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Qualcosa di nuovo!

L’affannosa ricerca di qualcosa di nuovo che nasconde la disperazione. Bartolini lo scriveva nel 1967.
Amore e Psiche, Canova, 1793, Museo del Louvre, Parigi
Amore e Psiche, Canova, 1793, Museo del Louvre, Parigi

È la malattia del secolo, il sogno di tutti, il fine unico da perseguirsi: qualcosa di nuovo!

I partiti politici lo promettono ai loro elettori, lo chiedono ai loro intellettuali, lo cercano affannosamente nelle giovani leve: occorre al partito per il bene del paese: qualcosa di nuovo!

Gli intellettuali di tutte le confessioni, con o senza impegno, di destra o di sinistra, trascurano la realtà per stare a testa in su, per vedere se per caso passasse al volo, si potesse afferrare e divulgare, una idea, l’idea che avesse: qualcosa di nuovo!

Gli artisti fanno pazzie e cambiano, cambiano programmi fatti di niente, devono riuscire a portare nei versi, sulle tele, nel bronzo: qualcosa di nuovo!

E gli uomini, gli uomini comuni non più paghi del lavoro, della famiglia, dei semplici salubri svaghi, aspettano dai politici, dagli artisti, da chi sa chi: qualcosa di nuovo!

Qualcosa di nuovo, che monotono ritornello, che tristezza sentirlo ripetere incessantemente da giovani e vecchi. Questa avvilente ricerca, ormai contamina tutto.

È il segno dei tempi, di un tempo senza Dio, un tempo dove gli uomini si sono ridotti a nutrire soltanto i loro sensi, che divengono sempre più stanchi e insoddisfatti di tutto. Ma di nuovo non c’è niente, proprio niente, eccettuato forse il voluto disordine, la stupidità di far cose contro la logica, banalità che restano esempi dalla breve vita, che non giovano a nessuno. La saggezza è antica o non ha tempo; l’amore, quello vero, si pasce di pensieri e moti vecchi quanto l’uomo; e la bellezza, per essere veramente tale, deve superare le mode e il gusto troppo legato al momento.

Si cerca qualcosa di nuovo, no, si crede di cercare questo nuovo; in realtà, si cerca soltanto qualcosa.

Si cerca quel che l’uomo ha perduto: il legame con la natura. Quel legame che ci assimilava all’ordine del creato, che ci faceva partecipi del divenire del mondo, di quel mondo che rinnova ad ogni alba che sorge. Perduto questo legame, l’uomo è tornato un animale più meschino di quanto non lo fosse nel mattino delle sue origini, e in più si è fatta una gabbia con le proprie mani, le sbarre possono chiamarsi coi differenti nomi del benessere ma lo stringono sempre più da presso.

La novità, la vera novità che non occorre cercare, consiste nella vita stessa, in questo irripetibile atto che muta di attimo in attimo mantenendo così intatto lo stupore di sentirsi vivi; di sapersi segno di un atto divino, particolare di un grandioso disegno iniziato chissà quando e che finirà, se finirà, chissà quando.

Qualcosa di nuovo! Quando non c’è il tempo, nel breve volger di una vita, per scoprire, conoscere, apprezzare tutte le cose che ci circondano e che c’erano prima di noi. Ma se la saggezza non ha tempo, se l’amore non conosce novità, se la bellezza è un sogno antico, che cosa potrebbe mai essere questo qualcosa di nuovo?

Non sarà per caso già tra noi sotto un aspetto che si rivela poco a poco e con l’unica novità della sua predominanza su tutto? Questo qualcosa di nuovo non sarà per caso la disperazione? La disperazione che prende il posto del dolore rifiutato dagli uomini, eppure condizione necessaria alla vera vita.      

Tutto feconda il dolore e noi lo abbiamo, non combattuto e vinto, ma rifiutato. Così la disperazione è tra noi; forse è lei, proprio lei, che ha portato in noi questa ricerca ossessiva di “Qualcosa di nuovo”.

 

Totalità - FI, 1967 n° 4