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Processi alle mafie straniere e autoctone bloccati dalle “paure” degli interpreti

scorci domestici
Ph. Erika Pucci / scorci domestici

La macchina della giustizia non è fatta di annunci ridondanti nelle conferenze stampa, ove pubblici ministeri autocelebrano gli arresti di decine e decine di presunti criminali, ma dal lavoro quotidiano di tante persone comuni e dai tempi necessari per celebrare i processi.

Nelle aule dei tribunali sono molti i processi alle mafie straniere e al clan Casamonica in particolare (a proposito della lingua Sinti utilizzata di sovente dagli affiliati del clan per eludere la comprensibilità del parlato nelle intercettazioni) rallentati dalla difficoltà di reperire interpreti e traduttori giudiziari.

Lo stallo processuale è dettato dal timore di assumere l’incarico da parte degli interpreti.

In proposito è stata presentata l’interrogazione Parlamentare n. 4-08880 del 14 aprile ove si legge: “dalla lettura di alcuni articoli di giornale (Dagospia.com in particolare un articolo di Dagospia riporta passi del libro di Nello Trocchia «Casamonica» a proposito della lingua Sinti) l'interrogante è venuta a conoscenza del fatto che alcuni importanti processi e indagini nei confronti di mafie straniere e non (come ad esempio quella nigeriana, cinese, eritrea) rischiano di subire dei forti rallentamenti nel loro svolgimento (se non addirittura un vero e proprio blocco) a causa della crescente difficoltà di reperire gli interpreti giudiziari, in quanto molti di loro rifiutano di accettare l'incarico per via delle precarie condizioni lavorative e dello stato di insicurezza in cui sono costretti, da tempo, a lavorare; gli interpreti giudiziari, a differenza dei loro colleghi europei, vengono pagati poco e in ritardo sono privi di tutele e senza un albo professionale e sono soggetti a gravi minacce da parte dei soggetti imputati in questi processi. Sfogliando le cronache dei processi sulle mafie straniere emerge, chiaramente, la fuga degli interpreti che rischiano la vita per pochi euro: circa 3 euro e 50 l'ora”.

Oltre ai timori è opportuno evidenziare che nel nostro Paese il registro dei traduttori e interpreti, che dovrebbe essere presente in ogni tribunale, non rispetta le prescrizioni richieste dall'articolo 5 della direttiva europea 2010/64/UE sul diritto all'interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali, secondo cui gli Stati membri si impegnano a istituire un registro o dei registri di traduttori e interpreti indipendenti e debitamente qualificati.

La Direttiva prevede: “Gli Stati membri devono adottare misure idonee a garantire che la qualità dell’interpretazione e la traduzione siano idonee a tutelare l’equità del procedimento; in particolare, gli Stati membri devono istituire uno o più registri di traduttori o interpreti qualificati ed assicurare che essi garantiscano, nello svolgimento del loro incarico, la dovuta riservatezza (art. 5). I costi della interpretazione e della traduzione derivanti dagli obblighi prescritti dalla direttiva sono a carico degli Stati membri, indipendentemente dall’esito del procedimento (art. 4). Gli Stati membri devono, inoltre, assicurare che lo svolgimento di un’attività di interpretazione o traduzione in conformità alla direttiva risulti da apposita verbalizzazione (art. 7)”.

Da quanto emerge dal combinato disposto degli articoli 67 e 67-bis disposizioni attuative del codice di procedura penale, chiunque può iscriversi come traduttore o interprete presso un tribunale, semplicemente dichiarando di conoscere una determinata lingua. Infatti, non è previsto alcun esame e/o verifica del livello di conoscenza della lingua o del grado di esperienza pluriennale lavorativa in tale ambito, nonché del possesso di una laurea magistrale in traduzione e/o interpretazione, ciò a discapito della garanzia e della qualità del servizio della giustizia.

Nonostante l'articolo 54 del decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002 preveda un adeguamento periodico di tutti gli onorari spettanti agli ausiliari «in relazione alla variazione, accertata dall'Istat, dell'indice dei prezzi al consumo per le famiglie di operai ed impiegati, verificatasi nel triennio precedente, con decreto dirigenziale del Ministero della giustizia, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze», dopo il decreto del Ministro della giustizia del 30 maggio 2002 l'entità degli onorari non è stata più aggiornata.

Da ciò discende che il compenso degli interpreti e i traduttori risulti essere di poco più di 3 euro l’ora.

Non è secondario ricordare che gli interpreti e i traduttori, quali ausiliari del giudice, prestano la loro attività nell'interesse generale della giustizia, oltre che in quello comune delle parti, specie laddove è necessario venire in possesso della traduzione di lingue e dialetti stranieri molto particolari: un servizio imprescindibile per la celebrazione dei processi nelle aule di giustizia.

L’interrogazione Parlamentare si conclude  con l’esortazione: “se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e quali iniziative di competenza ritenga opportuno adottare perché si istituisca un registro nazionale di traduttori e interpreti indipendenti e qualificati, si garantisca loro un compenso dignitoso (al pari di quello vigente negli altri Paesi europei), provvedendo mediante decreto dirigenziale all'adeguamento periodico dei loro onorari come stabilito dall'articolo 54 del decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, e si riconoscano quei diritti e quelle tutele tali da consentire a tutti gli interpreti e traduttori di svolgere bene, e in totale sicurezza, il loro servizio nei confronti della giustizia e dei cittadini”.

Aspettiamo la risposta del Ministro, intanto la celebrazione dei processi arranca e le garanzie sul “diritto all'interpretazione e alla traduzione nei procedimenti penali” è una chimera.