La riforma Gelli-Bianco e le vie di fuga dalla responsabilità extracontrattuale
Le considerazioni a margine della riforma Gelli-Bianco portano alla naturale valutazione del tentativo eseguito dal legislatore nel volersi appropriare del ruolo da protagonista assunto negli anni dalla giurisprudenza [Roberto Francesco Iannone, La responsabilità medica dopo la riforma Gelli-Bianco – Legge 24/2017, Edizioni Ad Maiora, Roma, 2017; G. Ponzanelli, La responsabilità medica: dal primato della giurisprudenza alla disciplina legislativa, in Danno e responsabilità, 2016, 8-9/2016, Ipsoa, 816].
L’articolo 7 della legge 8 marzo 2017, numero 24 salva il contratto atipico, ovvero il cosiddetto rapporto di spedalità tra paziente e struttura sanitaria, anzi è il caso di affermare che la legge di riforma va a tipizzare, stando alla lettura dell'articolo 7, il rapporto contrattuale paziente-struttura. D’altronde, l’articolo 1372 del codice civile prevede che il contratto produce i suoi effetti solo tra le parti contraenti (paziente-struttura), ma non produce alcun effetto rispetto ai terzi se non nei casi previsti dalla legge [G. Marseglia, L. Viola, La responsabilità penale e civile del medico, Halley Editrice, Matelica, 2007; D. Chindemi, Responsabilità del medico e della struttura pubblica e privata, Altalex Editore, Pistoia, 2018].
Sulla responsabilità del professionista sanitario, invece, c’è chi ha intravisto, in dottrina, la possibile diminuzione dei giudizi nell’immediato futuro, ma non è così, perché il mirino delle azioni giudiziarie si è spostato nei confronti della struttura ospedaliera lasciando maggior respiro al professionista, il quale è esposto maggiormente al “fuoco incrociato” delle Compagnie assicurative e dei medesimi Enti ospedalieri che saranno incentivati, a loro volta, ad esperire l'azione di rivalsa.
Ad ogni buon conto con la tipizzazione della responsabilità extracontrattuale in capo al medico non può ritenersi abbandonato del tutto lo schema normativo dell’articolo 1218 del codice civile. A ben guardare, l’articolo 7 della legge 24/2017 afferma l’applicazione dell’articolo 2043 del codice civile, salvo che il medico abbia agito nell’adempimento di un’obbligazione contrattuale assunta con il paziente.
Secondo tale impostazione sono diverse le vie di fuga dalla responsabilità extracontrattuale, laddove appare fin troppo palese l'impossibilità di sanzionare comportamenti non migliorativi delle condizioni di salute dell'ammalato.
La prima via di fuga potrebbe essere rappresentata dalla firma del modulo del consenso informato che qualificherebbe il rapporto contrattuale medico-paziente, sia pur nei limiti dell’obbligazione assunta nella predetta sottoscrizione.
Al riguardo, tra i vari dubbi e perplessità dottrinali, molti studiosi hanno intravisto l’impossibilità di poter adottare questa affascinante teoria, poiché il consenso informato è una dichiarazione di scienza, piuttosto che una dichiarazione di volontà tra le parti, quale caratteristica propria del negozio giuridico.
Orbene, se volessimo qualificare il consenso informato come dichiarazione di scienza, le asserzioni in esso contenute rappresenterebbero elementi intangibili e suscettibili a mere rettifiche potendo giustificare, così, l’emendabilità delle dichiarazioni rese.
A ben vedere, la sottoscrizione del consenso informato non ammette successive modificazioni sulle dichiarazioni esposte e accettate dalle parti, ovvero medico e paziente. Per tale motivo non appare dirimente la più ampia qualificazione di dichiarazione di volontà del consenso informato, propria del negozio giuridico.
Ciò posto, una seconda via di fuga dalla responsabilità extracontrattuale potrebbe essere rappresentata dal contratto per persona da nominare.
Difatti, come illustrato dal Prof. Luigi Viola [Luigi Viola, La nuova responsabilità sanitaria (legge 8 marzo 2017, numero 24, disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie, in G.U. 17 marzo 2017, numero 64), Centro Studi Diritto Avanzato Edizioni, Milano, 2017], l’articolo 1401 del codice civile potrebbe conferire alle strutture sanitarie, nel momento della conclusione del contratto con il paziente (cosiddetto rapporto di spedalità), la facoltà di riservarsi di nominare successivamente la persona che dovrà assumere gli obblighi nascenti dal medesimo negozio giuridico sottoscritto dalle parti.
Sul punto giova rilevare che il contratto per persona da nominare si distingue dalla rappresentanza indiretta proprio per la sua dichiarazione unilaterale e la scelta stessa del nominato successiva alla stipula del contratto, laddove nella rappresentanza il potere deve preesistere.
In tale prospettiva, l’articolo 1401 del codice civile potrebbe trovare la sua applicazione in ambito sanitario, soltanto se si pongono in collegamento i rispettivi negozi giuridici sottoscritti dal medico con la struttura e da quest’ultima con il paziente. Difatti, il rapporto di spedalità tra Ente ospedaliero e paziente può trovare la sua connessione nell’ambito del rapporto contrattuale medico-struttura sanitaria attuando, così, il contratto per persona da nominare.
Ciò posto, la legge 24/2017 è stata accolta con molta diffidenza da una parte della dottrina, ove l'inquietudine del civilista sposta l'argomentazione giuridica alla continua ricerca di strade ancora poco battute, al fine di rievocare la famosa teoria giurisprudenziale, giammai sopita, del contatto sociale [Cass. 22 gennaio 1999 n. 589], di matrice tedesca. Probabilmente il pensiero del giurista, al riguardo, dovrebbe tenere ben distinti i principi ispiratori del BGB rispetto al nostro ordinamento giuridico, laddove la riforma Gelli-Bianco ha tipizzato ciò che era considerato in passato un contratto atipico, ovvero il rapporto di spedalità paziente-struttura sanitaria, mentre sull'altro fronte delle azioni giudiziarie ha inteso qualificare la responsabilità del medico, nell'ambito della sua condotta posta in essere all'interno dell'Ente ospedaliero, secondo i rigidi canoni normativi della responsabilità aquiliana.
D’altronde, i profili propulsivi di evoluzione hanno visto, in ambito civilistico, sia l’inasprimento dello standard di diligenza richiesto, sia l’alleggerimento dei parametri di riscontro del nesso causale sempre più orientato a radicarsi verso la teoria del “more likely than not” (più probabile che non).
Se si allarga lo sguardo verso le altre professioni intellettuali si scopre come il modello classico della responsabilità civile professionale sia stato oramai abbondantemente superato in ogni sottosettore e si assiste ad un modello ineluttabile di inasprimento, nonché di crescita della responsabilità civile delle professioni in tutti gli ambiti secondo le direttive proprie della responsabilità medica.
Dunque, se si volesse descrivere il fenomeno considerato e la direzione evolutiva degli elementi costitutivi, in base alle complessive strutture invarianti, fuori dalle differenziazioni tipologiche di attività, occorrerebbe cogliere l'evoluzione di tre componenti: le norme deontologiche, la qualificazione della natura della prestazione professionale e il riparto dell’onere della prova.
In conclusione, il messaggio finale lanciato dal legislatore agli avvocati, con la riforma Gelli-Bianco, si può riassumere nel modo seguente:
“Dal punto di vista civilistico è difficile, se non addirittura impossibile, dimostrare la responsabilità aquiliana per i fatti commessi dal sanitario all’interno della struttura ospedaliera e, quindi, astenetevi dal citare in giudizio il medico!”