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Processo penale virtuale: quali garanzie?

Processo penale virtuale
Processo penale virtuale

Gli autori sono componenti della Commissione sulla Linguistica Giudiziaria della Camera penale di Roma.

 

Un primo tentativo è stato momentaneamente respinto, ma l’insidia del processo penale in forma “remotizzata” è sempre dietro l’angolo.

Il processo penale è oralità e comunicazione. Ma la comunicazione non è solo parole.

Possiamo avere tutti i mezzi di comunicazione del mondo, ma niente, assolutamente niente, sostituisce lo sguardo dell’essere umanoPaulo Coelho.

Il processo da “remoto” elimina la comunicazione non verbale e rende il processo penale un sistema foriero di errori e manipolazioni.

Scriveva Peter Ferdinand Drucker: “La cosa più importante nella comunicazione è ascoltare ciò che non viene detto”. L’economista e saggista austriaco insegnava che il “grosso” del messaggio, durante la fase di comunicazione, passa attraverso il linguaggio corporeo.

Ciò che non diciamo è più importante di quello che diciamo; mimica facciale, gesti, posture e tono della voce possono cambiare di molto la percezione di ciò che stiamo comunicando al resto del mondo.

Tutti gli studi di linguistica hanno evidenziato che il parlato è caratterizzato da una serie di informazioni ulteriori rispetto al testo verbale, che cooperano alla produzione del significato. L’aspetto non verbale della comunicazione rivela un dato: la parola, l’atto linguistico è azione e, come ogni azione, necessita per esplicarsi di spazi e di volumi intorno a sé, nonché di relazioni di prossimità con l’interlocutore.  

Pensare che la comunicazione possa essere limitata solo all’aspetto fonico, acustico e verbale significa illudersi che un microfono e uno schermo siano strumenti idonei a salvaguardare la complessità della comunicazione umana.

Di questo fondamentale corollario era consapevole il legislatore del 1989.

L’articolo 146 delle Disposizioni di attuazione del Codice di Procedura Penale chiarisce l’importanza fondamentale della dimensione non verbale della comunicazione in aula, disciplinando quale debba essere la collocazione all’interno dell’aula della persona sottoposta a esame: «il seggio delle persone da sottoporre ad esame è collocato in modo da consentire che le persone stesse siano agevolmente visibili sia dal giudice che dalle parti».

Evidentemente, il legislatore aveva letto Charles Darwin: “La mimica rende più vive le nostre parole e conferisce loro più forza. Essa è più delle parole, che possono essere falsate, rivela i pensieri e le intenzioni altrui”.

L’udienza da remoto purtroppo determina necessariamente un prosciugamento degli aspetti “paralinguistici” della comunicazione, cioè di quelle componenti che forse più di altre si manifestano a condizione che esista un medesimo spazio fisico nel quale sono inseriti l’emittente e il destinatario dell’enunciato.

Si tratta della prosodia, della prossemica e della cinesica.

L’aspetto “prosodico”: gli accenti, il ritmo, il tono, l’intonazione costituiscono elementi della modulazione della voce e incidono sulla comunicazione.

Costituisce dato acquisito dagli studi di linguistica, di fonetica e di fonologia il fatto che la prosodia ha varie funzioni, assolutamente centrali nel comprendere il significato di una comunicazione: un significato allusivo, uno assertivo, uno dubitativo, discendono direttamente proprio dall’accento, dal ritmo, dal tono e dall’intonazione. Scriveva Emil Cioran: “Se voi avete il tono, avete tutto - Si vous avez le ton, vous avez tout”.

Tali aspetti servono a rivelare le intenzioni comunicative del locutore, oppure far emergere il cd. “focus”, cioè il punto di maggior interesse di un enunciato, come quando si sottolinea con l’intonazione la parola da rimarcare. Possono svolgere anche la funzione di segni di interpunzione, cioè di delimitazione delle unità interne di un enunciato complesso: si pensi all’intonazione che diamo alle frasi incidentali o alle subordinate.

In sostanza il contorno melodico e intonativo, il cambio del ritmo di locuzione e in genere tutti gli elementi prosodici, in sostanza, veicolano significati.

La prosodia necessita però di uno spazio fisico, di un volume tridimensionale attraverso il quale raggiungere l’ascoltatore. È soprattutto lo spazio fisico che consente all’ascoltatore di rilevare l’ampiezza dell’onda sonora e quindi l’intensità della voce che arriva, con la ricchezza di informazioni connesse. Un tono di voce insicuro, esitante, perplesso viene veicolato da questi elementi prosodici e viene percepito grazie al volume spaziale nel quale le onde sonore della voce si diffondono.

Lo stesso termine “udienza”, etimologicamente, è connesso proprio al momento e al luogo dell’ascolto, dell’atto di udire.

Ecco, tali “fatti” comunicativi risulterebbero dunque fortemente compromessi dalla loro trasmissione attraverso un microfono, cioè un dispositivo che trasforma onde sonore in segnali elettrici. Un ritmo rallentato nella elocuzione, una pausa, una incertezza nel pronunciare una parola non solo non verrebbero restituiti tramite la connessione internet con la stessa immediatezza e autenticità che sarebbero propri, ma potrebbero addirittura essere interpretati come una scarsa efficienza del microfono.

Quelle sbavature dell’eloquio, quelle indecisioni che frammentano il nostro umano dire non veicoleranno più significati, ma appariranno semplici disturbi informatici.

 

L’aspetto prossemico

Il Codice di Procedura Penale è un codice, innanzitutto, linguistico e prossemico.

In tutte le culture dell’uomo la gestione dello spazio e delle distanze spaziali connesse all’interazione comunicativa è veicolo di significato: l’avvicinamento, il distanziamento, la collocazione del soggetto parlante rispetto all’ascoltatore incide sulla comunicazione.

In questa prospettiva, dunque, il codice di rito disciplina non solo i tempi, i ruoli, i soggetti, le modalità, le forme e i contenuti degli enunciati che concorrono ad accertare il fatto (informazioni, notizie, annotazioni, dichiarazioni, verbali, domande, risposte, contestazioni, discussione...), ma disciplina soprattutto gli spazi, i riti, le formalità, le procedure che devono essere attuate da tali soggetti.

Disciplina, in sostanza, le azioni dei soggetti negli spazi deputati alla celebrazione del processo.

Purtroppo, il processo da remoto annulla lo spazio fisico della comunicazione perché abolisce, rade al suolo la geografia e la coreografia dell’aula di udienza. I luoghi all’interno dell’aula assegnati ai vari soggetti del processo hanno una funzione molto importante sotto un profilo comunicativo e, pertanto, determinante nell’attuazione del contraddittorio.

Ciascun soggetto che partecipa al processo conosce perfettamente la propria collocazione spaziale, il proprio confine oltre il quale non è consentito andare. Questi perimetri sono ben codificati non solo nella prassi ma nello stesso codice di rito (articolo 146 delle Disposizioni di attuazione del Codice di Procedura Penale).

L’attribuzione di specifici spazi non è casuale, ovvero retaggio di antichi protocolli. Essa, invece, è connessa alla tutela di talune garanzie di trasparenza del contraddittorio: lo spazio intercorrente tra le parti e il giudice consente loro di osservarsi reciprocamente e di verificare che la partecipazione al contraddittorio avvenga secondo modalità corrette.

La stessa precisa collocazione all’interno dell’aula della persona sottoposta a esame, come disposto dall’articolo 146 delle Disposizioni di attuazione del Codice di Procedura Penale, ha evidentemente una giustificazione di tipo prossemico: solo quella collocazione spaziale del testimone consente a tutte le parti di verificare gli aspetti non verbali della dichiarazione e a controllarne la genuinità.

Nello spazio dell’aula, inoltre, ciascun soggetto attua in prima persona una comunicazione “prossemica”.

A titolo di esempio, si pensi a quando il difensore si alza per formulare opposizione a una domanda. Lo stesso movimento di abbandonare la postazione seduta e di alzarsi in piedi è un atto comunicativo, attira l’attenzione del giudice sulla imminente formulazione dell’opposizione. Spesso il solo alzarsi dal banco è sufficiente perché il giudice interrompa la formulazione della domanda suggestiva in corso. La dimensione prossemica ha, pertanto, anche una funzione "economica", nel senso che riduce l’impegno comunicativo necessario per trasmettere un messaggio e rende spesso più fluida la complessiva interazione tra i soggetti.

La prossemica dell’udienza, cioè il significato e la gestione degli spazi al suo interno, ha un altro significato: dichiara la rilevanza “istituzionale” della comunicazione che ivi si svolge. Quegli spazi distanziati tra i soggetti del procedimento, la loro precisa collocazione nell’aula, consentono di attuare forme di ritualizzazione, di standardizzazione, di routine nelle interazioni, che vengono così sottratte al rischio incontrollato di continue negoziazioni tra le parti, tipiche delle interazioni informali.

Tali spazi, per quanto inseriti in contesti ritualizzati, garantiscono scorrevolezza e fluidità nelle dinamiche di gestione del contraddittorio, difficilmente attuabile con modalità più informali.

La remotizzazione del processo annullerà questi spazi fisici. I banchi del giudice e delle parti saranno virtualmente collocati all’interno di uno schermo. Il loro reciproco posizionamento sarà casuale all’interno del monitor (probabilmente variabile a seconda della piattaforma informatica usata) e non sarà più connesso a esigenze di controllo reciproco e di garanzia sulla trasparenza del contraddittorio, garanzia che di fatto sarà difficile tutelare.

Verrà in tal modo sottratto a tutti i protagonisti la possibilità di verificare la genuinità della conduzione dell’esame o del controesame, pregiudicando così il corretto accertamento del fatto.

Ricordiamo il filosofo Joseph Priesley che diceva: “Più elaborati sono i nostri mezzi di comunicazione, meno comunichiamo”.

 

L’aspetto cinesico

Recenti studi dell’Università di Siena, Dipartimento di Scienze della Comunicazione, confermano un dato acquisito da tempo: circa il 70-80% delle informazioni che raggiungono la nostra corteccia cerebrale passa attraverso gli occhi, mentre solo il 30-20% giunge dall’orecchio.

La cinesica fa parte di quel complesso di codici che vengono usati insieme alla lingua per modificarne o sottolinearne alcuni significati oppure in sostituzione dello stesso linguaggio verbale. Essa riguarda i movimenti del corpo, come quelli di busto e gambe, di mani e braccia, della testa. Possono rientrare in questa categoria anche i micro-movimenti, come l’orientamento degli occhi, la contrazione delle labbra, la deglutizione della saliva e altri.

Essi costituiscono notoriamente strumenti che talvolta sostituiscono o coadiuvano il messaggio espresso con le parole: pensiamo ai cd. “gesti illustratori”, quei movimenti delle braccia che servono a illustrare l’informazione fornita verbalmente, a enfatizzare una particolare parola, a schematizzare nello spazio le parti di un processo logico, come quelli che esplicitano uno sforzo mnemonico, un segno di approvazione, la richiesta di prendere il turno di parola e altri.

Possono anche avere una funzione di “adattatore”, di adeguamento del corpo alla richiesta di soddisfazione di bisogni psichici o emotivi, permettendo di scaricare o di controllare l’emotività, l’ansia. Essi possono consistere nel mordersi le labbra, nello stringere le gambe, nel toccarsi la faccia o il naso, nell’aggiustarsi i capelli, nello strofinarsi le mani, nel muovere in continuazione la penna.             

È evidente come nel processo da remoto verrà di fatto impedita la possibilità di rilevare adeguatamente gli aspetti cinesici connessi all’enunciazione verbale.

Ricordiamo George Bernard Shaw: “L’unico grande problema della comunicazione è l’illusione che abbia avuto luogo”.

Il primo elemento impeditivo è necessariamente connesso all’inquadratura che risulterà dal monitor. È evidente come la trasmissione video della sola parte superiore del corpo (busto, testa e braccia) restituirà solo parzialmente la figura del soggetto che sta parlando, sottraendo la possibilità non solo di percepire i movimenti di altre parti del corpo (gambe, piedi, mani poste al di sotto dell’inquadratura), ma anche l’intera postura assunta dal soggetto dichiarante (si pensi alla precaria postura assunta dal testimone nella parte estrema del sedile di una sedia, significativamente definita “punto di fuga”).

Gli effetti drammatici connessi al processo da remoto appaiono ancor più gravi se consideriamo le testimonianze di soggetti cd. “deboli”: nei soggetti in condizioni di turbamento emotivo (persona che ha subito violenza o minaccia), ovvero affetti da disabilità o da ritardi psichici, ovvero da semplici difficoltà linguistiche dovute a condizioni socio-economiche disagiate la comunicazione non verbale non è affatto secondaria, accessoria, ma costituisce un canale che spesso sostituisce quello verbale. I soggetti socialmente più svantaggiati rischiano di non essere adeguatamente compresi e ascoltati nel corso di un’udienza a distanza, ampliandosi così il loro svantaggio sociale.

Con il processo da remoto assisteremo a una vera amputazione del flusso comunicativo, che consentirà solo di percepirne una minima parte, con conseguente incidenza sull’accertamento del fatto.

Concludiamo con la considerazione che: “Il 60% di tutta la comunicazione umana è non verbale: linguaggio del corpo. Il 30% è nel tono. Vale a dire che il 90% di quello che si comunica…non esce dalla nostra bocca”.

Scrive John Grisham: “In un’altra epoca forse il processo è stato veramente una pratica per la presentazione dei fatti, la ricerca della verità e l’imposizione della giustizia”.

Tutto ciò non avverrà con il processo da “remoto”.

Bibliografia essenziale

  • Graziella Tonfoni, L’intenzione comunicativa e interpretazione nelle conversazioni, in Studi Italiani di Linguistica Teorica e Applicata, 15, 1986.
  • T. Borowsky et al., Prosody Matters - Essays in Honor of Elisabeth Selkirk - Equinox Ed., 2012.
  • J. Harris Michael, Stefan Th. Gries, Viola G. Miglio, Prosody and its application to forensic linguistics, in LESLI, Linguistic Evidence in Security Law and Intelligence, Vol. 2, n.2, 2014.
  • Arne Wichmann, Grammaticalization and prosody, in The Oxford Handbook of Grammaticalization, Edited by Bernd Heine and Heiko Narrog, 2011.
  • Emil M. Cioran, Le tentazioni di esistere, Adelphi, 1984.
  • Paulho Coelho, Manuale del guerriero della luce, Zeffirelli, 1997.
  • Charles Darwin, L’origine della specie, Bollati Boringhieri, 2011.
  • John Grisham, L’ex avvocato, Mondadori.
  • Joe Paige, Il linguaggio del corpo, BabelKoob.