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Pillole di genitorialità

Marina di Ravenna
Ph. Alessandro Saggio / Marina di Ravenna

Ogni genitore nasce con la nascita del figlio e cresce con lui e come lui. Essere genitori non è una questione anatomica ma piuttosto topica, perché si basa sull’esserci. La genitorialità (tanto nella dimensione della paternità quanto in quella della maternità) è un processo di accoglienza, di ascolto, attesa ed altro di cui la gravidanza è solo il preludio.

Genitorialità è dare l’avvio, fissare paletti, indicare traguardi (anche questa è l’autorità) e un’“istruzione” è data nell’articolo 18 par. 2 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia: “Nell’assolvimento del loro compito essi [i genitori] debbono venire innanzitutto guidati dall’interesse superiore del fanciullo”. A tale proposito lo psicoterapeuta Alberto Pellai scrive: “A volte per i figli è molto più tranquillizzante sentire che mamma e papà hanno il controllo della situazione e che, quindi, fare la cosa giusta non dipende in toto da loro, che possono essere ancora molto fragili, incerti, confusi e incapaci di gestire situazioni […]. E ci si sente più sicuri se mamma e papà ci prendono per mano e ci indicano la strada, invece che lasciarci andare da soli e liberi in zone che non conosciamo bene”.

I genitori possono e devono dare indicazioni ai figli, come pure si ricava dall’articolo 5 della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, ma per il resto non ci sono ricette comprovate e sicure. “Cosa serve per essere un genitore perfetto? Dario non ha dubbi: per prima cosa ci vuole un bambino. Quindi se ne inventa uno e lo chiama Tobia. Poi servono miliardi di kg di divertimento, un sacco di risate, giri in moto a tutta birra e immersioni nell’oceano per scoprire dove vivono i bastoncini di pesce. «Questo serve!» pensa Dario, «è così che si fa per essere genitori supermegaultrafantastici!». Tobia, invece, non cerca un genitore perfetto ma un genitore che, anche se sbaglia, non smetta di provare a fare la cosa giusta. Un genitore che trovi il tempo di cantare una ninna nanna, di abbracciare e, quando ci vuole, di rimproverare e poi spiegare. Questa è la storia di quanto è difficile capirsi e di come, per farlo, sia necessario affrontare la cosa più bella e complicata del mondo: stare insieme. Semplicemente” (trama dello spettacolo teatrale “Mai grande… un papà sopra le righe”). La genitorialità è come il gerundio, un modo verbale indefinito che ha soltanto due tempi, il gerundio presente (o semplice) e il gerundio passato (o composto). Solo il tempo, “genitorialando”, potrà dire come è stata esercitata, vissuta, elargita la genitorialità.

Genitorialità non è dare alla luce un figlio, è una relazione, è dare per ricevere e ridare continuamente risposte di vita, alla vita, è responsabilità e responsività. Anche questo è il significato dell’aggettivo “morale” che qualifica quell’assistenza che i genitori devono ai figli, indipendentemente dall’età e da ogni altra cosa (articoli 147 e 315 bis comma 1 cod. civ.). Il bioeticista Paolo Marino Cattorini sostiene: “In effetti, nella scelta di diventare papà e mamma entra in crisi un modo sperimentale di guardare alla vita: mezze decisioni, prove incredule, tentativi provvisori, cedimenti alla moda, pigri compiacimenti. Si possono rinegoziare contratti, annullare matrimoni, cambiare mestieri logoranti e abitudini noiose, ma la promessa di cura, dichiarata a un bambino, non è dissolubile. Tu starai con lui, come padre o madre, chiunque egli sia, dovunque ti porti, qualunque problema sorgerà”.

La genitorialità si scrive nel tempo e s’iscrive nella vita dei figli, si riempie di contenuti nella relazione con i figli e dà contenuti ai figli. Ada Fonzi, esperta di psicologia dello sviluppo, riferisce: “Molte ricerche psicologiche hanno messo in rilievo l’importanza che il rapporto con le figure genitoriali ha in tutte le fasi dello sviluppo personale tanto da incidere anche nella vita adulta, nei rapporti di lavoro e in quelli sentimentali. Sembra, insomma, che le esperienze maturate in famiglia nei primi periodi della vita modellino i comportamenti che mettiamo in atto nelle nuove relazioni che costruiamo in seguito.

Chi ha avuto genitori affettuosi e premurosi nella prima infanzia tenderà a stabilire relazioni intime positive nel corso della vita; al contrario, bambini maltrattati e abusati diventeranno più facilmente adulti maltrattanti e abusanti. Ma il comportamento umano è più complesso di quello che le ricerche, per quanto accurate, riescono a cogliere. È difficile, per esempio, spiegarsi come e perché bambini con genitori freddi e rifiutanti o affetti da alcolismo, sindromi psichiatriche e altre gravi deficienze, continuino a ricercarne l’affetto e l’attenzione senza che delusione e risentimento prendano il sopravvento”. “Genitore”, parola che deriva dal latino “gignere”, generare, produrre, e dal suffisso “-tore”, che indica il soggetto agente. Il genitore, pertanto, è colui che dà e ridà la vita, come sta scritto nella vita stessa, e non vi si può sottrarre. Il diritto delimita, poi, la genitorialità in vari modi, per esempio nell’articolo 315 bis del codice civile “Diritti e doveri del figlio”, oppure in caso di inadempimenti nell’articolo 570 del codice penale “Violazione degli obblighi di assistenza familiare” e, in via generale, nella Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia.

Lo psicoanalista Massimo Recalcati precisa: “Un genitore non è un amico. Egli ha una responsabilità illimitata verso i propri figli. Il nostro tempo tende a misconoscere queste responsabilità e la differenza simbolica tra le generazioni sulla quale si fonda. Non credo che si possa dire cosa deve essere un corretto rapporto educativo. I genitori sbagliano sempre; Freud diceva che il loro era un mestiere impossibile. Quello che conta è provare a tenere insieme la Legge, il senso del limite, e il desiderio, ovvero la possibilità di avere una passione, una forza, un progetto”. Nell’articolato della Costituzione vi sono i fondamenti della genitorialità, in particolare è eloquente la locuzione “dovere e diritto dei genitori” (articolo 30 comma 1 Cost.), richiamando prima il dovere e poi il diritto, entro limiti e con certi limiti, all’interno del rapporto e all’esterno del rapporto (come nel riconoscimento dei danni endofamiliari ed esofamiliari).

La genitorialità non è una dimensione astratta ma è fatta di maternità e paternità e la genitorialità della madre e del padre è un apporto e un rapporto di differenze. Come gli strumenti musicali formano un’orchestra ed eseguono un concerto così la genitorialità è un concerto di vita e alla vita ma, purtroppo, questo concerto non sempre riesce a causa dei conflitti nella coppia coniugale/genitoriale. Dinamica che viene descritta dal filosofo e antropologo francese René Girard: “Dal momento in cui desideriamo la stessa cosa che desidera un modello abbastanza vicino a noi, nel tempo e nello spazio, per far sì che l’oggetto desiderato passi alla nostra portata, ci sforziamo di toglierglielo e la rivalità tra lui e noi è inevitabile. È la rivalità mimetica. Questa può raggiungere un livello d’intensità straordinario.

Essa è la responsabile della frequenza e dell’intensità dei conflitti umani, ma, fatto strano, nessuno parla di lei. Essa fa di tutto per dissimularsi e in genere, anche agli occhi dei principali interessati, ci riesce”[1]. Spesso la conflittualità di una coppia è così esacerbata che si perde di vista la ragione per cui si sta litigando, in particolare quando si dice che lo si fa per il presunto bene dei figli. Per prevenire e non cadere in una stagnante incomunicabilità bisognerebbe acquisire la consapevolezza di queste dinamiche: è anche questo il senso attualizzato di quella “pianificazione familiare” di cui si parla nell’articolo 24 lettera f della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia. Perché genitorialità è connaturalmente fare sacrifici secondo il senso dato da Girard: “Funzione del sacrificio è quella di placare le violenze intestine, d’impedire lo scoppio di conflitti”[2].

Se si fosse tutti più adulti e maturi, sarebbe sufficiente parlare di genitorialità e non di bigenitorialità, perché si è genitori in due.

La scrittrice Michela Murgia parla di “[…] aborto retroattivo”, “[…] chi non è mai veramente nato”: figli capitati, indesiderati, non accettati, maltrattati, violati, abbandonati, iperprotetti, trascurati, dimenticati. La genitorialità non è un fatto privato, ma un fatto sociale: se si sbaglia grossolanamente, prima o poi, si devono fare i conti dapprima con i figli e successivamente con gli altri.

Genitori fa rima con errori, perché è inevitabile sbagliare, ma l’importante è che non siano orrori. I genitori possono essere considerati “costruttori”, coloro che costruiscono o sovrintendono alla costruzione di una casa, ma hanno bisogno di altri operai o professionisti e la costruzione apparterrà, poi, ad altri. Ebbene, l’educazione di un bambino segue, più o meno, questa sorte, anche se nell’arco della giornata e della prima parte della vita un bambino esce da una famiglia e torna alla sua famiglia: impronta che rimane indelebile come quella digitale. Mamma e papà, genitori portatori differenti e convergenti della stessa genitorialità.

Parecchi genitori hanno fretta durante le fasi dell’infanzia dei figli, dall’anticipo scolastico al riportarli a scuola dopo un periodo di malattia, dal conseguimento dell’autonomia fisica al raggiungimento di brillanti risultati scolastici. Quando, poi, si ritrovano i figli cresciuti non li riconoscono né conoscono il loro mondo con conseguenti contrasti e incomprensioni o problemi anche gravi a danno dei figli e di tutta la famiglia (quali depressioni, dipendenze, tentativi di suicidio o altro). I genitori devono (o dovrebbero) solo e sempre tenere a mente che un figlio non ha bisogno di tutto o di molto ma che “[…] il fanciullo per il pieno ed armonioso sviluppo della sua personalità deve crescere in un ambiente familiare, in un’atmosfera di felicità, amore e comprensione” (dal Preambolo della Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia), quella che è l’aspirazione e l’ispirazione di ogni persona per tutta la vita.  

 

[1] R. Girard in “Celui par qui le scandale arrive”, Paris, 2001, p. 18 e ss.

[2] R. Girard in “La violenza e il sacro”, Milano, Adelphi, 2005, p. 30