa disposizione di legge”, come è appunto l’art. 2, c. 3, L. n. 401/89 (cfr. Comm. Disc. c/o L.N.P., C.U. n. 10 del 27/07/2005).

Tal genere di orientamento è stato manifestato anche dalla Camera di Conciliazione e Arbitrato c/o il C.O.N.I. (Lodo Mazzei / F.I.G.C. del 01/06/2007) e dal T.A.R. Puglia, Sez. I, 19/04/2001 n. 1199, secondo cui “l’inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche non può spiegare effetti oltre gli ambiti processuali penali e, pertanto, non può impedire l’apprezzamento delle stesse in sede disciplinare”.

Tuttavia, nell’ipotesi in cui determinate intercettazioni risultino, addirittura, di dubbia utilizzabilità in seno al procedimento penale in relazione al quale siano state disposte, le medesime non possono, per ciò stesso, essere vagliate nell’ambito di un determinato procedimento sportivo (arbitrale), se non a costo di porre in essere una violazione della disciplina sottesa al trattamento dei dati personali, che richiede l’adozione di soluzioni volte a non favorire un uso esuberante dei dati personali rispetto alle finalità per cui sono stati raccolti (procedimento penale) o successivamente trattati -art. 11, c. 1, lett. d) e art. 7, c. 3, lett. b), D. Lgs n. 196/03- (Lodo CCA Meani / F.I.G.C. del 28/05/2007).

Gioverà ricordare che l’ordinamento costituzionale italiano contempla una significativa limitazione al divieto di violare la libertà e segretezza di ogni forma di comunicazione attraverso la previsione di cui all’art. 15, c. 2, in base al quale la limitazione deve avvenire, come nella specie, attraverso atto motivato dell’Autorità Giudiziaria, con le garanzie stabilite dalla legge, la cui concreta ricorrenza ha, per costante giurisprudenza dei giudici di legittimità, esonerato da dubbi di illegittimità la normativa processual-penalistica, nonché le disposizioni rivolte alla tutela dei valori dello sport.

Proprio il carattere strumentale al perseguimento di scopi costituzionalmente rilevanti consente, inoltre, di ritenere affatto decisiva l’invocazione che alcune difese, sempre in tema di riservatezza, hanno operato nei riguardi dell’art.8 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo (1950), tenuto conto che detta norma coordina, espressamente, la tutela del valore della riservatezza con quella altrettanto essenziale della repressione dei fatti illeciti penalmente rilevanti.

La natura stessa del procedimento disciplinare, come regolato dal C.G.S., non prevede, poi, né implicitamente, né esplicitamente, la possibilità che l’organo di giustizia sportiva, nel caso in cui siano stati acquisiti atti di procedimenti di competenza dell’A.G.O., verifichi, ai fini della loro ammissibilità o utilizzabilità, il rispetto delle relative norme processuali, perché nessuna norma del C.G.S. attribuisce siffatta funzione al giudice sportivo.

Con questo non si intende giungere ad affermare che, in linea di principio, i vizi eventuali che possono inficiare l’utilizzabilità di prove penali, quali le conversazioni intercettate, siano irrilevanti: una prova rispetto alla quale sia dimostrata l’illiceità non potrebbe trovare ingresso, di certo, neppure nell’ambito di una giustizia “domestica” sportiva.

Piuttosto, va osservato come sia onere del soggetto ritenuto responsabile dell’illecito sportivo dimostrare l’eventuale illiceità o “inutilizzabilità” della prova, la quale, pertanto, in difetto, potrà essere legittimamente vagliata dal giudice sportivo.

Vero è, del resto, che le intercettazioni, di frequente, non vengono acquisite come fonte esclusiva di prova, ma come elementi idonei alla formazione del convincimento del giudice sportivo, unitamente ad altri accertamenti operati dalla Procura Federale, oltre a quelli che possano emergere nel corso dello stesso dibattimento.

Né si può sottacere, inoltre, che nella gran parte dei casi, le intercettazioni non vengono contestate, dalle parti, nell’autenticità e veridicità delle trascrizioni acquisite agli atti e nella fedeltà delle registrazioni compiute, ma unicamente confutate con riferimento all’effettivo significato e all’interpretazione attribuita alle parole, alle frasi e al senso delle espressioni utilizzate.

Ne discende, dunque, che l’ammissione delle parti a comparire personalmente, con la conseguente possibilità di chiarire le eventuali incongruenze e inesattezze che emergano dal materiale in esame, renda oltremodo legittimo l’utilizzo delle intercettazioni telefoniche in tema di illecito sportivo.

Come è noto, nell’ambito dell’ordinamento federale calcistico, l’illecito sportivo (art. 7, c. 1, C.G.S.) si concretizza nel “compimento, con qualsiasi mezzo, di atti diretti ad alterare lo svolgimento o il risultato di una gara o di una competizione, ovvero ad assicurare, a chiunque, un vantaggio in classifica”.

In particolare, la fattispecie, qualificata come illecito di pericolo, o meglio, a consumazione anticipata (T.A.R. Lazio, Sez. III ter, sent. n. 5645/07 A.C. Arezzo S.p.a. / F.I.G.C.), si colloca nel più ampio genus della c.d. frode sportiva, disciplinata dalla L. n. 401/89.

Un medesimo comportamento fraudolento nei termini di cui sopra, dunque, può assumere giuridico rilievo sia per l’ordinamento sportivo che per quello statuale.

Peraltro, la posizione di pacifica autonomia del primo rispetto al secondo, quanto al giudizio su questioni attinenti all’attività sportiva e ai comportamenti disciplinari (e relative sanzioni) come l’illecito sportivo, permette di escludere che vi possa essere un rapporto di pregiudizialità tra il procedimento radicato dinanzi all’Autorità Giudiziaria Ordinaria (Penale) e quello pendente dinanzi agli organi di giustizia sportiva.

Infatti, l’art. 2, c. 1, della L. n. 401/89 prevede che, in ipotesi di frode sportiva, la medesima condotta possa essere oggetto di una valutazione parallela, poiché l’esercizio dell’azione penale e la sentenza che definisce il relativo giudizio non influiscono in alcun modo sull’omologazione delle gare, né su ogni altro provvedimento di competenza degli organi sportivi.

Inoltre l’inizio del procedimento penale non preclude l’attivazione del procedimento disciplinare sportivo secondo gli specifici regolamenti (art. 2, c. 2, L. n. 401/89), né occorre sospendere il procedimento disciplinare in attesa che venga definito quello in sede penale.

Senza considerare, inoltre, che gli organi di giustizia sportiva, al solo fine della propria competenza funzionale, possono chiedere copia degli atti del procedimento penale, fermo restando il divieto di pubblicazione dei medesimi (art. 2, c. 3, L. n. 401/89).

In tale quadro di riferimento, sinteticamente sottoposto all’attenzione del lettore, si pone il problema afferente alla legittimità o meno dell’utilizzazione, nel procedimento sportivo, delle intercettazioni telefoniche disposte nell’ambito di quello ordinario (penale).

La tesi dell’illegittimità ha costituito, spesso, l’argomento centrale delle difese spiegate dai soggetti coinvolti nelle recentissime vicende di “calciopoli”, tuttavia, senza successo.

In più di un occasione, gli organi di giustizia sportiva, infatti, hanno ritenuto legittima l’acquisizione e la trascrizione di intercettazioni telefoniche e ambientali, a patto che provenissero dall’A.G.O., il che fa presupporre la legittimità della loro assunzione ai sensi dell’art. 268 c.p.p. (esecuzione delle operazioni di intercettazione), mentre la limitazione prevista dall’art. 270 c.p.p. (limiti di utilizzabilità delle intercettazioni in altri procedimenti) opera soltanto nell’ambito del processo penale e trova, ad ogni buon conto, deroga in forza del principio (artt. 21 e 27 D. Lgs. n. 196/03) secondo cui “il trattamento di dati giudiziari da parte di privati o soggetti pubblici è consentito soltanto se autorizzato da espressa disposizione di legge”, come è appunto l’art. 2, c. 3, L. n. 401/89 (cfr. Comm. Disc. c/o L.N.P., C.U. n. 10 del 27/07/2005).

Tal genere di orientamento è stato manifestato anche dalla Camera di Conciliazione e Arbitrato c/o il C.O.N.I. (Lodo Mazzei / F.I.G.C. del 01/06/2007) e dal T.A.R. Puglia, Sez. I, 19/04/2001 n. 1199, secondo cui “l’inutilizzabilità delle intercettazioni telefoniche non può spiegare effetti oltre gli ambiti processuali penali e, pertanto, non può impedire l’apprezzamento delle stesse in sede disciplinare”.

Tuttavia, nell’ipotesi in cui determinate intercettazioni risultino, addirittura, di dubbia utilizzabilità in seno al procedimento penale in relazione al quale siano state disposte, le medesime non possono, per ciò stesso, essere vagliate nell’ambito di un determinato procedimento sportivo (arbitrale), se non a costo di porre in essere una violazione della disciplina sottesa al trattamento dei dati personali, che richiede l’adozione di soluzioni volte a non favorire un uso esuberante dei dati personali rispetto alle finalità per cui sono stati raccolti (procedimento penale) o successivamente trattati -art. 11, c. 1, lett. d) e art. 7, c. 3, lett. b), D. Lgs n. 196/03- (Lodo CCA Meani / F.I.G.C. del 28/05/2007).

Gioverà ricordare che l’ordinamento costituzionale italiano contempla una significativa limitazione al divieto di violare la libertà e segretezza di ogni forma di comunicazione attraverso la previsione di cui all’art. 15, c. 2, in base al quale la limitazione deve avvenire, come nella specie, attraverso atto motivato dell’Autorità Giudiziaria, con le garanzie stabilite dalla legge, la cui concreta ricorrenza ha, per costante giurisprudenza dei giudici di legittimità, esonerato da dubbi di illegittimità la normativa processual-penalistica, nonché le disposizioni rivolte alla tutela dei valori dello sport.

Proprio il carattere strumentale al perseguimento di scopi costituzionalmente rilevanti consente, inoltre, di ritenere affatto decisiva l’invocazione che alcune difese, sempre in tema di riservatezza, hanno operato nei riguardi dell’art.8 della Convenzione Europea per la Salvaguardia dei Diritti dell’Uomo (1950), tenuto conto che detta norma coordina, espressamente, la tutela del valore della riservatezza con quella altrettanto essenziale della repressione dei fatti illeciti penalmente rilevanti.

La natura stessa del procedimento disciplinare, come regolato dal C.G.S., non prevede, poi, né implicitamente, né esplicitamente, la possibilità che l’organo di giustizia sportiva, nel caso in cui siano stati acquisiti atti di procedimenti di competenza dell’A.G.O., verifichi, ai fini della loro ammissibilità o utilizzabilità, il rispetto delle relative norme processuali, perché nessuna norma del C.G.S. attribuisce siffatta funzione al giudice sportivo.

Con questo non si intende giungere ad affermare che, in linea di principio, i vizi eventuali che possono inficiare l’utilizzabilità di prove penali, quali le conversazioni intercettate, siano irrilevanti: una prova rispetto alla quale sia dimostrata l’illiceità non potrebbe trovare ingresso, di certo, neppure nell’ambito di una giustizia “domestica” sportiva.

Piuttosto, va osservato come sia onere del soggetto ritenuto responsabile dell’illecito sportivo dimostrare l’eventuale illiceità o “inutilizzabilità” della prova, la quale, pertanto, in difetto, potrà essere legittimamente vagliata dal giudice sportivo.

Vero è, del resto, che le intercettazioni, di frequente, non vengono acquisite come fonte esclusiva di prova, ma come elementi idonei alla formazione del convincimento del giudice sportivo, unitamente ad altri accertamenti operati dalla Procura Federale, oltre a quelli che possano emergere nel corso dello stesso dibattimento.

Né si può sottacere, inoltre, che nella gran parte dei casi, le intercettazioni non vengono contestate, dalle parti, nell’autenticità e veridicità delle trascrizioni acquisite agli atti e nella fedeltà delle registrazioni compiute, ma unicamente confutate con riferimento all’effettivo significato e all’interpretazione attribuita alle parole, alle frasi e al senso delle espressioni utilizzate.

Ne discende, dunque, che l’ammissione delle parti a comparire personalmente, con la conseguente possibilità di chiarire le eventuali incongruenze e inesattezze che emergano dal materiale in esame, renda oltremodo legittimo l’utilizzo delle intercettazioni telefoniche in tema di illecito sportivo.