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Margherita

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Margherita

 

Si era lasciata vincere dalla paura del meteo. Dopo gli accadimenti delle sere precedenti, le sembrava che le previsioni non ci azzeccassero più e che ormai bisognava dribblare tra una sassata di grandine e l’altra. Il caldo “eccezionale” poi, così l’aveva definito il tg, quell’estate le sembrava reale, più degli anni precedenti. Si sentiva così influenzabile o, forse, le veniva più facile concentrarsi su problemi di ordine cosmico che facevano sembrare le sue carenze meno brucianti.

Era l’ennesima volta che rimandava l’incontro con quelle amiche, non era certo imputabile a lei la colpa di una tale calamità. Affidarsi ai luoghi comuni, amplificati dal mainstream, le sembrava una modalità di gestione della vita politicamente corretta che le permetteva di cullarsi su delle certezze socialmente riconosciute e su qualcosa di solido. Forse perché, raggiunti i cinquanta, si rendeva conto che niente era andato come previsto, niente di niente e appoggiarsi a qualcosa di condiviso le sembrava la soluzione migliore.

Si asciugò la fronte con un fazzoletto e guardò quel sole con rimprovero. A questo si era ridotta, a parlare del più e del meno senza giocarsi mai. Poteva essere vita quella?

Il suo riflesso allo specchio non rispondeva all’idea che aveva di sé e se ne discostò immediatamente, serrando istintivamente gli occhi. Preparò la borsa del mare, desiderosa di non incontrare nessuno e al contempo bramando qualcuno. Qualcuno che la rimettesse al mondo, che le dicesse che niente era perduto e che la giustizia era possibile anche su questa terra.

Camminando sul lungomare le capitò di incontrare una vecchia amica: “Oh guarda chi si incontra!”

Si scambiarono delle frasi fatte e superficiali. Lucia la salutò con un sorriso finto stampato sulla faccia e, riprendendo la strada, i lati della bocca piano piano scesero all’ingiù e dipinsero la vera emozione che stava provando: amarezza.

Si fermò di colpo presa da un pensiero forte: “Ma che diamine sto facendo?”

Un bambino con la bicicletta per poco non la travolse.

Si sedette su una panchina accanto a un vecchietto che concedeva le sue rughe profonde ai raggi del sole. Lucia scavò nella borsa e tirò fuori un taccuino e una matita, freneticamente cominciò a scrivere un elenco puntato con dei nomi. Si concentrò per non dimenticare nessuno, chiuse gli occhi e chiese a quella brezza marina di aiutarla nella memoria. Scavò così a fondo che sentì il sangue pulsarle nelle vene con violenza, ebbe la sensazione di essersi risvegliata da un sonno mortifero: ogni nome la scuoteva intimamente.

Prese il telefono, deglutì.

“Ciao Margherita…” silenzio. “Sono io, Lucia, tua sorella”. Aveva paura che non le permettesse di proseguire e che chiudesse la conversazione prima ancora di ascoltarla.

Ma era in linea, c’era. Sentiva il suo respiro e le sue emozioni. Non si parlavano da cinque anni, da quando la mamma si era aggravata e Lucia, presa dalla carriera e dal cinismo, non aveva avuto né tempo né modo di seguirla perché, come avrebbe detto al tempo “Io ho da fare, mica come te”. 

Si era precipitata nel fare quella telefonata, come se da quel gesto dipendesse tutto e, ora che la sentiva respirare, i ricordi di una vita le si strozzarono in gola, la testa pulsava come fosse un cuore impazzito, la mamma era morta e lei aveva lasciato Margherita da sola, certa, allora, delle sue ragioni, stizzita da tutto ciò che si frapponeva fra lei e i suoi obiettivi. 

Le lacrime scendevano copiose sul suo volto, le parole però non uscivano. Fece un respiro e ci provò: “Perdonami, se puoi, Margherita”.

Aveva fatto la prima telefonata.