Nuovi casi di malpractice medica

I doveri del medico di continuità assistenziale e specializzando
Malpractice medica
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Indice:

1. I doveri del medico di continuità assistenziale e l’inquadramento giuridico del medico specializzando

2. L’accertamento del nesso di causalità tra la condotta del medico e l’evento avverso lamentato dal paziente

3. La colpa per assunzione del medico specializzando

4. Considerazioni conclusive

 

1. I doveri del medico di continuità assistenziale e l’inquadramento giuridico del medico specializzando

Il medico di continuità assistenziale esercita la propria attività durante turni di lavoro e orari che non sono coperti dal medico di assistenza primaria, ove le responsabilità connesse a tale professione sanitaria incombono anche sul medico in formazione. Difatti, il medico specializzando è un lavoratore atipico e, pertanto, tale qualificazione giuridica gli impone di rifiutare attività che non è in grado di compiere, salvo rispondere a titolo di colpa per assunzione dell’incarico in assenza di competenze tecniche specifiche e qualificate, nonché connotate e acquisite dal percorso di studi ed esperienza lavorativa maturata negli anni.

A maggior luce di quanto rappresentato giova evidenziare che tra i compiti del medico di continuità assistenziale si delineano le disposizioni impartite dall’Accordo Collettivo Nazionale per la disciplina dei rapporti con i sanitari di medicina generale[1], essendo parte integrante del Servizio Sanitario Nazionale. Al riguardo, responsabilità professionali possono essere addebitati al medico di continuità assistenziale che rifiuta l’intervento presso il domicilio del paziente senza un valido motivo.

Una responsabilità professionale di cui non è dispensato il medico specializzando, poiché la sua formazione in struttura non lo esonera da possibili addebiti da parte del paziente, atteso che il suo apprendistato non termina soltanto con una presenza passiva affiancando il medico strutturato[2] trattandosi, in ogni caso, di un dottore laureato in medicina e chirurgia è dotato, altresì, di autonomia limitata, considerato che il medico specializzando è un contrattista in formazione per il quale viene a configurarsi un rapporto con Università e Regione presso cui insistono le aziende sanitarie, le cui strutture sono parte prevalente della rete formativa delle scuole di specializzazione[3].

Col tempo il medico di continuità assistenziale è stato coinvolto in diverse vicende giudiziarie e tra le varie pronunce appare utile soffermarsi su casi di decesso del paziente sottoposto a visita proprio presso la guardia medica, ove, più volte, i giudici di legittimità[4] analizzando il comportamento del sanitario hanno escluso, ad ogni modo, la sua diretta responsabilità professionale per omesso ricovero dell’ammalato, in quanto non può essere mosso alcun addebito nei riguardi del medico di continuità assistenziale in caso di morte dell’ammalato visitato e dimesso. Tale circostanza è motivata dall’impossibilità di dimostrare e verificare l’inadempimento del professionista sia nella forma di condotta omissiva, sia nella forma di condotta commissiva nell’ambito di una diagnosi errata.

Al riguardo, anche una misura di cautela non adottata dal medico non è fonte di responsabilità qualora l’eventus damni non si ricolleghi, sotto il profilo causale e, quindi, deterministicamente in termini di probabilità, con la condotta del medesimo medico di continuità assistenziale. Sul punto, non si può qualificare la responsabilità della guardia medica nemmeno per il decesso del paziente che non abbia osservato le prescrizioni del sanitario, atteso che la complicanza clinica deve essere ascritta alla volontà dell’ammalato per non aver assunto le medicine prescritte.

In ragione delle osservazioni che precedono appare utile rilevare che l’articolo 7 della legge 8 marzo 2017, n. 24 – meglio nota come riforma Gelli-Bianco – ha delineato e disciplinato un doppio binario della responsabilità civile: viene operata una distinzione, differenziando la responsabilità contrattuale (ex articolo 1218 Codice Civile) a carico dei medici liberi professionisti e delle strutture ospedaliere pubbliche e private[5], dalla responsabilità extracontrattuale (ex articolo 2043 Codice Civile) per l’esercente la professione sanitaria, anche nell’ambito del rapporto convenzionale con il servizio sanitario nazionale, salvo che non abbia concluso un’obbligazione contrattuale con l’ammalato. 

Tale asserzione finale risalta l’importanza del consenso-informato tra medico e paziente, oltre alla rilevanza delle dichiarazioni in esso contenute, perché determinerebbe la conclusione di un’obbligazione contrattuale con l’ammalato e, quindi, l’esercente la professione sanitaria deve prestare attenzione nella compilazione di tale documento. Il tutto però deve essere ricondotto, sul piano causale, nell’ambito dell’accertamento di responsabilità alla condotta commissiva oppure omissiva del sanitario. In mancanza di tale collegamento nessun addebito può essere mosso nei confronti del medico in caso di esiti peggiorativi delle condizioni di salute dell’ammalato.

 

2. L’accertamento del nesso di causalità tra la condotta del medico e l’evento avverso lamentato dal paziente

La condotta dell’esercente la professione sanitaria e il decesso o l’aggravamento delle condizioni di salute del paziente devono essere strettamente connesse sul piano causale, in quanto la determinazione del fatto deve essere ricondotta in maniera rigorosa all’attività medica espletata senza interruzioni provocate da eventi esterni nella concatenazione degli accadimenti.

Nei giudizi di responsabilità, l’accertamento del nesso di causa resta ineludibile dall’indagine unica volta a conseguire più la certezza della legge scientifica nel processo penale basato sulla teoria della prova «oltre ogni ragionevole dubbio», anziché probabilistica, cosiddetta “more likely that not”, ovvero “più probabile che non” propria del processo civile.

Secondo tale impostazione, la non conoscenza della patologia e delle relative cure da parte degli esercenti le professioni sanitarie non può essere causa di imputazione dell’esito peggiorativo dello stato di salute dell’ammalato o del suo decesso, atteso che i predetti elementi in diritto costituiscono: fatto interruttivo del nesso causale e, quindi, non v’è responsabilità del medico.

L’accertamento del nesso causale - noto anche come nesso eziologico o rapporto di causalità - rappresenta l’elemento che, ovviamente, non può mancare nei giudizi di responsabilità. Al riguardo appare utile rilevare che le regole di accertamento del nesso di causa variano in ambito civile e penale[6].

Ad ogni buon conto, secondo una parte della dottrina, appare più corretto l’utilizzo della parola teoria piuttosto che regola di accertamento del nesso di causa, poiché esistono teorie e non regole di accertamento sul piano causale.

Difatti, gli articoli 40 e 41 Codice Penale hanno visto, a lungo, dottrina e giurisprudenza interrogarsi sulle condizioni che consentano di ritenere, se un certo evento si sia verificato in presenza di una specifica condotta, con l’inevitabile proliferazione di contrapposte teorie. Sul punto, si è escluso, con riferimento all’articolo 27 Costituzione, la responsabilità penale per fatto altrui rilanciando la responsabilità per fatto proprio che richiede, in primo luogo, il nesso di causalità tra la condotta e l’evento.

Il primo orientamento sorto in dottrina, noto come la teoria della condicio sine qua non[7], ha avuto l’indubbio pregio di avere posto in primo piano l’importanza del giudizio controfattuale, ma pecca per eccesso, in quanto l’equivalenza causale alla base della teoria implica una esasperazione della stessa (cosiddetto regresso all’infinito) per giungere, talvolta, a soluzioni paradossali.

Tra i modelli di spiegazione causale potenzialmente alternativi costruiti nel tempo si segnala la teoria della causalità adeguata enunciata per la prima volta dal tedesco Von Kries alla fine del secolo scorso, per cui causa dell’evento è quella condotta idonea secondo l’id quod plerumque accidit[8].

Nell’ambito delle concezioni causali minori ha avuto larga diffusione la teoria della causalità umana sostenuta da Antolisei, secondo la quale la causalità a cui partecipa l’uomo risente della sua coscienza e volontà nelle relazioni che si stabiliscono fra lui e il mondo esteriore[9].

Ciò posto, la più recente dottrina si è orientata in maniera diversa, molto pragmatica, esprimendo fiducia verso la scienza attraverso la ricerca dell’esistenza del nesso di causalità in base alle leggi scientifiche. Ragion per cui, una data condotta umana può essere configurata come condizione necessaria di un certo evento solo se essa rientra nel novero di quegli antecedenti che, secondo un modello condiviso dotato di validità scientifica (noto come legge generale di copertura), porta all’evento del tipo di quello verificatosi[10]. Seguendo questo indirizzo, i giudici hanno inizialmente ricondotto la causa dell’evento secondo criteri di certezza assoluta.

La prima pronuncia che attesta l’evoluzione giurisprudenziale dal criterio della certezza a quello della probabilità[11], riguardante un caso di malpractice medica, risale all’anno 1983. Tuttavia, questo indirizzo, sorretto dalla quarta sezione penale della Suprema Corte di Cassazione era finito, contrariamente rispetto ai precedenti orientamenti, con lo scivolare nel campo della mera possibilità[12].

Di conseguenza, l’emergere di un secondo orientamento maggiormente garantista[13] in contrasto con il precedente è stato risolto, successivamente, dalle Sezioni Unite nella celebre sentenza Franzese[14]. Con tale pronuncia i giudici di legittimità hanno affermato che il nesso di causalità non può ritenersi sussistente sulla base del solo coefficiente di probabilità statistica, ma deve essere verificato alla stregua di un giudizio di alta probabilità logica. Sicché esso è configurabile solo se si accerti che, ipotizzandosi come avvenuta l’azione che sarebbe stata doverosa ed esclusa l’interferenza di decorsi causali alternativi con elevato grado di credibilità razionale, l’evento non avrebbe avuto luogo, ovvero avrebbe avuto luogo in epoca significativamente posteriore o con minore intensità lesiva.

La sentenza Franzese finisce, in tal modo, per rifiutare in ambito penale una nozione debole di causalità. Tuttavia, rispetto alla disciplina penale, in ambito civile non si rinviene un analogo percorso evolutivo in tema di nesso di causalità.

Come è noto, il codice civile è privo di una definizione di causalità, nonché di coordinate precise sui criteri con cui procedere all’accertamento del nesso eziologico. A tal proposito, si è prontamente considerato che la causalità penale richiede la dimostrazione – a carico dell’accusa – circa l’addebito dell’evento alla condotta posta in essere dal soggetto agente secondo criteri prossimi alla certezza (cosiddetta sentenza Franzese), mentre in ambito civile è possibile un temperamento (principio della cosiddetta regolarità causale). Tali norme vanno, dunque, adeguate alla specificità della responsabilità civile, rispetto a quella penale, perché muta la regola probatoria.

Ne consegue che appare possibile l’utilizzo di due teorie causali diverse tra loro: una per il civile e una per il penale. A conferma di tale assunto giova rilevare che la Corte costituzionale ha precisato che la responsabilità civile è diversa dalla responsabilità penale, poiché nel primo caso si pone al centro della scena il danneggiato, mentre nel secondo l’imputato.

In tale prospettiva, se nel processo civile vige la teoria della preponderanza dell’evidenza o del “più probabile che nonˮ nel processo penale prevale, al contrario, il principio della prova “oltre ogni ragionevole dubbioˮ.

 

3. La colpa per assunzione del medico specializzando

La responsabilità del medico specializzando, a seguito dell’accertamento del nesso di causalità tra condotta ed eventus damni, si focalizza proprio sulle funzioni del professionista medesimo. A tal proposito giova rilevare che, pur trattandosi di un medico in formazione potendo comunque svolgere attività specifiche è da considerarsi, in ogni caso, un soggetto responsabile.

A ben vedere, il medico specializzando è soltanto un mero esecutore del medico strutturato, ma è anche vero che risulta firmatario di un contratto di formazione specialistica nell’ambito del rapporto di lavoro con Università e Regione presso cui insistono le aziende sanitarie, le cui strutture sono parte prevalente della rete formativa delle scuole di specializzazione.

Ragion per cui, pur risultando privo del potere decisionale relativamente a scelte terapeutiche per i pazienti, ad ogni modo, il medico in formazione è pur sempre un dottore laureato in medicina e chirurgia e, quindi, dotato di un’autonomia, nonostante limitata alla propria formazione specialistica in corso e non ancora conclusa.

Sul punto appare utile richiamare un precedente orientamento dei giudici della quarta sezione penale della Suprema Corte di Cassazione[15], quest’ultimo risalente all’anno 2009, pronuncia successivamente confermata nell’anno 2012. A tal proposito, i giudici di legittimità hanno precisato l’autonomia vincolata, a cui vanno ricondotte le dirette conseguenze della condotta posta in essere dal medico specializzando, ove sotto la lente di ingrandimento del medico-legale e del giurista si evidenziano le attività compiute dal giovane medico, in quanto vi può essere il rifiuto ad espletare compiti che il medesimo medico in formazione non è o non ritiene in grado di eseguire.

Si tratta di un’ammissione che deve essere fatta sia per onestà intellettuale, sia perché ogni attività del medico deve essere compiuta con la diligenza professionale (ex articolo 1176, co. 2, Codice Civile) richiesta dalla prestazione sanitaria per curare l’ammalato.

In ragione di tanto non v’è chi non veda anche la corresponsabilità del medico strutturato che risponde dei fatti commessi dai propri ausiliari e collaboratori (ex articolo 1228 Codice Civile) unitamente alla responsabilità professionale del medico specializzando stesso che ha arrecato un danno ingiusto al paziente (ex articolo 2043 Codice Civile), così come previsto dalla riforma Gelli-Bianco (legge 24/2017).

Tout court, ciò che emerge dalla suddetta condotta errata che è stata posta in essere dal medico specializzando è la colpa per assunzione. Tale elemento di diritto che qualifica il comportamento del soggetto agente (medico specializzando) evidenzia, altresì, l’evento dannoso (eventus damni) cagionato all’ammalato per aver assunto un compito che non era in grado di eseguire secondo i canoni del grado di diligenza professionale (ex articolo 1176, co. 2, Codice Civile).

Tale regola nell’adempimento della prestazione professionale deve essere rispettosa dei modelli indicati secondo il costante orientamento espresso dalle Corti[16].

Ne consegue che, secondo tale prospettazione, lo specializzando che – in mancanza delle necessarie competenze tecniche – esegue una prestazione sanitaria errata risponderebbe a titolo di colpa per assunzione, con tutte le conseguenze giuridiche derivanti dall’eventuale illecito civile e penale commesso che dovrà essere dimostrato dal paziente o dai suoi aventi diritto nelle aule di giustizia.

 

4. Considerazioni conclusive

La responsabilità dell’esercente la professione sanitaria è ancora in evoluzione nell’ordinamento giuridico italiano e nell’ambito delle attività del medico di continuità assistenziale e del medico specializzano si assiste ad una varietà di fattispecie, ove, l’urgenza dell’intervento è da apprezzarsi, in ambito sanitario, con riferimento al pregiudizio, anche solo potenziale e non necessariamente irreparabile, dal quale possa derivare la mancata o tardiva assistenza, sollecitata e non prestata, per effetto della scelta operata dal medico, poiché vi è la limitazione del diritto costituzionalmente presidiato finalizzata alla tutela del bene salute (ex articolo 32 Costituzione).

Eppure, la giurisprudenza ha altresì riconosciuto in capo al medico di guardia il compito di valutare la necessità o meno dell’intervento richiesto, mediante l’apprezzamento tecnico della sintomatologia che gli viene riferita dall’utente. Tale valutazione deve però essere eseguita con particolare prudenza, atteso che, in caso di contenzioso, verrà analizzata tale scelta del sanitario dovendo valutare la decisione del medico di clinica assistenziale di procedere o meno alla visita, ovvero, all’allertamento del servizio di urgenza ed emergenza territoriale, qualora quest’ultima sia stata coerente o meno con l’esito della valutazione.

Ragion per cui, proprio sui numerosi percorsi dottrinali e orientamenti giurisprudenziali che hanno reso l’area della responsabilità da malpractice medica, probabilmente, il sottosistema più ampio nell’ambito dell’illecito civile e penale si potrebbe considerare un incredibile paradosso, in quanto il progresso della medicina non ha determinato una diminuzione del contenzioso.

Si potrebbe ulteriormente valutare con metodo proprio del realismo giuridico lo stato attuale dell’evoluzione della responsabilità sanitaria con un’indagine socio-statistica sull’incidenza dell’assicurazione professionale, caldeggiata sino ai limiti della obbligatorietà deontologica dai nuovi codici professionali rispetto alla maggiore affermazione di una responsabilità da parte dei giudici propensi ad una giustizia distributiva a poco prezzo, ovverosia il costo dei premi assicurativi, a favore dei danneggiati.

Il tutto in una logica di allocazione ottimale dei danni professionali con gli strumenti dell’analisi economica del diritto, ma certamente non sarebbe questa la sede per farlo, atteso che l’interesse dell’interprete si posa sull’allargamento dei comportamenti da inquadrare nell’inadempimento professionale. Un dato che ha assunto un’importanza particolare nell’ultimo periodo, soprattutto per quanto concerne la responsabilità da malpractice medica con l’aumento esponenziale dell’illecito in maniera non omogenea come per le altre attività autonome e professioni intellettuale.

In primo luogo non può negarsi che l’attività del medico ha ad oggetto un bene primario, in quanto la tutela della salute non è unicamente protetto dalla Costituzione italiano, in quanto anche nell’opinione collettiva viene percepita con una forte sensibilità e, pertanto, si è dato un’importanza sociale tale da rendere intollerabile qualsiasi errore compiuto dall’esercente la professione sanitaria.

In secondo luogo deve porsi la dovuta attenzione sulla circostanza che nell’ambito dell’attività medica sono definitivamente venute meno le zone d’ombra alimentate nel passato dalla scarsa consapevolezza del cittadino disinformato.

In tale prospettiva, la pubblicità - non solo intesa quale fonte conoscitiva, ma definita anche quale pubblicità giuridica degli atti - pone in evidenza l’operato del medico.

 

[1] In dottrina: E. Grassini, Visita domiciliare e responsabilità del medico di continuità assistenziale, in website Sindacato Nazionale Autonomo Medici Italiani (SNAMI).

[2] I. Marconi, Responsabilità medica: anche lo specializzando risponde per le attività compiute, per la Cassazione (n. 26311/2019) è dotato di autonomia limitata che gli impone di rifiutare attività che non è in grado di compiere, salvo risponderne a titolo di colpa per assunzione, in Altalex, Quotidiano scientifico di informazione giuridica, testata registrata presso il Tribunale di Pistoia n. 548/2001 del 28/11/2001 – ISSN: 1720-7886,  pubblicato in data 27 novembre 2019.

[3] V. Cass. civ., sez. III, sent. n. 26311/2019, depositata il 17 ottobre 2019.

[4] V. Cass. civ., sez. III, sent. n. 7529/2012, depositata il 15 maggio 2012.

[5] Al riguardo il legislatore ha inteso preservare il contratto atipico, cosiddetto rapporto di spedalità paziente-ospedale.

[6] Sul problema giuridico della causalità si vedano le fondamentali ricostruzioni di F. Antolisei, Il rapporto di causalità nel diritto penale, Giappichelli Editore, Torino, 1934, rist. 1960; F. Stella, Leggi scientifiche e spiegazione causale nel diritto penale, seconda edizione, Giuffrè Editore, Milano, 2000; M. Romano, Commentario sistematico del codice penale, Milano, 1987; G. Fiandaca, Causalità (rapporto di), voce Dig. pen., III, 1988, p. 455; M. Maiwald, Causalità e diritto penale, Milano, 1999; più in generale: K. Popper, Logica della scoperta scientifica, Torino, 1970; C. G. Hempel, Filosofia delle scienze naturali, Bologna 1968; P. Trimarchi, Causalità e danno, Giuffrè Editore, Milano, 1966, p. 35.

[7] Teoria enunciata nel secolo scorso dal criminalista tedesco von Buri, v. Zur Lehre von Buri, Zur Lehre von der Teilnahme an dem Verbrechen und der Begunstigung, 1860.

[8] F. Grispigni, Il nesso causale nel diritto penale, in Riv. it. dir. pen., 1935, p. 18 ss.

[9] G. Fiandaca, Diritto penale, Parte generale, Zannichelli Editore, Bologna, 1995, p. 212.

[10] F. Mantovani, Diritto penale, Parte generale, Cedam, Padova, 1997, p. 173.

[11] Cass., 7 gennaio 1983 n. 4320, in Foro it., 1986, II, c. 351.

[12] Cass., 12 luglio 1991, in Foro. it., 1992, II, c. 363.

[13] Cass., 28 settembre 2000 n. 1688, inedita. Cass., 28 novembre 2000 n. 2123, inedita.

[14] Cass. Pen., S.U., 10 luglio 2002 n. 30328, in Danno e resp., 2003, p. 195, con nota di S. Cacace; in Foro it. 2002, II, c. 601, con nota di O. Di Giovine. Tra gli innumerevoli e recenti contributi, v. G. Iadecola, Colpa medica e causalità omissiva: nuovi criteri di accertamento, in Dir. pen. e processo, 2003, p. 597; A Montagni, La responsabilità penale per omissione. Il nesso causale, Padova, 2002; F. Stella, Etica e razionalità del processo penale nella recente sentenza sulla causalità delle sezioni unite della Suprema Corte di Cassazione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2002, p. 767; in generale, sui rapporti tra ragionamento sul nesso di causalità e regole del giudizio, vedi G. Canzio, Prova scientifica, ragionamento probatorio e libero convincimento del giudice nel processo penale, in Dir. pen. e processo, 2003, p. 1193. 

[15] V. Cass. pen., sez. IV, sent. n. 6215/2009, depositata il 10 dicembre 2009; Cass. pen., sez. IV, sent. n. 6981/2012, depositata il 22 febbraio 2012.

[16] Suprema Corte di Cassazione del 14 novembre 2002, n. 16023.

- F. Antolisei, Il rapporto di causalità nel diritto penale, Giappichelli Editore, Torino, 1934;

- G. Canzio, Prova scientifica, ragionamento probatorio e libero convincimento del giudice nel processo penale, in Dir. pen. e processo, 2003, p. 1193;

- E. Grassini, Visita domiciliare e responsabilità del medico di continuità assistenziale, in website Sindacato Nazionale Autonomo Medici Italiani (SNAMI);

- F. Grispigni, Il nesso causale nel diritto penale, in Riv. it. dir. pen., 1935, p. 18 ss;

- G. Fiandaca, Diritto penale, Parte generale, Zannichelli Editore, Bologna, 1995;

- G. Iadecola, Colpa medica e causalità omissiva: nuovi criteri di accertamento, in Dir. pen. e processo, 2003, p. 597;

- F. Mantovani, Diritto penale, Parte generale, Cedam, Padova, 1997;

- I. Marconi, Responsabilità medica: anche lo specializzando risponde per le attività compiute, per la Cassazione (n. 26311/2019) è dotato di autonomia limitata che gli impone di rifiutare attività che non è in grado di compiere, salvo risponderne a titolo di colpa per assunzione, in Altalex, Quotidiano scientifico di informazione giuridica, testata registrata presso il Tribunale di Pistoia n. 548/2001 del 28/11/2001 – ISSN: 1720-7886,  pubblicato in data 27 novembre 2019;

- A Montagni, La responsabilità penale per omissione. Il nesso causale, Padova, 2002;

- F. Stella, Etica e razionalità del processo penale nella recente sentenza sulla causalità delle sezioni unite della Suprema Corte di Cassazione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2002, p. 767.