Responsabilità - Corte di Cassazione: è omicidio colposo se lo psichiatra non vigila sul paziente con problemi psichici
La Cassazione si è pronunciata in merito ad un argomento spinoso e controverso: la responsabilità colposa dello psichiatra il quale sia chiamato a vigilare su un paziente con evidenti disturbi psichici.
La Corte ha stabilito che il medico psichiatra deve ritenersi titolare di una posizione di garanzia nei confronti del paziente (anche se non sottoposto a ricovero coatto). Di conseguenza lo stesso, quando ricorra il fondato timore di condotte auto lesive o suicidiarie da parte del paziente, deve apprestare nei suoi confronti specifiche cautele.
Nel caso di specie la Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi sul ricorso di uno psichiatra, il quale era stato condannato in secondo grado per omicidio colposo, avendo omesso di vigilare adeguatamente sulla paziente a lui sottoposta, la quale si era tolta la vita lanciandosi da un’impalcatura esterna dell’istituto presso il quale era ricoverata.
Egli lamentava vari vizi di motivazione riguardanti la sentenza pronunciata dalla Corte d’appello di Catania. Il giudice territoriale, infatti, aveva ricompreso nell’ambito di prevedibilità dell’agente il rischio suicidario che si era poi effettivamente realizzato. Affermazione fondata, secondo il ricorrente, su elementi di fatto del tutto estranei alla vicenda in esame.
L’imputato, infine, si doleva del fatto che la Corte d’appello non avesse ricondotto la sua asserita condotta colposa all’alveo della colpa lieve, che a seguito della Legge 189/2012 risulta del tutto irrilevante dal punto di vista penale. Egli inoltre adduceva la difficoltà di poter prevenire gesti inconsulti da parte della paziente senza mettere in atto condotte lesive della sua dignità.
Dalla ricostruzione dei fatti, la Corte ha respinto il ricorso, ritenendo i relativi motivi infondati.
La Cassazione ha infatti affermato, confermando la propria rigorosa giurisprudenza in casi simili, che: “il medico psichiatra deve ritenersi titolare di una posizione di garanzia nei confronti del paziente (anche là dove quest’ultimo non sia sottoposto a ricovero coatto), con la conseguenza che lo stesso, quando sussista il concreto rischio di condotte autolesive, anche suicidiarie, è tenuto ad apprestare specifiche cautele” (Sez. 4, Sentenza n. 48292 del 27/11/2008, Rv. 242390).
Quanto agli estremi della colpa, secondo la Cassazione, la colpa lieve era da escludere, essendo ormai da tempo evidente che la paziente in questione soffrisse di una depressione del tono d’umore, e le sue tendenze al suicidio erano state già attestate anche dalla cartella clinica.
Sarebbe stata dunque opportuna una vigilanza appropriata sulla paziente, in presenza della quale l’evento lesivo non si sarebbe verificato con certezza, sulla base di una valutazione prognostica.
La Cassazione ha dunque confermato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui il medico ha l’obbligo di apprestare specifiche cautele qualora sussista il fondato pericolo di condotte autolesive da parte del paziente.
(Corte di Cassazione, Sezione Quarta Penale, Sentenza 1 agosto 2016, n. 33609)
La Cassazione si è pronunciata in merito ad un argomento spinoso e controverso: la responsabilità colposa dello psichiatra il quale sia chiamato a vigilare su un paziente con evidenti disturbi psichici.
La Corte ha stabilito che il medico psichiatra deve ritenersi titolare di una posizione di garanzia nei confronti del paziente (anche se non sottoposto a ricovero coatto). Di conseguenza lo stesso, quando ricorra il fondato timore di condotte auto lesive o suicidiarie da parte del paziente, deve apprestare nei suoi confronti specifiche cautele.
Nel caso di specie la Suprema Corte è stata chiamata a pronunciarsi sul ricorso di uno psichiatra, il quale era stato condannato in secondo grado per omicidio colposo, avendo omesso di vigilare adeguatamente sulla paziente a lui sottoposta, la quale si era tolta la vita lanciandosi da un’impalcatura esterna dell’istituto presso il quale era ricoverata.
Egli lamentava vari vizi di motivazione riguardanti la sentenza pronunciata dalla Corte d’appello di Catania. Il giudice territoriale, infatti, aveva ricompreso nell’ambito di prevedibilità dell’agente il rischio suicidario che si era poi effettivamente realizzato. Affermazione fondata, secondo il ricorrente, su elementi di fatto del tutto estranei alla vicenda in esame.
L’imputato, infine, si doleva del fatto che la Corte d’appello non avesse ricondotto la sua asserita condotta colposa all’alveo della colpa lieve, che a seguito della Legge 189/2012 risulta del tutto irrilevante dal punto di vista penale. Egli inoltre adduceva la difficoltà di poter prevenire gesti inconsulti da parte della paziente senza mettere in atto condotte lesive della sua dignità.
Dalla ricostruzione dei fatti, la Corte ha respinto il ricorso, ritenendo i relativi motivi infondati.
La Cassazione ha infatti affermato, confermando la propria rigorosa giurisprudenza in casi simili, che: “il medico psichiatra deve ritenersi titolare di una posizione di garanzia nei confronti del paziente (anche là dove quest’ultimo non sia sottoposto a ricovero coatto), con la conseguenza che lo stesso, quando sussista il concreto rischio di condotte autolesive, anche suicidiarie, è tenuto ad apprestare specifiche cautele” (Sez. 4, Sentenza n. 48292 del 27/11/2008, Rv. 242390).
Quanto agli estremi della colpa, secondo la Cassazione, la colpa lieve era da escludere, essendo ormai da tempo evidente che la paziente in questione soffrisse di una depressione del tono d’umore, e le sue tendenze al suicidio erano state già attestate anche dalla cartella clinica.
Sarebbe stata dunque opportuna una vigilanza appropriata sulla paziente, in presenza della quale l’evento lesivo non si sarebbe verificato con certezza, sulla base di una valutazione prognostica.
La Cassazione ha dunque confermato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui il medico ha l’obbligo di apprestare specifiche cautele qualora sussista il fondato pericolo di condotte autolesive da parte del paziente.
(Corte di Cassazione, Sezione Quarta Penale, Sentenza 1 agosto 2016, n. 33609)