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PEC e CEC-PAC: proviamo a fare chiarezza

1. La posta elettronica e il requisito legale della forma scritta

Fermo restando il suo utilizzo eventuale in altri ambiti (civile, penale, etc.) e nonostante qualche sorprendente pronuncia giurisprudenziale avvenuta negli anni passati, possiamo ora affermare senza timore di smentita che nell’azione amministrativa la email semplice (o "email standard") non soddisfa il requisito della forma scritta.

La normativa italiana, infatti, equipara il messaggio di una email semplice a un documento non sottoscritto, la cui efficacia probatoria è disciplinata dall’art. 2712 del codice civile, coordinato con l’art. 261 del codice di procedura civile. Di conseguenza, il messaggio è equiparabile a un testo, non a un documento, con l’aggravante che può essere disconosciuto dall’autore, con conseguenze facilmente immaginabili in ambito procedimentale e processuale.

Infatti, l’art. 20, comma 1bis, del Codice dell’amministrazione digitale (D.Lgs. 82/2005) come novellato prevede che "l’idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta è liberamente valutabile in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità ed immodificabilità".

Ora, sicurezza, integrità e immodificabilità sono concetti che mal si attagliano alle caratteristiche della email semplice, che per sua natura può essere facilmente contraffatta, anche da mani non particolarmente abili .

Quanto abbiamo appena detto è stato rafforzato ancor di più dall’evoluzione della normativa, che riconosce al solo invio del messaggio di posta elettronica certificata la possibilità, anche se giuridicamente impropria, di costituire sottoscrizione elettronica (art. 4, comma 4 del DPCM 6 maggio 2009, già commentato su questa stessa rivista: https://www.filodiritto.com/index.php?azione=visualizza&iddoc=1796).

Infatti, se è vero che chiunque ha diritto di scrivere a un’amministrazione pubblica e di ricevere una risposta, è altrettanto vero che chi risponde ha il dovere istituzionale di conoscere l’identità del corrispondente, soprattutto se si tratta di documenti amministrativi o di informazioni giuridicamente rilevanti.

Per ovviare a quella che comunemente viene definita l’impossibilità di attribuzione della "paternità" di un messaggio di posta elettronica (più correttamente da definirsi "provenienza" in base, appunto, al principio di provenienza, che permette di identificare in modo incontrovertibile l’autore di un documento), con il DPR 11 febbraio 2005, n. 68 è stata introdotta in Italia la posta elettronica certificata (PEC).

Accanto alla PEC, con DPCM 6 maggio 2009 sono state approvate le Disposizioni in materia di rilascio e di uso della casella di posta elettronica certificata assegnata ai cittadini, decreto grazie al quale è stata avviata la procedura di affido del servizio di "comunicazione elettronica certificata tra pubblica amministrazione e cittadino", ormai noto come CECPAC. Il bando, mediante procedura ristretta e dopo qualche vicissitudine giudiziaria, è stato vinto con l’affidamento in concessione al RTI costituito da Poste Italiane S.p.A (mandataria), Postecom S.p.A. e Telecom Italia S.p.A (mandanti) per un costo quadriennale di 25 milioni di euro, con un’opzione per un altro quadriennio che fa acquisire all’intera operazione un costo complessivo di 50 milioni di euro, che descriveremo a breve.

2. Differenze tra PEC e CECPAC

Tanto la PEC quanto la CECPAC garantiscono servizi fondamentali per l’amministrazione digitale: non solo la provenienza certa, ma anche data e ora di trasmissione opponibili a terzi, assieme a una incontrovertibile prova di avvenuta trasmissione e avvenuta ricezione del messaggio. Tuttavia si tratta di sistemi simili ma non uguali, tanto che vale la pena commentare le principali differenze, che poi impatteranno in modo considerevole sull’organizzazione del lavoro delle amministrazioni pubbliche e sulle garanzie per i cittadini.

La differenza sostanziale è che mentre la casella di PEC può ricevere e inviare messaggi a qualsiasi indirizzo di posta elettronica (semplice o PEC), al momento la CECPAC può comunicare solo con una analoga casella di CECPAC. Dunque, la CECPAC è un sottoinsieme di PEC, con servizi più limitati.

In un altro articolo su questa rivista affronteremo il problema della casella di PEC chiusa o aperta. Per il momento appare sufficiente ricordare che mentre la comunicazione da PEC a PEC vale come raccomandata con ricevuta di ritorno, la spedizione di una PEC a una email semplice vale come raccomandata con ricevuta di spedizione a cura del gestore, ma priva di ricevuta di ritorno, in quanto ricevuta da una casella non certificata.

Infine, il costo di una casella di PEC varia da pochi euro fino a 25 euro, mentre la CECPAC sembra gratuita. Sembra, ma non lo è, vediamo il perché.

3. Davvero la CECPAC è gratis?

Una delle ragioni di vanto del Ministero per la pubblica amministrazione e l’innovazione è di aver concesso a tutti i cittadini la possibilità di ottenere gratuitamente la CECPAC.

Si tratta, in realtà, di un’informazione distorta, sconfessabile semplicemente distinguendo tra spesa e costo.

Infatti, al cittadino che la richiede viene rilasciata gratuitamente, ma l’impianto messo in piedi dal Ministero è costato a tutti i cittadini, quindi al sistema Italia compresi i cittadini, come me, che allo stato dell’arte non la utilizzeranno, 50 milioni di euro. Possiamo vantarci sulla supposta non onerosità come continuamente fa il Ministero?

Invece di spendere 50 milioni di euro per la CECPAC, non sarebbe stato più semplice e democratico permettere la detassazione o di far scaricare dalla dichiarazione dei redditi i costi di attivazione di una casella di PEC indipendentemente dal gestore? In questo modo la crescita economica avrebbe registrato un impulso per quella ventina di società (SpA e srl) iscritte all’elenco pubblico dei gestori.

Non solo sarebbe stato più democratico e più economico, ma anche più razionale e in linea con l’art. 14, comma 1, del DPR 68/2005 che prevede espressamente la possibilità per chiunque di poter scegliere il gestore. Ora la libertà di scelta è limitata ad avere o non avere la CECPAC, il che sembra, in tutta franchezza, una scelta residuale.

4. La proliferazione di caselle di PEC, CECPAC, PECPCT e PECU

Ma il vero problema della CECPAC non è il costo, peraltro molto oneroso per le casse statali in una congiuntura così infelice per l’economia, ma la sua limitatissima operatività.

Abbiamo già detto che una casella di CECPAC può comunicare soltanto con un’analoga casella. Sembra incredibile ma, testato sul campo anche da chi scrive, un messaggio di CECPAC viene attualmente respinto da una normale casella di PEC non accreditata.

E non va meglio con la confusione da ipertrofia di PEC. Infatti, considerato che la CECPAC consente di comunicare esclusivamente con le amministrazioni pubbliche, per comunicare tra privati i detentori dovranno farsi ampliare il servizio dal concessionario, oppure dotarsi di una casella di PEC, diciamo così, “standard” presso un altro gestore. In questo caso, avranno un’altra casella da gestire, con relative login e password e tutto ciò che ne consegue.

Sarà ad esempio il caso degli avvocati, i quali dovranno avere come professionisti una casella di PEC (legge 2/2009, art. 16, comma 7), se lo desiderano una di CECPAC come privati cittadini e una (per ora) per il cosiddetto “processo civile telematico” (PECPCT?).

Su quest’ultimo ambito va ricordato che il legislatore del 2005 aveva inizialmente escluso l’uso della PEC per l’attività processuale in genere (DPR 68/2005, art. 16, comma 4): «Le disposizioni di cui al presente regolamento non si applicano all’uso degli strumenti informatici e telematici nel processo civile, nel processo penale, nel processo amministrativo, nel processo tributario e nel processo dinanzi alle sezioni giurisdizionali della Corte dei conti, per i quali restano ferme le specifiche disposizioni normative». Il DL 29 dicembre 2009, n. 193, poi convertito nella legge 22 febbraio 2010, n. 24, all’art. 4, comma 2, ha ordinato la revisione delle regole tecniche del processo telematico, oggi contenute nei DM 17 luglio 2008 e DM 10 luglio 2009. Tuttavia, nelle more, il Ministero della Giustizia, con Circolare 7 gennaio 2010, n. 133, ha differito sine die, cioè in attesa delle nuove regole tecniche, l’utilizzo della PEC per il processo civile.

Se per la particolare delicatezza della materia ciò è più che comprensibile, non è accettabile un’Italia ad assetto continuamente variabile e dipendente dai vari ambiti giuridici. Quello che fa il Ministero per l’innovazione e le tecnologie viene disfatto volta per volta dal Ministero della Giustizia o dal Ministero per l’economia e le finanze.

È di questi giorni la notizia apparsa su Il Sole 24ore del 19 maggio 2010 seconda la quale pare che la CECPAC non goda della copertura finanziaria. Se così fosse, sarebbe un atto irresponsabile e gravissimo da parte del dicastero dell’innovazione, al quale forse giova ricordare che per gli enti pubblici una delibera senza impegno è nulla di diritto (nulla ex se, cfr. ex multis Cassazione civile, sez. un., 28 giugno 2005, n. 13831), figuriamoci un’azione da 50 milioni di euro come la CECPAC.

5. Quando lo Stato non fa lo Stato

Bilancio a parte, uno dei rischi concreti che corre il sistema Italia è non tanto l’isolamento internazionale (ricordiamolo, la PEC esiste solo nel nostro ordinamento giuridico: gli altri paesi usano altri sistemi, ad esempio S/MIME), quanto piuttosto la proliferazione di caselle dipendenti dai vari utilizzi e dagli enti che le rilasciano in regime di convenzione.

Ad esempio, stando così le cose, un cittadino potrebbe richiedere il rilascio di più caselle di CECPAC: una, ad esempio, gli potrebbe essere rilasciata dall’amministrazione pubblica presso la quale lavora e che svolge funzioni di certificatore delegato, un’altra richiesta all’ACI e un’altra ancora per dialogare con l’INPS. Pare che si stia studiando una soluzione per garantire l’interoperabilità o comunque l’integrazione tra le varie caselle di posta certificata, tanto che forse avremo la PECU Posta elettronica certificata universale, così come l’ha chiamata recentemente il Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione.

Non era possibile prevedere la normalizzazione ben prima della stellarizzazione dell’avvio stile "ognuno per sé e PEC per tutti"? Non è un fattore di irrazionalità economica aver agito in questo modo? Oltre a essere un popolo di navigatori, saremo un popolo di navigatori dell’etere, ma di solo quello italiano, con strumenti apparentemente simili ma non comunicanti, che in concreto segnano la negazione dell’interoperabilità tanto auspicata.

Accade così, in questa storia dell’amministrazione digitale tutta italiana, che lo Stato non fa lo Stato e si mette, anche se animato da propositi condivisibili (fornire la PEC a tutti i cittadini), a destabilizzare il mercato attraverso soluzioni assurde (fornire una PEC limitata).

D’accordo, è vero che la CECPAC ha funzioni limitate proprio per non inquinare il mercato, ma proprio per questa ragione il cittadino si troverà necessariamente costretto ad attivare almeno una casella di PEC per comunicare con il resto del mondo che non sia la PA convenzionata. Risultato: per sopravvivere bisognerà dotarsi di almeno due caselle: la CECPAC e la PEC. Invece, visto che il costo è sostenibile, conviene avere esclusivamente una propria casella di PEC e decidere quando e come aderire volta per volta a uno o più procedimenti amministrativi telematici, senza eleggere domicilio perpetuo, grazie a quanto disposto dal previgente DPR 68/2005.

6. La CECPAC rispetta le libertà di domicilio e di concorrenza?

L’art. 4, comma 2, del DPR 11 febbraio 2005, n. 68, recita:

«Per i privati che intendono utilizzare il servizio di posta elettronica certificata, il solo indirizzo valido, ad ogni effetto giuridico, è quello espressamente dichiarato ai fini di ciascun procedimento con le pubbliche amministrazioni o di ogni singolo rapporto intrattenuto tra privati o tra questi e le pubbliche amministrazioni. Tale dichiarazione obbliga solo il dichiarante e può essere revocata nella stessa forma».

Correttamente, il legislatore aveva rispettato la libertà di domicilio tutelata dall’art. 14 della Costituzione e, ex multis, anche dall’art. 1182 del codice civile. Ciò significa che per ogni istanza un cittadino potrebbe eleggere un domicilio diverso per "dialogare" con l’amministrazione pubblica e non obbligatoriamente e permanentemente quello di CECPAC.

Con la recente normativa, invece e fino a eventuale revoca, è l’amministrazione che nel rilasciarlo "elegge" quel domicilio dichiarato una tantum a domicilio digitale perpetuo, in contrasto non solo con la Costituzione, ma anche con il già citato art. 4, comma 2 del DPR 68/2005, che prevedeva la massima libertà per chi presentava istanze alla PA. Perpetuo, dicevamo, non in una visione iperbolica, ma concreta: fino a revoca, quello rilasciato dal concessionario sarà l’indirizzo al quale ricevere messaggi e documenti da parte della PA. Anche questa è una stortura del sistema che va ricondotta a un binario di civiltà nei rapporti tra amministrazione pubblica e cittadini.

1. La posta elettronica e il requisito legale della forma scritta

Fermo restando il suo utilizzo eventuale in altri ambiti (civile, penale, etc.) e nonostante qualche sorprendente pronuncia giurisprudenziale avvenuta negli anni passati, possiamo ora affermare senza timore di smentita che nell’azione amministrativa la email semplice (o "email standard") non soddisfa il requisito della forma scritta.

La normativa italiana, infatti, equipara il messaggio di una email semplice a un documento non sottoscritto, la cui efficacia probatoria è disciplinata dall’art. 2712 del codice civile, coordinato con l’art. 261 del codice di procedura civile. Di conseguenza, il messaggio è equiparabile a un testo, non a un documento, con l’aggravante che può essere disconosciuto dall’autore, con conseguenze facilmente immaginabili in ambito procedimentale e processuale.

Infatti, l’art. 20, comma 1bis, del Codice dell’amministrazione digitale (D.Lgs. 82/2005) come novellato prevede che "l’idoneità del documento informatico a soddisfare il requisito della forma scritta è liberamente valutabile in giudizio, tenuto conto delle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità ed immodificabilità".

Ora, sicurezza, integrità e immodificabilità sono concetti che mal si attagliano alle caratteristiche della email semplice, che per sua natura può essere facilmente contraffatta, anche da mani non particolarmente abili .

Quanto abbiamo appena detto è stato rafforzato ancor di più dall’evoluzione della normativa, che riconosce al solo invio del messaggio di posta elettronica certificata la possibilità, anche se giuridicamente impropria, di costituire sottoscrizione elettronica (art. 4, comma 4 del DPCM 6 maggio 2009, già commentato su questa stessa rivista: https://www.filodiritto.com/index.php?azione=visualizza&iddoc=1796).

Infatti, se è vero che chiunque ha diritto di scrivere a un’amministrazione pubblica e di ricevere una risposta, è altrettanto vero che chi risponde ha il dovere istituzionale di conoscere l’identità del corrispondente, soprattutto se si tratta di documenti amministrativi o di informazioni giuridicamente rilevanti.

Per ovviare a quella che comunemente viene definita l’impossibilità di attribuzione della "paternità" di un messaggio di posta elettronica (più correttamente da definirsi "provenienza" in base, appunto, al principio di provenienza, che permette di identificare in modo incontrovertibile l’autore di un documento), con il DPR 11 febbraio 2005, n. 68 è stata introdotta in Italia la posta elettronica certificata (PEC).

Accanto alla PEC, con DPCM 6 maggio 2009 sono state approvate le Disposizioni in materia di rilascio e di uso della casella di posta elettronica certificata assegnata ai cittadini, decreto grazie al quale è stata avviata la procedura di affido del servizio di "comunicazione elettronica certificata tra pubblica amministrazione e cittadino", ormai noto come CECPAC. Il bando, mediante procedura ristretta e dopo qualche vicissitudine giudiziaria, è stato vinto con l’affidamento in concessione al RTI costituito da Poste Italiane S.p.A (mandataria), Postecom S.p.A. e Telecom Italia S.p.A (mandanti) per un costo quadriennale di 25 milioni di euro, con un’opzione per un altro quadriennio che fa acquisire all’intera operazione un costo complessivo di 50 milioni di euro, che descriveremo a breve.

2. Differenze tra PEC e CECPAC

Tanto la PEC quanto la CECPAC garantiscono servizi fondamentali per l’amministrazione digitale: non solo la provenienza certa, ma anche data e ora di trasmissione opponibili a terzi, assieme a una incontrovertibile prova di avvenuta trasmissione e avvenuta ricezione del messaggio. Tuttavia si tratta di sistemi simili ma non uguali, tanto che vale la pena commentare le principali differenze, che poi impatteranno in modo considerevole sull’organizzazione del lavoro delle amministrazioni pubbliche e sulle garanzie per i cittadini.

La differenza sostanziale è che mentre la casella di PEC può ricevere e inviare messaggi a qualsiasi indirizzo di posta elettronica (semplice o PEC), al momento la CECPAC può comunicare solo con una analoga casella di CECPAC. Dunque, la CECPAC è un sottoinsieme di PEC, con servizi più limitati.

In un altro articolo su questa rivista affronteremo il problema della casella di PEC chiusa o aperta. Per il momento appare sufficiente ricordare che mentre la comunicazione da PEC a PEC vale come raccomandata con ricevuta di ritorno, la spedizione di una PEC a una email semplice vale come raccomandata con ricevuta di spedizione a cura del gestore, ma priva di ricevuta di ritorno, in quanto ricevuta da una casella non certificata.

Infine, il costo di una casella di PEC varia da pochi euro fino a 25 euro, mentre la CECPAC sembra gratuita. Sembra, ma non lo è, vediamo il perché.

3. Davvero la CECPAC è gratis?

Una delle ragioni di vanto del Ministero per la pubblica amministrazione e l’innovazione è di aver concesso a tutti i cittadini la possibilità di ottenere gratuitamente la CECPAC.

Si tratta, in realtà, di un’informazione distorta, sconfessabile semplicemente distinguendo tra spesa e costo.

Infatti, al cittadino che la richiede viene rilasciata gratuitamente, ma l’impianto messo in piedi dal Ministero è costato a tutti i cittadini, quindi al sistema Italia compresi i cittadini, come me, che allo stato dell’arte non la utilizzeranno, 50 milioni di euro. Possiamo vantarci sulla supposta non onerosità come continuamente fa il Ministero?

Invece di spendere 50 milioni di euro per la CECPAC, non sarebbe stato più semplice e democratico permettere la detassazione o di far scaricare dalla dichiarazione dei redditi i costi di attivazione di una casella di PEC indipendentemente dal gestore? In questo modo la crescita economica avrebbe registrato un impulso per quella ventina di società (SpA e srl) iscritte all’elenco pubblico dei gestori.

Non solo sarebbe stato più democratico e più economico, ma anche più razionale e in linea con l’art. 14, comma 1, del DPR 68/2005 che prevede espressamente la possibilità per chiunque di poter scegliere il gestore. Ora la libertà di scelta è limitata ad avere o non avere la CECPAC, il che sembra, in tutta franchezza, una scelta residuale.

4. La proliferazione di caselle di PEC, CECPAC, PECPCT e PECU

Ma il vero problema della CECPAC non è il costo, peraltro molto oneroso per le casse statali in una congiuntura così infelice per l’economia, ma la sua limitatissima operatività.

Abbiamo già detto che una casella di CECPAC può comunicare soltanto con un’analoga casella. Sembra incredibile ma, testato sul campo anche da chi scrive, un messaggio di CECPAC viene attualmente respinto da una normale casella di PEC non accreditata.

E non va meglio con la confusione da ipertrofia di PEC. Infatti, considerato che la CECPAC consente di comunicare esclusivamente con le amministrazioni pubbliche, per comunicare tra privati i detentori dovranno farsi ampliare il servizio dal concessionario, oppure dotarsi di una casella di PEC, diciamo così, “standard” presso un altro gestore. In questo caso, avranno un’altra casella da gestire, con relative login e password e tutto ciò che ne consegue.

Sarà ad esempio il caso degli avvocati, i quali dovranno avere come professionisti una casella di PEC (legge 2/2009, art. 16, comma 7), se lo desiderano una di CECPAC come privati cittadini e una (per ora) per il cosiddetto “processo civile telematico” (PECPCT?).

Su quest’ultimo ambito va ricordato che il legislatore del 2005 aveva inizialmente escluso l’uso della PEC per l’attività processuale in genere (DPR 68/2005, art. 16, comma 4): «Le disposizioni di cui al presente regolamento non si applicano all’uso degli strumenti informatici e telematici nel processo civile, nel processo penale, nel processo amministrativo, nel processo tributario e nel processo dinanzi alle sezioni giurisdizionali della Corte dei conti, per i quali restano ferme le specifiche disposizioni normative». Il DL 29 dicembre 2009, n. 193, poi convertito nella legge 22 febbraio 2010, n. 24, all’art. 4, comma 2, ha ordinato la revisione delle regole tecniche del processo telematico, oggi contenute nei DM 17 luglio 2008 e DM 10 luglio 2009. Tuttavia, nelle more, il Ministero della Giustizia, con Circolare 7 gennaio 2010, n. 133, ha differito sine die, cioè in attesa delle nuove regole tecniche, l’utilizzo della PEC per il processo civile.

Se per la particolare delicatezza della materia ciò è più che comprensibile, non è accettabile un’Italia ad assetto continuamente variabile e dipendente dai vari ambiti giuridici. Quello che fa il Ministero per l’innovazione e le tecnologie viene disfatto volta per volta dal Ministero della Giustizia o dal Ministero per l’economia e le finanze.

È di questi giorni la notizia apparsa su Il Sole 24ore del 19 maggio 2010 seconda la quale pare che la CECPAC non goda della copertura finanziaria. Se così fosse, sarebbe un atto irresponsabile e gravissimo da parte del dicastero dell’innovazione, al quale forse giova ricordare che per gli enti pubblici una delibera senza impegno è nulla di diritto (nulla ex se, cfr. ex multis Cassazione civile, sez. un., 28 giugno 2005, n. 13831), figuriamoci un’azione da 50 milioni di euro come la CECPAC.

5. Quando lo Stato non fa lo Stato

Bilancio a parte, uno dei rischi concreti che corre il sistema Italia è non tanto l’isolamento internazionale (ricordiamolo, la PEC esiste solo nel nostro ordinamento giuridico: gli altri paesi usano altri sistemi, ad esempio S/MIME), quanto piuttosto la proliferazione di caselle dipendenti dai vari utilizzi e dagli enti che le rilasciano in regime di convenzione.

Ad esempio, stando così le cose, un cittadino potrebbe richiedere il rilascio di più caselle di CECPAC: una, ad esempio, gli potrebbe essere rilasciata dall’amministrazione pubblica presso la quale lavora e che svolge funzioni di certificatore delegato, un’altra richiesta all’ACI e un’altra ancora per dialogare con l’INPS. Pare che si stia studiando una soluzione per garantire l’interoperabilità o comunque l’integrazione tra le varie caselle di posta certificata, tanto che forse avremo la PECU Posta elettronica certificata universale, così come l’ha chiamata recentemente il Ministro per la pubblica amministrazione e l’innovazione.

Non era possibile prevedere la normalizzazione ben prima della stellarizzazione dell’avvio stile "ognuno per sé e PEC per tutti"? Non è un fattore di irrazionalità economica aver agito in questo modo? Oltre a essere un popolo di navigatori, saremo un popolo di navigatori dell’etere, ma di solo quello italiano, con strumenti apparentemente simili ma non comunicanti, che in concreto segnano la negazione dell’interoperabilità tanto auspicata.

Accade così, in questa storia dell’amministrazione digitale tutta italiana, che lo Stato non fa lo Stato e si mette, anche se animato da propositi condivisibili (fornire la PEC a tutti i cittadini), a destabilizzare il mercato attraverso soluzioni assurde (fornire una PEC limitata).

D’accordo, è vero che la CECPAC ha funzioni limitate proprio per non inquinare il mercato, ma proprio per questa ragione il cittadino si troverà necessariamente costretto ad attivare almeno una casella di PEC per comunicare con il resto del mondo che non sia la PA convenzionata. Risultato: per sopravvivere bisognerà dotarsi di almeno due caselle: la CECPAC e la PEC. Invece, visto che il costo è sostenibile, conviene avere esclusivamente una propria casella di PEC e decidere quando e come aderire volta per volta a uno o più procedimenti amministrativi telematici, senza eleggere domicilio perpetuo, grazie a quanto disposto dal previgente DPR 68/2005.

6. La CECPAC rispetta le libertà di domicilio e di concorrenza?

L’art. 4, comma 2, del DPR 11 febbraio 2005, n. 68, recita:

«Per i privati che intendono utilizzare il servizio di posta elettronica certificata, il solo indirizzo valido, ad ogni effetto giuridico, è quello espressamente dichiarato ai fini di ciascun procedimento con le pubbliche amministrazioni o di ogni singolo rapporto intrattenuto tra privati o tra questi e le pubbliche amministrazioni. Tale dichiarazione obbliga solo il dichiarante e può essere revocata nella stessa forma».

Correttamente, il legislatore aveva rispettato la libertà di domicilio tutelata dall’art. 14 della Costituzione e, ex multis, anche dall’art. 1182 del codice civile. Ciò significa che per ogni istanza un cittadino potrebbe eleggere un domicilio diverso per "dialogare" con l’amministrazione pubblica e non obbligatoriamente e permanentemente quello di CECPAC.

Con la recente normativa, invece e fino a eventuale revoca, è l’amministrazione che nel rilasciarlo "elegge" quel domicilio dichiarato una tantum a domicilio digitale perpetuo, in contrasto non solo con la Costituzione, ma anche con il già citato art. 4, comma 2 del DPR 68/2005, che prevedeva la massima libertà per chi presentava istanze alla PA. Perpetuo, dicevamo, non in una visione iperbolica, ma concreta: fino a revoca, quello rilasciato dal concessionario sarà l’indirizzo al quale ricevere messaggi e documenti da parte della PA. Anche questa è una stortura del sistema che va ricondotta a un binario di civiltà nei rapporti tra amministrazione pubblica e cittadini.