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Pene detentive brevi e determinazione pena pecuniaria

all'esame della Corte Costituzionale
pena detentiva e pecuniaria
pena detentiva e pecuniaria

Il dogma dell’insindacabilità delle scelte legislative in materia di determinazione delle sanzioni penali sarà confermato nella prossima decisione della Corte Costituzionale fissata per il 12 gennaio prossimo?

La possibilità di sostituire le pene detentive brevi con la pena pecuniaria è sostanzialmente preclusa alle persone meno abbienti. La previsione di euro 250,00 al giorno di fatto impedisce il ricorso alla sostituzione della pena per una moltitudine di persone.

In due ordinanze, del Gip di Ravenna e Taranto, si solleva la questione “Individuazione del valore minimo giornaliero di un giorno di reclusione nella misura della somma indicata dall'art. 135 del codice penale, pari a 250 euro, anziché nella minor somma di 75 euro prevista dall'art. 459, comma 1-bis, del codice di procedura penale - Trattamento sanzionatorio sproporzionato e intrinsecamente irragionevole - Disparità di trattamento tra imputati - Violazione del principio di proporzionalità della pena, anche con riferimento all'art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE) - Contrasto con il principio della finalità rieducativa della pena.

La giurisprudenza della Corte Costituzionale è stata sempre uniforme nel ritenere che le scelte legislative in materia di determinazione delle sanzioni penali sono insindacabili, salvo che trasmodino nell’irragionevolezza o nell’arbitrio. (sentenze n. 148 del 2016, n. 23 del 2016 e n. 81 del 2014).

Tuttavia la Corte Costituzionale ha più volte richiamato, da ultimo con la decisione n. 15 del 2020, il legislatore ad intervenire in materia rilevando: “Le considerazioni poc’anzi svolte inducono, comunque, questa Corte a formulare l’auspicio che il legislatore intervenga a porre rimedio alle incongruenze evidenziate , nel quadro di un complessivo intervento – la cui stringente opportunità è stata anche di recente segnalata (sentenza n. 279 del 2019) – volto a restituire effettività alla pena pecuniaria, anche attraverso una revisione degli attuali, farraginosi meccanismi di esecuzione forzata e di conversione in pene limitative della libertà personale. E ciò nella consapevolezza che soltanto una disciplina della pena pecuniaria in grado di garantirne una commisurazione da parte del giudice proporzionata tanto alla gravità del reato quanto alle condizioni economiche del reo, e assieme di assicurarne poi l’effettiva riscossione, può costituire una seria alternativa alla pena detentiva, così come di fatto accade in molti altri ordinamenti contemporanei”.

La Corte Costituzionale deciderà il 12 gennaio prossimo la questione d’incostituzionalità prospettata nelle ordinanze n. 177/2020 e 129/2021 rispettivamente dal Gip del tribunale di Ravenna e dal Gip del tribunale di Taranto.

Quest’ultimo ha rilevato che, nell’ambito della sostituzione di pene detentive brevi la determinazione dell’ammontare della pena pecuniaria, i criteri previsti di: “Individuazione del valore minimo giornaliero di un giorno di reclusione nella misura della somma indicata dall'art. 135 del codice penale, pari a 250 euro, anziché nella minor somma di 75 euro prevista dall'art. 459, comma 1-bis, del codice di procedura penale - Trattamento sanzionatorio sproporzionato e intrinsecamente irragionevole - Disparità di trattamento tra imputati - Violazione del principio di proporzionalità della pena, anche con riferimento all'art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE) - Contrasto con il principio della finalità rieducativa della pena.

- Legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 53, comma 2.

- Costituzione, artt. 3, secondo comma, 27, terzo comma, 117, primo comma, in relazione all'art. 49, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE).

In subordine: Reati e pene - Sostituzione di pene detentive brevi - Determinazione dell'ammontare della pena pecuniaria - Criteri - Mancata previsione che il giudice possa fare applicazione del criterio di adeguamento della pena pecuniaria minima previsto dall'art. 133-bis del codice penale - Trattamento sanzionatorio sproporzionato e intrinsecamente irragionevole - Disparità di trattamento tra imputati - Violazione del principio di proporzionalità della pena, anche con riferimento all'art. 49 della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE) - Contrasto con il principio della finalità rieducativa della pena.

- Legge 24 novembre 1981, n. 689, art. 53, comma 2.

- Costituzione, artt. 3, secondo comma, 27, terzo comma, 117, primo comma, in relazione all'art. 49, paragrafo 3, della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea (CDFUE)”.

 

Norme richiamate nelle ordinanze articolo 135 c.p. e art. 459 c.p.p.

Esame dell’art. 135 c.p., ragguaglio fra pene pecuniarie e pene detentive, rassegna giurisprudenza: Link.

Esame dell’art. 459 c.p.p., casi di procedimento per decreto: Link.

Mentre il Gip del tribunale di Ravenna ha ritenuto di sollevare la seguente questione: “Questo Giudice per le indagini preliminari Tribunale ritiene di sollevare questione di legittimita' costituzionale dell'art. 53, comma 2, della legge 24 novembre 1981, n. 689, nella parte in cui prevede che, nel determinare l'ammontare della pena pecuniaria in sostituzione della pena detentiva di durata sino a sei mesi, il giudice individui il valore giornaliero,a1 quale puo' essere assoggettato l'imputato, da moltiplicare per i giorni di pena detentiva, in un valore giornaliero che non puo' essere inferiore alla somma indicata all'art. 135 del codice penale, pari ad euro 250,00, anziche' fare applicazione dei criteri di ragguaglio di cui al comma 1-bis dell'art. 459 del codice di procedura penale oppure potersi avvalere delle facolta' di cui al comma 2 dell'art. 133-bis del codice penale, per contrasto con gli articoli 3, comma 2 e 27, comma 3, della Costituzione”.

Ricordiamo che con la decisione 279/2019 la Corte Costituzionale aveva ammonito il legislatore rilevando che: “Deve essere cionondimeno ribadito il monito al legislatore, già formulato nella sentenza n. 108 del 1987, affinché intervenga sulla disciplina processuale della conversione, considerato che il procedimento di esecuzione della pena pecuniaria, del quale i provvedimenti di conversione costituiscono uno dei possibili esiti, non riesce, allo stato, ad assicurare né adeguati tassi di riscossione delle pene pecuniarie, né l'effettività della conversione delle pene pecuniarie non pagate, facendo sì che la pena pecuniaria non riesca a costituire in Italia un'alternativa credibile rispetto alle pene privative della libertà”.

In altra più recente decisione, sentenza n. 15 del 2020 Presidente Cartabia e relatore Viganò la Corte Costituzionale evidenziò: “Il problema che fa da sfondo alle questioni sollevate è, invero, reale”.

L’art. 53, comma 2, della legge n. 689 del 1981, nel prevedere la possibilità di sostituzione della pena detentiva nel limite dei sei mesi con la pena pecuniaria, stabilisce, tra l’altro, che “per determinare l’ammontare della pena pecuniaria il giudice individua il valore giornaliero al quale può essere assoggettato l’imputato e lo moltiplica per i giorni di pena detentiva. Nella determinazione dell’ammontare di cui al precedente periodo il giudice tiene conto della condizione economica complessiva dell’imputato e del suo nucleo familiare. Il valore giornaliero non può essere inferiore alla somma indicata dall’art. 135 del codice penale e non può superare di dieci volte tale ammontare”.

Ora, il tasso di ragguaglio previsto dall’art. 135 cod. pen. – già fissato dall’art. 1 della legge 5 ottobre 1993, n. 402 (Modifica dell’articolo 135 del codice penale: ragguaglio fra pene pecuniarie e pene detentive), in 75.000 lire per ogni giorno di pena detentiva, poi convertite in 38 euro – è stato innalzato a 250 euro giornalieri per effetto della legge 15 luglio 2009, n. 94 (Disposizioni in materia di sicurezza pubblica).

Tale aumento ha fatto sì che – in forza del richiamo all’art. 135 cod. pen. contenuto nell’art. 53 della legge n. 689 del 1981, pacificamente considerato quale rinvio “mobile” – il valore giornaliero minimo della pena pecuniaria sostituita alla pena detentiva sia attualmente pari a 250 euro. Il risultato è stato quello di rendere eccessivamente onerosa, per molti condannati, la sostituzione della pena pecuniaria, sol che si pensi che – ad esempio – il minimo legale della reclusione, fissato dall’art. 23 cod. pen. in quindici giorni, deve oggi essere sostituito in una multa di almeno 3.750 euro, mentre la sostituzione di sei mesi di reclusione (pari al limite massimo entro il quale può operare il meccanismo previsto dall’art. 53, comma 2, della legge n. 689 del 1981) dà a luogo a una multa non inferiore a 45.000 euro.

Ciò ha determinato, nella prassi, una drastica compressione del ricorso alla sostituzione della pena pecuniaria, che pure era stata concepita dal legislatore del 1981 – in piena sintonia con la logica dell’art. 27, terzo comma, Cost. – come prezioso strumento destinato a evitare a chi sia stato ritenuto responsabile di reati di modesta gravità di scontare pene detentive troppo brevi perché possa essere impostato un reale percorso trattamentale, ma già sufficienti a produrre i gravi effetti di lacerazione del tessuto familiare, sociale e lavorativo, che il solo ingresso in carcere solitamente produce. Con il conseguente rischio di trasformare la sostituzione della pena pecuniaria in un privilegio per i soli condannati abbienti: ciò che appare di problematica compatibilità con l’art. 3, secondo comma, Cost., il cui centrale rilievo nella commisurazione della pena pecuniaria è stato da tempo sottolineato dalla giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 131 del 1979).”

Le premesse indicate dalla Corte Costituzionale non portarono all’accoglimento della questione esaminata: “Tuttavia, le questioni oggi all’esame, aventi a oggetto l’art. 135 cod. pen., sono viziate da aberratio ictus; vizio che ha carattere assorbente rispetto ai diversi profili di inammissibilità denunciati dall’Avvocatura generale dello Stato”.

La premessa suindicata è oggi richiamata in entrambe le ordinanze che verranno decise il 12 gennaio prossimo.

Le due ordinanze che verranno esaminate il 12 gennaio sono l’ordinanza 177/2020 e la 129/2021 di seguito in sintesi:

La 177/2020: “Reati e pene - Sostituzione di pene detentive brevi nel limite di sei mesi - Determinazione dell'ammontare della pena pecuniaria - Criteri - Individuazione del valore giornaliero al quale può essere assoggettato l'imputato, da moltiplicare per i giorni di pena detentiva, che non può essere inferiore alla somma indicata dall'art. 135 del codice penale - Mancata previsione dell'applicazione dei criteri di ragguaglio di cui all'art. 459, comma 1-bis, del codice di procedura penale ovvero dei meccanismi di adeguamento di cui all'art. 133-bis del codice penale. - Legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), art. 53, comma 2”.

La 129/2021: Reati e pene - Sostituzione di pene detentive brevi - Determinazione dell'ammontare della pena pecuniaria - Criteri - Individuazione del valore minimo giornaliero di un giorno di reclusione nella misura della somma indicata dall'art. 135 del codice penale, pari a 250 euro, anziché nella minor somma di 75 euro prevista dall'art. 459, comma 1-bis, del codice di procedura penale.

In subordine: Reati e pene - Sostituzione di pene detentive brevi - Determinazione dell'ammontare della pena pecuniaria - Criteri - Mancata previsione che il giudice possa fare applicazione del criterio di adeguamento della pena pecuniaria minima previsto dall'art. 133-bis del codice penale.

- Legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale), art. 53, comma 2.

La Corte Costituzionale è stata costante nel ritenere che le scelte legislative in materia di determinazione delle sanzioni penali sono insindacabili, salvo che trasmodino nell’irragionevolezza o nell’arbitrio (sentenze n. 148 del 2016, n. 23 del 2016 e n. 81 del 2014).

In specie, la difformità del tasso di conversione della pena detentiva in pena pecuniaria previsto dall’art. 459, comma 1-bis, cod. proc. pen., rispetto a quello contemplato dall’art. 135 cod. pen, sarebbe riconducibile al corretto esercizio della discrezionalità legislativa, con conseguente insindacabilità della relativa scelta.

Sarà ancora così?