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Luciano Bianciardi: il mio mondo ideale

Quest’anno ricorrono i cinquant’anni dalla morte del grande scrittore grossetano
Luciano Bianciardi
Luciano Bianciardi

Era il mese di settembre di quindici anni fa, quando lessi da qualche parte, probabilmente sul giornale, di una bella iniziativa letteraria, di quelle che piacciono a me, che partono dal basso per portare chi vi partecipa in alto, verso l’olimpo della cultura. L’iniziativa si chiamava “Scrivi con lo scrittore” e univa una presentazione/intervista con uno scrittore affermato ad una tenzione letteraria. Ogni scrittore ospite, infatti, dopo la conversazione in una delle biblioteche della città, lanciava un incipit, che chi voleva partecipare doveva seguire per scrivere un racconto di diecimila caratteri spazi inclusi. L’appuntamento era per due settimane dopo, in un'altra biblioteca di quartiere. In quella sede i vincitori venivano proclamati e sarebbero poi stati pubblicati, al termine della stagione, in una antologia pubblicata da un editore locale, con presentazione in pompa magna nella sala Farnese del Comune.

Una cosa magnifica, insomma. Quando arrivai al primo incontro, la cosa che chiesi subito al bibliotecario di turno fu: quanto costa partecipare?

Nulla, mi rispose.
Nulla.

Da lì, mi resi conto che chi l’aveva ordita, quella serie di eventi, era davvero qualcuno che voleva fare cultura condivisa. Un intellettuale? Forse. Mi presentarono il responsabile di tutto questo: Ettore Bianciardi. Sul momento pensai a uno strano caso di omonimia, un cognome pesante da portare e condiviso con il grande Luciano, l’autore che conoscevo “solo” per il bellissimo libro “La vita agra”, un atto di accusa contro il sistema economico, commerciale e industriale dell’Italia degli anni sessanta, quella del miracolo economico. Un testo mirabile e di successo, che diventò anche un bel film di Carlo Lizzani, con un grande Ugo Tognazzi, anche se so che Bianciardi non apprezzò completamente la sceneggiatura che ne fu tratta.

Grazie a questa magnifica serie di presentazion/ interviste divenni amico di Ettore ed ebbi la possibilità di conoscere meglio l’intera opera del papà. Perché Luciano Bianciardi era proprio suo padre. Ettore poi fece da relatore a qualche mia presentazione e scrisse pure la prefazione di una mia raccolta di poesie, e mi rese, seppur per interposta persona, lo spirito di guastatore e di agitatore culturale vero che suo padre ha incarnato per tutta la sua breve vita.

Quest’anno, il 4 novembre, ricorrono i cinquant’anni dalla morte di Luciano Bianciardi

vero genio e interprete arrabbiato (e deluso) di quel fermento culturale irripetibile dell’Italia che non ci stava, che resisteva, che lottava alzando barricate, che voleva riaprire il fuoco per svegliare tutta quella mandria di pseudo intellettuali rimbambiti dalla televisione e indottrinati dai grandi editori italiani.

Uno scrittore che, nel suo lavoro e nelle sue utopie, ha sempre ricercato un mondo ideale, che, l’avrei poi scoperto conoscendolo meglio e leggendo di più, coincideva magicamente con il mio mondo ideale.

Il (mio) mondo ideale di Luciano Bianciardi.

Luciano Bianciardi: come si diventa un intellettuale

Abbiamo deciso, per ricordare il grande scrittore di Grosseto, di mettere in atto un'operazione culturale condivisa. Così ho contattato Marcello Baraghini, uno degli editori di Luciano, e gli ho chiesto il permesso di pubblicare un suo lavoro. In due puntate, di prossima pubblicazione, infatti, pubblicheremo un bellissimo testo breve, scritto a metà degli anni sessanta da Luciano Bianciardi, dal titolo “Come si diventa un intellettuale” con il geniale sottotitolo “Manuale ad uso dei giovani d’oggi, in particolare di quelli che madre natura non ha dotato di talento”.

Lo ripubblichiamo come hanno fatto Stampa Alternativa e Marcello Baraghini nel 2007, in due parti (la seconda delle quali, nel maggio del 1966, trovò ospitalità nella bella rivista milanese “ABC”, fondata da Enrico Mattei nel 1960 e chiusa da ormai quarant’anni) per mantenere intatta la struttura originaria di questo illuminante saggio scritto con la solita vena autobiografica, ironica, provocatrice che contraddistingue il lavoro culturale di Bianciardi.

chiunque, nascendo nel nostro Paese, se non lo chiudono in prigione, prima dei cinquanta anni, ha la possibilità di trasferire la sua dimora, un domani, al palazzo del Quirinale”.

Il lavoro, Bianciardi, è costruito sull’idea di salvare i giovani mediocri da un’esistenza mediocre. E leggendolo, alla fine, non solo lo si trova ancora attuale e geniale, ma ci appare finanche necessario, arguto, fine, scritto benissimo e cesellato da una penna perfetta, con tratti grotteschi e altri ironici, divertenti e realistici.

Insomma, un’opera che andava scoperta, riscoperta, pubblicata e ripubblicata. Come ha fatto Marcello Baraghini, che oggi dirige la collana Strade bianche di Stampa Alternativa e che continua il suo lavoro di agitatore culturale, di guastatore, definizione che a Bianciardi sarebbe piaciuta moltissimo.

Abbiamo fatto qualche domanda a Marcello Baraghini, che ringraziamo per la disponibilità, la gentilezza, la professionalità che lo distingue da sempre, ancor più da quando, nel 1970, iniziò la sua incredibile avventura di editore.

- Caro Marcello, pare impossibile ma quest’anno sono 50 anni trascorsi senza Luciano Bianciardi. Cosa ti manca di più di lui?

.La capacità di esprimere indignazione, criticità e denuncia di modo che possa essere capita da tutti e suscitare reazioni

- Ci puoi raccontare come lo hai conosciuto Bianciardi?

Non ho conosciuto e frequentato Luciano, ma ho sempre seguito la sue opere, articoli ed esternazioni per procurarmi linfa e motivazioni. Ho invece, in tempi recenti, frequentato il figlio Ettore, tanto da progettare assieme, in puro spirito bianciardiano, iniziative e battaglie,

- Dopo cinquant’anni, qual è secondo l’eredità culturale che ci ha lasciato Luciano? E vedi degli eredi del suo lavoro culturale?

Una eredità talmente scomoda tanto da scoraggiare i pavidi intellettuali italiani a raccoglierla, piuttosto a rimuoverla. È il dramma di questo paese, sempre più imbarbarito.

- Tu, con Stampa Alternativa e le tue incredibili avventure editoriali, hai sempre cercato di divulgare l’opera di Bianciardi. Ti senti soddisfatto di quanto hai fatto? 

Contento, ma non soddisfatto per quanto meriterebbe.

- Nonostante svariati film, anche di successo, sceneggiati e romanzi che hanno venduto parecchio, la figura di Bianciardi, oggi, è ancora troppo poco conosciuta, soprattutto dai giovani. Secondo te come mai? E cosa si potrebbe ancora fare per divulgare il messaggio?

Luciano Bianciardi fa ancora paura e quindi provoca rimozione e censura: meglio non parlarne. Insomma meglio farlo morire la seconda volta.

- Un’ultima domanda: questo breve e folgorante saggio “Come si diventa un intellettuale” lo hai pubblicato tu con Stampa Alternativa nel 2007, mettendolo in vendita a un centesimo. Come è nata l’idea?

È un'idea scaturita in sintonia con Ettore Bianciardi, il figlio grande, ma anche uno stimolo per andare oltre, tant'è che la mia nuova avventura editoriale delle Strade Bianche di Stampa Alternativa propone l'abolizione del copyright, la gratuità in rete per leggere e scaricare e che il prezzo di copertina, oltre a quello apposto e calmierato, lo faccia alla fine il lettore stesso, saltando l'intermediazione e uscendo, pertanto, dal circuito commerciale.. Luciano avrebbe approvato e applaudito.  

Incredibile, Marcello, davvero. Grazie di cuore, per tutto il tuo lavoro e il tuo impegno civile.

Ma chi era davvero Luciano Bianciardi?

Per raccontarvi la sua incredibile parabola umana e letteraria, riporto di seguito le note biografiche dello scrittore toscano, esattamente come sono comparse sulla terza di copertina della seconda puntata del saggio che vi stiamo raccontando.

Nato a Grosseto nel 1922. Università a Pisa, interrotta dalla seconda guerra mondiale in Puglia, poi laurea in filosofia. A Grosseto è responsabile della biblioteca comunale e diventa agitatore per una cultura popolare: con il bibliobus porta i libri tra operai e muratori, con il cineforum mostra film di qualità soffrendo molto le angustie della cultura di provincia e le disillusioni del dopoguerra. Nel 1954 conosce Maria Jatosti, se ne innamora e, quando viene cercato dalla nascente casa editrice Feltrinelli, inizia con lei una nuova vita a Milano, lasciando a Grosseto la moglie e due figli. Questo distacco rimane per lui una ferita mai rimarginata. A Milano il lavoro in casa editrice, la vita in città, sotto la montante illusione di "miracolo economico", lo deludono, anzi lo disgustano, e producono in lui una reazione e un rifiuto che da una parte riempiono di contenuti la sua prosa, dall'altra accelerano la sua autodistruzione.

Rifiutato, marginalizzato e in difficoltà economiche, scrive tre romanzi autobiografici: "Il lavoro culturale" (1957), "L'integrazione" (1960) e "La vita agra" (1962); due libri sul Risorgimento: "Da Quarto a Torino" (1960) e "La battaglia soda" (1964). Termina con un libro che riassume le due tematiche: "Aprire il fuoco" (1969), che costituisce la sua opera maggiore, anche se è più nota "La vita agra" da cui Carlo Lizzani trae un film di successo con Ugo Tognazzi. Collabora a riviste defilate: "Le Ore", "ABC", "Kent ", "Playmen", sulle quali trova ospitalità e l'attenzione per scatenare tutta la rabbia e la voglia di rivoluzione che ha in corpo.

Da tempo ha imboccato la via dell'alcol, che insieme alla depressione lo conducono a morte prematura nel 1971. "Appena morto arrivarono da Grosseto quattro di quelli di laggiù, delle Quattro Strade, e mi dissero che volevano Luciano per riportarselo laggiù. Sì, sì, prendetevelo, in fondo non era mai venuto via" (M. Jatosti).

A cinquant'anni dalla morte, ancora la critica non ha proposto al grande pubblico tutta la grandezza della voce forse più libera, autentica e innovatrice del Novecento italiano.

Luciano Bianciardi: una introduzione

Infine, riportiamo con piacere l’introduzione firmata da Marcello Baraghini e da Ettore Bianciardi, figlio maggiore del grande scrittore. Perché il loro era un sogno che abbiamo condiviso, e che, in ogni maniera, condividiamo anche noi, ancora oggi.

La stessa idea di cultura diffusa, di sapere condiviso, di “boicottaggio” culturale.

Per una nuova idea di lettore, finanziatore, distributore e pure editore.

I Bianciardini sono una serie di libri che si chiameranno UN CENT, e costeranno un centesimo di euro; sono una nostra idea, nata ed alimentata non solo in una discussione privata, ma dal confronto con il pubblico nelle occasioni che finora abbiamo avuto per parlare del “Il fuorigioco mi sta antipatico”, il libro di Luciano Bianciardi da poco nelle librerie.

Ci siamo chiesti, sin dalle prime ore delle vicende che ci hanno reso complici orgogliosi, come potevamo rendere un tributo non retorico è stantio a Bianciardi per quanto lui aveva scritto e fatto, e soprattutto per dare di nuovo corpo alla rabbia, all'anarchia, all'ironia ed alla ribellione che hanno animato i suoi brevi anni di vita.

Abbiamo convenuto che si trattava prima di tutto di mettere al centro il lettore, di strapparlo alle grinfie della grossa editoria, che in nome del profitto e del fatturato, dopo aver cancellato quanto di buono la letteratura del ‘900 aveva proposto, lo ha reso subordinato e passivo, deprivato delle passioni e assoggettato al consumo acritico. Siamo allora partiti con l'annullare l'ostacolo primario, costituito dal prezzo del libro, riducendolo ad una cifra irrisoria ed emblematica e aggiungendo al marchio UN CENT la parola ALMENO, che è il primo vero invito alla complicità.

Il lettore, con qualche centesimo in più, diventa finanziatore. Per un centesimo, almeno, scoprirà e riscoprirà contenuti preziosi, dimenticati, sepolti da qualche parte, come quello di questo numero zero, un numero di prova.

Il lettore diventa anche distributore e promotore: gli proporremo di spedirgli a casa, se le vuole, almeno cento copie di un titolo o di più titoli, per poterle distribuire, vendere, regalare, perché con quel prezzo di copertina i Bianciardini sono naturalmente esclusi dal circuito commerciale librario.

E allora finanziatore, promotore, distributore e, perché no, cacciatore di testi, alla nostra maniera, testi che sarebbero sicuramente piaciuti a Luciano.

Quindi, così pensiamo noi, nostro complice al cento per cento e come noi sognatore, ma sognatore ad occhi aperti, per traghettare il libro da sfinito, come lo hanno ridotto ora, a infinito, come lo renderemo noi, assieme a lui.

Marcello Baraghini, Ettore Bianciardi

E allora grazie Marcello, grazie Ettore, grazie Luciano. E grazie a Strade bianche, che ci ha reso un genio assoluto e troppo poco ricordato come Luciano Bianciardi.