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Nuove tendenze nel regime di invalidità dell’atto amministrativo incostituzionale

Nota a T.A.R. Veneto, Sezione I, 22 luglio 2019, n. 890
atto amministrativo
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Abstract

Il presente contributo trae spunto da una recente sentenza del T.A.R. veneto per analizzare il nuovo orientamento giurisprudenziale che propende per la nullità dell’atto amministrativo applicativo di una norma di legge attributiva del potere sulla quale sia sopraggiunta la dichiarazione di incostituzionalità, distaccandosi dalla posizione tradizionale favorevole all'illegittimità senza distinguere tra norma attributiva e norma regolativa del potere e risalente all'Adunanza Plenaria n. 8/1963.

La pronuncia in commento, rappresentando solo l’ultima di una serie di arresti fortemente innovativi in tema del regime di invalidità dell’atto amministrativo applicativo di una norma di legge attributiva del potere e successivamente oggetto di declaratoria di incostituzionalità, offre uno spunto interessante per valutare l’ampiezza della svolta intervenuta sul punto.

 

Indice:

1. L’orientamento tradizionale

2. Il nuovo indirizzo

3. Conclusioni

 

1. L’orientamento tradizionale

A partire dalla fondamentale pronuncia dell’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 8/1963, si riprende costantemente l’affermazione che il regime di invalidità dell’atto amministrativo applicativo di una norma di legge successivamente dichiarata incostituzionale è di illegittimità/annullabilità, per lo più senza distinguere tra norma attributiva o regolativa del potere, tanto nella giurisprudenza di primo grado (ex multis, TT.AA.RR.: RM, I, 21/1990; GE, I, 10405/2010; MI, III, 7741/2010; CZ, I, 444/2011; MI, III, 2014/2011; SA, II, 570/2011; TO, I, 21/2011; SA, II, 652/2012; PA, III, 1499/2013; CT, II, 3213/2014; NA, III, 1039/2014; 1042/2014; SA, II, 239/2015; NA, I, 222/2016; PA, II, 325/2017; NA, I, 2898/2017; PA, II, 1725/2017; AN, I, 692/2018; NA, V, 1625/2018; 4844/2018; 5750/2018; 6537/2018; VE, I, 1103/2018) quanto in quella di secondo grado (ex multis, C.D.S.: VI; 855/1985; IV, 546/2004; 551/2004; VI, 2575/2005; 2724/2008; IV, 4002/2009; 2102/2010; 7735/2010; 7448/2010; VI, 9337/2010; IV, 2623/2011; I, parere 1442/2017; VI, 2519/2019; III, 2843/2019).

Se nei primi tempi ci si limita a negare l’improcedibilità del ricorso per sopravvenuto difetto di giurisdizione, essendo il potere attribuito non inesistente ma solo viziato (C.D.S.: IV, 1044/1964; AP, 20/1965; IV, 607/1966; 630/1966; V, 1784/1967; VI, 855/1985; T.A.R. RM, III, 583/1980), successivamente si nega espressamente la configurabilità della nullità (C.D.S.: VI, 1153/2001; 1093/2005; 3416/2005; 3425/2006; V, 652/2007; 2215/2013; TT.AA.RR.: RM, III, 583/1980; SA, II, 570/2011; TO, I, 21/2011; LE, I, 355/2011; FI, II, 1953/2012; MI, 2147/2012; BA, I, 689/2012; 1195/2012) o dell’inesistenza (C.D.S.: IV, 1044/1964; 630/1966; VI, 62/1993; C.G.A.R.S., 193/1977; TT.AA.RR.: PA, II, 1668/2007; RM, I, 1591/2007; PA, II, 1132/2019).

Ciò vale anche con riferimento esplicito al regime di invalidità del provvedimento attuativo di una norma attributiva del potere, per quanto riguarda sia l’affermazione della sua annullabilità (C.D.S.: IV, 5152/2015; VI, 935/2018; 1064/2018; T.A.R. RC, I, 579/2017) che la negazione della sua nullità o inefficacia (C.D.S.: VI, 1153/2001; 3237/2001; 3289/2001; 1093/2005; 4624/2014; TT.AA.RR.: VE, II, 758/2004; 2552/2004; 28/2011), salvo il limite dell’esaurimento del rapporto dovuto a giudicato, prescrizione o decadenza (ex multis, C.D.S.: VI, 1049/2011; IV, 4583/2012; 5012/2015; 1458/2016; VI, 2519/2019).

Anche per quanto riguarda il rilievo officioso del vizio, occorre che il ricorrente abbia comunque indicato tra motivi del ricorso la norma di legge successivamente dichiarata incostituzionale, sebbene non sia necessario dedurre doglianze specifiche relative alla sua eventuale incostituzionalità (ex multis, C.G.A.R.S., 492/1967 e 298/1967; C.D.S.: IV, 251/1969; VI, 99/1997; VI, 3237/2001; IV, 4002/2009; 7735/2010; 7748/2010; VI, 9337/2010; IV, 2623/2011; IV, 644/2013; V, 2215/2013; IV, 3449/2013; IV, 5152/2015; TT.AA.RR.: VE, I, 1539/2002; NA, III, 2970/2003; FI, III, 3031/2005; GE, I, 10405/2010; LE, III, 888/2011; MI, III, 7741/2010; CT, II, 1247/2011; CZ, I, 444/2011; LE, I, 355/2011; SA, II, 570/2011; MI, III, 2014/2011; TO, I, 21/2011; SA, II, 652/2012; GE, I, 1373/2013; SA, II, 239/2015; NA, V, 222/2016; I, 2898/2017; PA, III, 325/2017; II, 1725/2017; NA, V, 1625/2018; 4844/2018; 5750/2018; I, 6537/2018; VE, I, 1103/2018). È ciò anche quando l’incostituzionalità sopraggiunga in secondo grado (C.D.S.: IV, 1495/2000; VI, 4624/2014; IV, 2102/2010).

 

2. Il nuovo indirizzo

Se all’inizio del nuovo secolo la situazione sembrava dunque univocamente attestata su un quadro pressoché unitario, stante un unico precedente favorevole alla nullità (C.D.S., VI, 5058/2009), le cose cominciano a cambiare con la sentenza della Quarta sezione del Consiglio di Stato n. 993/2014. Il punto di partenza è la pronuncia della Corte costituzionale n. 293/2010, che ha dichiarato illegittimo l’articolo 43 del decreto legislativo n. 327/2011 (ora sostituito dall’articolo 42-bis), cioè la norma che attribuisce all’amministrazione il potere acquisitivo sanante dell’illecita occupazione di un’immobile, in presenza di ragioni di pubblico interesse che ne sconsigliano la restituzione al legittimo proprietario.

In tal caso, ad essere dichiara incostituzionale non è stata una qualunque norma alla quale l’attività amministrativa avrebbe dovuto prestare ossequio, ma la stessa disposizione di legge che fonda ed attribuisce il potere, in assenza della quale l’amministrazione non avrebbe mai potuto acquisire coattivamente la proprietà dell’immobile.

Ne deriva che l’eventuale provvedimento risulta emesso in totale carenza di potere, e conseguentemente viziato da nullità per difetto assoluto di attribuzione ai sensi dell’articolo 21-septies della legge n. 241/1990.

Inoltre, in tale ipotesi, alla luce anche del fatto che nell’azione di nullità l’articolo 31, comma 4, codice processo amministrativo conferisce al giudice amministrativo un potere di rilievo officioso «a presidio di un interesse generale all’eliminazione dall’ordinamento di fattispecie pubblicistiche radicalmente in contrasto con lo stesso», anche una mera memoria non notificata e in genere una proposizione irrituale di motivi aggiunti ben possono essere considerate quale mera sollecitazione all’esercizio di un potere officioso legittimamente esercitabile.

Lungi dal restare una posizione isolata, il principio espresso dalla pronuncia in esame viene ripreso da ampia giurisprudenza (TT.AA.RR.: RM, III, 2785/2012; TS, I, ord. 533/2014; PA, III, 2706/2014; II, 1843/2015; CA, II, 820/2015; LT, I, 17/2016; NA, V, 1366/2016; TO, I, 663/2016; CT, II, 535/2019; CZ, I, 625/2019), di cui la pronuncia in commento rappresenta solo l’ultima della serie. Anch’essa, richiamandosi alla pregressa giurisprudenza a partire dalla sentenza n. 993/2014, pur senza rimettere in discussione l’ovvio limite dei rapporti esauriti, ribadisce nondimeno che il vizio di invalidità che colpisce il provvedimento emanato in base ad una norma attributiva del potere e successivamente dichiarata incostituzionale è la nullità per difetto assoluto di attribuzione ai sensi dell’articolo 21-septies della legge n. 241/1990. Inoltre, sempre in funzione dell’anzidetto interesse generale alla cui tutela è posto il rilievo officioso della nullità, è irrilevante che tale vizio sia stato espressamente dedotto attraverso uno specifico motivo di ricorso, originario o per motivi aggiunti, ben potendo essere rilevato d’ufficio e/o sollecitato dalle parti nei propri scritti difensivi.

 

3. Conclusioni

Allo stato dell’arte è difficile affermare se tale indirizzo possa consolidarsi o meno. Pochi mesi dopo la pronuncia n. 993/2014 altra sezione del Consiglio di Stato ha riaffermato che, a seguito della declaratoria di incostituzionalità, «la conseguenza sarà sempre l’annullabilità e non la nullità dell’atto anche nel caso in cui la norma dichiarata costituzionalmente illegittima sia l’unica attributiva del potere» (C.D.S., VI, 4624/2014). Successivamente alla stessa pronuncia in commento una parte della giurisprudenza continuato a negare l’ipotesi della nullità richiamandosi sempre alla pronuncia della Plenaria n. 8/1963 (T.A.R. PA, II, 1982/2019). Senza entrare in merito all’alternativa tra normativa attributiva o regolativa del potere, si ribadisce che il vizio del provvedimento applicativo di una norma di legge incostituzionale rientra nella violazione di legge, atteso il carattere tassativo delle ipotesi di nullità di cui all’articolo 21-septies della legge n. 241/1990. Concretando pertanto un ordinario vizio di legittimità e non un caso di nullità, lo stesso non può nemmeno essere rilevato d’ufficio (C.G.A.R.S., 836/2019).

È certo nondimeno che il contrasto tra i due orientamenti non può più ritenersi insussistente e il nuovo indirizzo pare costituire un utile rafforzamento alle esigenze di tutela giurisdizionale del cittadino, specie di fronte ai meccanismi sananti legislativamente previsti di comportamenti ab origine illeciti dell’amministrazione.

Inoltre, può osservarsi che, rispetto alle altre ipotesi di illegittimità sopravvenuta, il nuovo indirizzo pare allinearsi anche alla configurazione attuale del regime di invalidità dell’atto amministrativo in contrasto con il diritto dell’Unione europea, dove, per l’ipotesi del provvedimento emanato sulla base di una norma di legge attributiva del potere e successivamente risultata confliggente con la superiore normativa europea, vige da tempo il regime della nullità per difetto assoluto di attribuzione (ex multis, C.D.S.: V, 35/2003; IV, 579/2005; V, 3072/2009; VI, 1983/2011; III, 4538/2014; T.A.R. SA, I, 411/2003; T.R.G.A. TN, 284/2011; T.A.R. BA, I, 102/2012; T.R.G.A. TN, 185/2012; TT.AA.RR.: PE, I, 575/2013; PZ, I, 510/2014; PG, I, 449/2015; BA, III, 1448/2018; VE, II, 1127/2019; sul punto cfr. MUSONE [1], pp. 203 ss.).

Infatti, a fronte del carattere tassativo delle cause di nullità previste dall’articolo 21-septies della legge n. 241/1990 e nelle quali non rientra la violazione del diritto comunitario, «l'ipotesi della nullità è stata ritenuta dalla costante giurisprudenza configurabile nella sola ipotesi in cui il provvedimento nazionale sia stato adottato sulla base di una norma interna attributiva del potere che sia incompatibile con il diritto comunitario» (C.D.S., III, 4538/2014 e T.A.R. VE, II, 1127/2019). Una nuova ipotesi pare dunque delinearsi in prospettiva.

M. MAGRI, “La legalità costituzionale dell’amministrazione. Ipotesi dottrinali e casistica giurisprudenziale”, Milano, 2002, cap. IV, sez. III

R. MUSONE, “Il regime di invalidità dell’atto amministrativo anticomunitario”, Napoli, 2007

R. MUSONE, “Il regime di invalidità dell’atto amministrativo incostituzionale”, Roma, 2016

R. MUSONE, “L’invalidità dell’atto applicativo di una norma incostituzionale applicativa del potere”, in “Urb. e app.”, 2016, pp. 105 ss.

N. PIGNATELLI, “Gli effetti della illegittimità costituzionale ‘nei limiti’ dei motivi di impugnazione del provvedimento amministrativo: le regole processuali del Consiglio di Stato”, in “Foro it.”, 2010, pt. III, cc. 86 ss.

N. PIGNATELLI, “L'illegittimità ‘comunitaria’ dell'atto amministrativo”, in “Giur. cost.”, 2008, pp. 3635 ss.

S. PUDDU, “Provvedimento amministrativo e legge incostituzionale”, in Riv. giur. sarda”, 2018, pt. II, n. 2, pp. 103 ss.

V.M. SESSA, “Le nullità sopravvenute del provvedimento amministrativo”, Napoli, 2018, cap. IV, §§ 7-8