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Retratto successorio. Problemi applicativi

L’istituto del retratto successorio, previsto dal cod. civ. all’art. 732, si inserisce nell’ambito delle disposizioni generali che regolano la divisione ereditaria (libro II, titolo IV, capo I). In questo articolo si tratteranno alcuni degli aspetti e delle problematiche dell’istituto sui quali dottrina e giurisprudenza si sono soffermati negli ultimi anni. Iniziando dalla funzione del retratto, essa sembra essere quella di impedire che degli estranei si intromettano nella comunione ereditaria che si determina al momento dell’apertura della successione.

Riguardo allo SCOPO, Alcuni autori ritengono che sia quello di evitare la speculazione che estranei al rapporto familiare potrebbero perseguire con l’acquisto della quota. Altri (CAPOZZI, Successioni e donazioni, 2002, 735) sostengono che lo scopo sia quello di facilitare le operazioni divisionali, evitando l’insorgere di liti fra coeredi che potrebbero essere anche estranei alla famiglia.

PRESUPPOSTI di applicabilità del 732 sono: 1. esistenza di una comunione ereditaria; 2. alienazione di (tutta o parte della) quota ereditaria; 3. alienazione ad un estraneo alla comunione ereditaria (non si ha prelazione ex art.732 se la quota è alienata ad un coerede, ad un soggetto facente parte della comunione ereditaria).

Veniamo ora ad analizzare i primi due presupposti.

1. esistenza di una comunione ereditaria: secondo la giurisprudenza consolidata ( si veda Cass. 23 febbraio 2007, n. 4224), “IL RETRATTO SUCCESSORIO DI CUI ALL’ART. 732 C.C. SI APPLICA SOLAMENTE ALLA COMUNIONE EREDITARIA”e non quindi alle comunioni ordinarie ( anche Cass.22.10.1992 n. 11551 così) né alla prelazione stabilita fra i coeredi (con meri effetti obbligatori) sui beni oggetto dell’asse dopo la divisione del patrimonio ereditario ( Cass. 6.11.1987 n. 8221; Cass.28.7.1983 n. 5213 in Foro ital.1983, I, 2770).

2. alienazione di tutta o parte della quota ereditaria. Oggetto della prelazione è la quota ereditaria, per cui non scatta prelazione quando ad essere alienato è il singolo bene ereditario (cd. ALIENAZIONE DELL’ESITO DIVISIONALE). Si ha prelazione solo quando un coerede trasferisca la propria quota o frazione di essa e non quando trasferisca singoli beni ereditari. Non da luogo, pertanto, alla prelazione la alienazione di una quota relativa ad uno qualsiasi dei vari beni che compongono l’asse ereditario. A dire la verità si discute se addirittura sia possibile una simile alienazione. Al riguardo sono state avanzate varie tesi: • Secondo un orientamento il singolo coerede non può considerarsi titolare di una quota di comproprietà su ciascun cespite ereditario, ma soltanto di una quota riferita all’intera massa ereditaria, con la conseguenza che deve essere negata la possibilità stessa di compiere atti di disposizione della quota su singolo bene ereditario; • Secondo un altro orientamento invece il singolo coerede va considerato titolare di una quota di comproprietà su ciascun cespite ereditario, con la conseguenza che lo stesso potrà liberamente compiere atti di disposizione della quota su singolo bene ereditario; • In giurisprudenza, pur seguendo quest’ultimo orientamento, si è ritenuto che la vendita di un bene, facente parte di una comunione ereditaria, da parte di uno solo dei coeredi, produca sempre e solamente effetti obbligatori, in quanto la sua efficacia rimane subordinata all’assegnazione, in sede di divisione, di quel bene al coerede alienante; pertanto fino a tale assegnazione il bene continua a fare parte della comunione ereditaria, non potendo l’acquirente acquistare la proprietà esclusiva dello stesso (v. Cass. 1 luglio 2002 n. 9543); in dottrina peraltro non è mancato chi invece ha riconosciuto a detta vendita immediato effetto traslativo. ALIENAZIONE DI SINGOLO BENE EREDITARIO. Occorre tuttavia non fermarsi alle apparenze. Infatti, l’indicazione di beni determinati nel contratto di alienazione non esclude di per sé l’ipotesi di trasferimento della quota ereditaria o di parte di essa. Occorre verificare, in base all’interpretazione del contratto, se l’intento dei contraenti è stato di cedere la misura della partecipazione alla comunione ereditaria (cioè la quota ereditaria, sostituendo così nella comunione ereditaria il terzo estraneo al coerede alienante) oppure la quota parte sul bene con riferimento all’esito della divisione (così Cass. N. 13704 del 7 DICEMBRE 1999; Cass.7.8.2002 n.11881). Per verificare l’intento occorre (Cass. 30.12.1992 n.11809 in Rep.Foro it.1992, Divisione,12) effettuare un’indagine sull’effettiva volontà delle parti, e a tal fine si deve tener conto sia di elementi soggettivi ( compreso il comportamento delle parti dopo il negozio) sia di elementi oggettivi ( quali la consistenza del patrimonio ereditario ed il rapporto tra questo e l’entità delle cose alienate). Anche qui ritorna, come nel criterio della “maggior parte dei beni”, il criterio quantitativo dei beni.

Passiamo ora ad esaminare gli ATTI SOGGETTI a prelazione ereditaria.

Alcuni (Morello, D’Orazi Flavoni) ritengono che l’unico atto che dia luogo a prelazione sia solo la vendita perché l’art. 732 parla di alienazione e di prezzo. Altri (Cicu, Messineo) annoverano tutti i contratti di scambio, perché l’espressione “prezzo” significherebbe “valore di scambio del bene”. La dottrina prevalente e preferibile afferma che sono soggetti a prelazione tutti i negozi traslativi a titolo oneroso caratterizzati dalla fungibilità della prestazione, cioè tutti quei negozi in cui la prestazione possa essere eseguita dal prelazionario come da qualsiasi altro acquirente (Capozzi, Successioni e donazioni , 2002, 741), in quanto chi esercita la prelazione si sostituisce nel contratto di alienazione stipulato fra coerede-alienante ed estraneo-acquirente nella stessa posizione di quest’ultimo. Nella VENDITA della PIENA PROPRIETà, di certo vi è prelazione, data la stessa lettera del 732 ( che parla di alienazione, di prezzo). Nella VENDITA della NUDA PROPRIETà (Capozzi, Successioni e donazioni, 741, Cass.24.7.1964 n.2008 in Foro Padano 1964,I,1235) anche vi sarebbe prelazione, perché vi è comunque alienazione che comporterà acquisto futuro ma certo della piena proprietà. È acquisto che fa avvicinare alla piena proprietà, la cui acquisizione è soltanto differita nel tempo. A contrario, non sembrerebbe esservi prelazione per la cessione dell’USUFRUTTO SULLA QUOTA, oltre che perché è un diritto limitato e temporaneo, non idoneo a far entrare l’acquirente nella comunione ereditaria, anche perché la legge all’art. 732, a differenza che nell’art.230bis c.c., parla di sola alienazione e non di trasferimento. Si potrebbe porre un altro problema (ed in tal caso penso possa scattare la prelazione), laddove l’alienante sia usufruttuario della quota ereditaria e venga considerato in questa qualità come coerede (è però opinione minoritaria quella che l’ usufruttuario della quota o dell’intera eredità sia erede, ritenendo l’opinione prevalente l’usufruttuario come legatario v.Capozzi Successioni e donazioni, 49-50). Nella VENDITA CON PATTO DI RISCATTO (Capozzi Successioni e donazioni 742, Triola in Vita not.1979, 810), si ritene che vi sia prelazione in quanto è vendita che, in pendenza del termine per esercitare il riscatto, produce gli effetti reali di una normale vendita. Solo che l’eventuale retratto potrà esercitarsi fin quando il venditore non abbia esercitato il proprio diritto di riscatto, che fa rientrare la quota venduta nel proprio patrimonio retroattivamente e che fa venir meno l’alienazione ed il presupposto del diritto ex art.732. Se invece il riscatto del venditore non viene esercitato, il prelazionario, finchè dura lo stato di comunione ereditaria, potrà esercitare il diritto di retratto.

Nella VENDITA CON RISERVA DI PROPRIETà, si ritiene che vi possa essere il retratto (sempre che duri lo stato di comunione ereditaria), dopo che il compratore avrà acquistato la proprietà, pagando l’ultima rata di prezzo ex art. 1523 (Capozzi, Successioni e donazioni, 742). Sembra che, interpretando rigidamente l’art. 732, non vi sia l’obbligo di denuntiatio perché non c’è, al momento della vendita, l’alienazione della quota. Tuttavia, l’inciso “vuole alienare” farebbe pensare a un obbligo di denuntiatio, perché si vorrebbe comprendere ogni ipotesi di volontà di alienazione da parte del coerede-alienante, anche se gli effetti reali di questa alienazione si produrranno successivamente alla stessa. Inoltre, l’obbligo di denuntiatio è sempre anteriore all’alienazione, solo il retratto è successivo. Pertanto sembra prudente considerare che vi sia il diritto di prelazione.

Per il contratto PRELIMINARE di vendita di quota, dove vi sono solo effetti obbligatori, sembra invece non sussistere la prelazione, né l’obbligo di denuntiatio, in quanto anche la volontà di alienare è soltanto in divenire, occorrendo un’ulteriore manifestazione di volontà per il prodursi dell’effetto traslativo, a differenza della vendita con riserva di proprietà.

Per la RENDITA VITALIZIA, si ritiene vi sia prelazione perché, astrattamente, l’alienante della quota ereditaria può ricevere il vitalizio sia dal terzo estraneo che dal prelazionario. Anche qui si porrà un problema di fungibilità della controprestazione. L’ipotesi a mio avviso più controversa è quella della DATIO IN SOLUTUM, sulla quale discordi sono le opinioni. Il problema sta nell’affermazione o no della parità di condizioni (principio esistente secondo la dottrina in questo tipo di prelazione: v. Corsi, 79 Notariato 1/1998) nell’ipotesi della datio.

Una 1^tesi (Cass. 24 luglio 1959 n. 2076) ritiene che sussista prelazione almeno quando la prestazione originaria dovuta dal debitore-coerede-alienante sia fungibile (es.Tizio deve a Caio 100 euro), perché la prestazione originaria ben potrebbe essere eseguita dal prelazionario-coerede.

Una 2^tesi (Capozzi, Successioni e donazioni, 742) esclude che qui sussista la prelazione, perché si tratterebbe di una mera parità economica ma non giuridica, non potendo il coerede-prelazionario divenire parte del negozio di datio in solutum. La critica, a mio avviso, è molto fondata e vale per tutte le ipotesi di datio in solutum, sia o non la prestazione originaria fungibile. Se infatti Tizio deve a Caio 100 euro e successivamente convengono, ex art.1197 c.c., che Tizio alieni allo stesso Caio la sua quota ereditaria, gli altri coeredi potrebbero offrire a Tizio di dargli i 100 euro che servono per pagare il creditore Caio in cambio della quota ereditaria che Tizio vuole alienare a Caio. Ma in tal caso, se Tizio pagasse Caio con i 100 euro ottenuti, non si avrebbe più datio in solutum, bensì adempimento in senso stretto dell’originaria obbligazione. Così anche se gli altri coeredi pagassero direttamente a Caio i 100 euro originariamente dovuti, si avrebbe un adempimento di terzi, e non più datio in solutum. Lo stesso discorso può essere ripetuto per la datio in solutum in tutte le altre ipotesi di prelazione, compresa quella ex art.230bis c.c. (se voglio alienare l’azienda, in corrispettivo della mia liberazione dal debito pregresso, non vi sarà più datio in solutum qualora l’adempimento non si realizzi con l’alienazione dell’azienda ma con l’adempimento della prestazione originaria).

D’altronde si potrebbe replicare che così argomentando si eluderebbe l’applicazione della prelazione. In realtà, bisognerebbe comunque trovare l’originario creditore disponibile alla datio in solutum, e quindi a ricevere qualcosa ( cioè la quota ereditaria) di diverso da quanto originariamente pattuito. Inoltre, si fa sempre l’ipotesi che il debitore-alienante di quota o di azienda ottenga dai presunti prelazionari la stessa prestazione fungibile (quale il denaro) originariamente dovuta al creditore, consentendogli, come detto, di pagarlo. Ma non si considera l’ipotesi in cui la quota ereditaria o l’azienda ceduta al prelazionario porti ad un corrispettivo inferiore a quello originariamente pattuito. In tal caso il creditore probabilmente rifiuterà l’adempimento, anche perché se era disposto a ricevere una quota ereditaria o un’azienda il cui valore era inferiore a quanto dovuto in origine, proprio perché voleva quel bene determinato (quota ereditaria), non avrà conseguito lo stesso risultato quando riceverà l’equivalente della quota o azienda alienata. Lo stesso ragionamento probabilmente sembra seguito, seppur in tema di prelazione agraria, da Cass. 31 gennaio 1986 n. 629.

Per la PERMUTA si distingue: vi sarebbe prelazione quando la controprestazione è fungibile (es.si cede in permuta la quota in cambio di 100 kg di grano), ed è quindi possibile che possa essere prestata anche dal prelazionario. Non vi sarebbe prelazione, viceversa, quando la controprestazione è infungibile (es. in cambio della quota voglio il quadro di Picasso che solo Tizio possiede). Si discute inoltre sull’operatività della prelazione in tema di VENDITA FORZATA (Capozzi, Auciello Successioni e donazioni, casistica, 2004, caso n. 272). Una 1^tesi (dottrina minoritaria, Cass. 30 gennaio 1986 n. 596 in Vita not. 1986, 179) ritiene che vi sia prelazione perché : 1. vi è in ogni caso un’alienazione; 2. Il contenuto di ogni prelazione deve consistere sempre nella facoltà di acquistare il bene a parità di condizioni con altro possibile acquirente ed a preferenza di questi. Non si può quindi danneggiare i prelazionari, tutelati dalla legge. 3. la legge 590/1965 in tema di prelazione agraria, all’art.8 c.2, vieta espressamente la prelazione negli atti di trasferimento coattivo. La mancata riproduzione di questo divieto nell’art. 732 significherebbe che per questa fattispecie, la legge ha voluto che ci fosse prelazione. Una 2^tesi (prevalente), al contrario, sostiene che non vi possa essere prelazione perché 1. il fondamento pubblicistico della vendita forzata non consente deroghe alla regola della vendita all’incanto, per cui l’organo esecutivo non potrebbe fare la denuntiatio ai coeredi, come ritiene l’avversa dottrina; 2. il 732 parla di “vuole alienare”, facendo intendere solo le ipotesi di alienazione volontaria. Tale non è l’esecuzione forzata. 3. l’ art.732 pone limite all’autonomia privata, come tutte le prelazioni, per cui tutte le norme che prevedono prelazioni legali devono essere restrittivamente interpretate, come norme eccezionali non suscettibili di interpretazione analogica ex art.14 preleggi.

Per quanto concerne la TRANSAZIONE, la tesi che prevale ritiene che non vi sia prelazione perché manca la parità di condizioni fra il terzo e i coeredi. Il terzo è infatti parte della lite che si va a comporre con la transazione, e i coeredi non potrebbero sostituirsi ad esso, diventando parti di un accordo transattivo a cui sono estranei. Non potrebbero cioè, sostituendosi al terzo, realizzare lo stesso interesse del coerede-alienante la quota ereditaria a comporre la lite insorta o insorgenda, in quanto non sono parti di quel rapporto litigioso da comporre e non possono fare concessioni riguardo a quel rapporto. Né possono sostituirsi solo per l’alienazione della quota, in quanto, in questo caso non costituisce negozio autonomo, ma solo elemento di un negozio più complesso dal quale non può separarsi.

Trasferimento mortis causa della quota

Si ritiene che non vi sia prelazione per l’incompatibilità fra le fattispecie perché: A.non sarebbe possibile accordare una preferenza nell’acquisto mancando parità di condizioni e determinazione del prezzo. B. 732 parla di alienazione, espressione che si contrappone all’idea e al concetto di successione.

Per il CONFERIMENTO in società, la tesi prevalente ritiene che non sussista PRELAZIONE perché non opera la parità di condizioni. Si riceve, conferendo quota o azienda, la partecipazione alla società, che non è possibile ricevere da altro soggetto. Un’eccezione vi sarebbe quando il prelazionario ha la stessa partecipazione che vuole l’alienante, e vi sarebbe quindi un corrispettivo fungibile, così come quando il valore della partecipazione possa essere monetizzato e dato un corrispettivo equivalente. Ma anche qui il discorso è lo stesso della datio in solutum: vi sarà solo una parità economica, ma il negozio non sarà più di conferimento in società, ma sarà convertito in un normale negozio di cessione di partecipazione sociale o di vendita.

Anche per la DONAZIONE, si ritiene in prevalenza e preferibilmente che non sussista prelazione in quanto manca la parità di condizioni fra donatario e prelazionario. Taluno sostiene che, determinando il valore della quota donata, il prelazionario potrebbe pagare l’equivalente, esercitando così il suo diritto. E’ agevole replicare che con ciò si avrebbe una conversione del negozio, da donazione in vendita, e che la legge all’art. 732 parla espressamente di alienazione con un corrispettivo. D’altronde si frusterebbe l’interesse del donante di beneficiare con un dato bene una certa persona e non altre ( rilevanza del c.d. intuitu personae).

Veniamo ora all’esame del RETRATTO.

Il diritto di retratto (detto anche comunemente di riscatto) ha natura di diritto potestativo, si esercita con una dichiarazione negoziale recettizia (Cass.14.4.2003 n.7404) comunicata al terzo acquirente (retrattato). Si ritiene libera la forma, in virtù del generale principio di libertà formale, salva la forma scritta quando la quota da riscattare comprenda beni immobili. Il retratto si può esercitare, ex art. 732, “finchè dura lo stato di comunione ereditaria”. Si ritiene che l’esercizio di tale diritto di riscatto sia comunque soggetto al termine ordinario di prescrizione decennale (in questo senso Cass. 23.1.1988 n. 519) decorrente da quando il diritto può essere fatto valere, cioè dal momento dell’alienazione della quota. Non si ritiene ammissibile il retratto parziale perchè altrimenti mancherebbe la parità di condizioni fra terzo acquirente e retrattante. L’effetto del retratto consiste nella sostituzione del retraente nella posizione del retrattato. Tuttavia si discute se questa sostituzione abbia o meno effetti retroattivi (l’opinione che sembra prevalere sostiene la retroattività) e se sia acquirente dal coerede alienante (secondo l’ opinione che sembra prevalente) o dal terzo estraneo. Le conseguenze pratiche di questo dibattito si vedono in tema di simulazione (v. infra) e di trascrizione (se si considera l’acquisto fatto dall’alienante, ex tunc, nessuna trascrizione dell’acquisto fatto da parte del prelazionario, in esercizio della prelazione, sarà dovuta [sembrerebbe la tesi prevalente]; se invece l’acquisto si considera fatto dal terzo-estraneo ex nunc, il prelazionario-retraente dovrà trascrivere il suo acquisto per prevalere nei confronti degli aventi causa dal terzo [così Corsi, Notariato 1/1998,81; Gazzoni,La trascrizione immobiliare, Milano, 1991, 611 e 612]

Un problema di applicazione del retratto è in tema di DIVISIONE DEL TESTATORE (Art. 734 c.c.), ed è sintetizzabile nel seguente quesito. Testatore che divide i 2 beni fra 3 nipoti, dandone uno in comunione fra 2 di essi: che tipo di comunione si instaura su detto bene?

Una 1^ tesi, minoritaria (Azzariti), ritiene che si instauri comunione ereditaria con applicazione dell’art.732, perchè la comunione è pur sempre derivante da una successione mortis causa, non rilevando che i beni siano stati parzialmente divisi.

Una 2^tesi, sostenuta dalla giurisprudenza, ritiene invece che si instauri una comunione ordinaria, e che quindi non si applichi il 732 perché: 1. l’art.732 è norma singolare, eccezionale che pone limiti alla libertà di circolazione dei beni, e pertanto è da interpretare restrittivamente (come fa peraltro la giurisprudenza anche in altre ipotesi) 2. comunione de quo nasce da titolo (la divisione fatta dal testatore) che ha proprio per scopo di impedire la nascita di una comunione ereditaria.

Altro problema: in caso di divisione oggettivamente parziale (i coeredi dividono solo una parte dei beni caduti in comunione ereditaria) si applica il 732 sui beni rimasti in comunione? Al riguardo vi sono 2 tesi.

1^ tesi (minoritaria, Azzariti in Riv.dir.civ. 1969,II,441): I beni caduti in comunione ereditaria rimangono tali fin quando non vi sia una divisione integrale perchè la comunione è pur sempre derivante da una successione mortis causa, non rilevando che i beni siano stati parzialmente divisi.

2^tesi (sostenuta dalla giurisprudenza) : se i coeredi hanno diviso la maggior parte dei beni dell’asse ereditario, la comunione che rimane sui beni residui si trasforma da comunione ereditaria in comunione ordinaria e non si applica più l’art. 732 (Cass. 21.4.1997 n. 324 ; Cass. 13.9.2004 n. 18351; Cass.6.5.2005 n. 9522 in Giust.civ. Mass. 2005, 5; Cass. 9.1.2007 n.215; Cass. 23 febbraio 2007, n. 4224; Capozzi, Successioni e donazioni, 739).

Secondo Cass. 6.5.2005 n. 9522, la cui massima viene ripresa dalla successiva giurisprudenza di Cassazione (da ultimo Cass. 23.02.2007 n. 4224), “ la comunione ereditaria non si trasforma in comunione ordinaria per il fatto che vi sia in essa un unico bene immobile né per la circostanza che alcuni dei coeredi abbiano ceduto ad estranei le loro rispettive quote. Conseguenza è che, anche in tali ipotesi, la divisione deve aver luogo secondo le norme sulla divisione ereditaria.

Solamente quando siano state compiute le operazioni divisionali, dirette ad eliminare la MAGGIOR PARTE delle varie componenti dell’asse ereditario, in comunione al tempo dell’apertura della successione, la comunione residuale sui beni ereditari si trasforma in comunione ordinaria, con conseguente inapplicabilità dell’art.732, che postula la persistenza dello stato di comunione dell’eredità”

Sorge, a mio avviso, da tale impostazione, problemi enormi, non considerati dalla giurisprudenza: come si fa a stabilire in un patrimonio ereditario “la maggior parte” (si calcola il valore singolo dei cespiti o vengono considerati nella loro individualità?)? Ma soprattutto, come si fa a sapere se, intervenuta la divisione pro parte dell’eredità, sui beni residui da alienare scatti il diritto di prelazione? (es. il testatore lascia 4 beni in comunione ai suoi 3 coeredi, che procedendo a divisione parziale si assegnano rispettivamente i primi 3 cespiti. Il quarto rimane ancora in comunione, che secondo la giurisprudenza prevalente sarebbe in comunione ordinaria. Ma se uno dei coeredi volesse vendere la sua quota di eredità, che di fatto comprenderebbe la quota sull’unico immobile ancora rimasto in comunione, non scatterebbe, secondo la giurisprudenza prevalente, il diritto di prelazione). Si pongono quindi seri problemi operativi.

Sempre in giurisprudenza si afferma che “se si aliena l’UNICO BENE facente parte dell’asse ereditario, si PRESUME l’alienazione della corrispondente quota ereditaria, con la conseguente applicabilità dell’art.732, salvo che il retrattato (colui che subisce il retratto, cioè il terzo acquirente) dimostri che l’alienazione invece ha ad oggetto un bene a sé stante” (Cass.4.4.2003 n.5320; Cass. 30.1.2006 n.1852; Cass. 9.1.2007 n.215). Sorge quindi, in questo caso (cioè quando l’immobile, la cui quota venga alienata, costituisca l’unico bene dell’asse ereditario), una presunzione semplice (suscettibile di prova contraria) circa l’intervenuta cessione della quota ereditaria. Tuttavia, alla luce delle considerazioni che precedono e del criterio giurisprudenziale della “maggior parte”, non è sicuro neanche in questo caso che si possa ancora parlare di cessione di quota ereditaria, in quanto, nel momento in cui il cespite, la cui quota ideale viene alienata, si riduce ad essere l’unico bene rimasto in comune tra i coeredi (a seguito di divisione parziale o di alienazione degli altri beni) la comunione ereditaria si trasformerebbe in comunione ordinaria. Bisognerebbe quindi andare a vedere com’è che il cespite da alienare sia l’unico facente parte del compendio ereditario. Di nuovo problemi quindi alla luce del summenzionato criterio giurisprudenziale. Altro problema è se si applica l’art. 732 quando il coerede abbia trasferito ad un estraneo la sua quota indivisa di tutti i beni che compongono il patrimonio ereditario con DISTINTI atti di alienazione intervenuti a distanza di tempo. Secondo Cass. 24.4.1992 n. 4941 in Giust.Civ. 1992, 628: è il giudice di merito che deve valutare i diversi atti sia nel loro complesso, per affermare o negare l’esistenza di un collegamento rilevante al fine dell’esistenza del diritto di riscatto ex art.732, sia singolarmente, per accertare se, in mancanza di qualsiasi collegamento, sussistano in relazione a ciascuno di essi atti i presupposti del riscatto. Anche qui quindi sorge un problema di interpretazione.

Legittimati ad esercitare il diritto di prelazione. Anche su questo punto, a discapito dell’apparentemente chiaro disposto dell’art.732 c.c., si sono delineate due tesi.

Una 1^tesi (prevalente: Cicu, Messineo, Capozzi, Rizzi Studio CNN n. 19-2007/C; giurisprudenza di legittimità prevalente tra cui Cass. 13.7.1983 n. 4777, Cass. 11.5.1993 n. 5374 e Cass.981/2000) sostiene che la prelazione ereditaria spetti esclusivamente ai coeredi. In giurisprudenza si è ritenuto che il diritto di prelazione ex art. 732 c.c. non compete agli eredi dei coeredi, ed è intrasmissibile a questi perché: 1. l’ art. 732 prevede un diritto personalissimo che, derogando al principio della libertà ed autonomia negoziale, non può estendersi al di là dell’ipotesi testualmente prevista di applicabilità al nucleo originario di coeredi; 2. gli eredi del coerede hanno un titolo di acquisto (la successione del prelazionario-coerede) diverso da quello (la successione dell’originario de cuius) dei comunisti ereditari ex art.732. Una 2^tesi invece (minoritaria: Iudica, Azzariti, Cariota Ferrara, Burdese, Visalli in Giust.civ.2001,10,2504) ritiene che la prelazione ereditaria spetti anche agli eredi dei coeredi perché 1. l’art.732 non distingue fra coeredi originari e sopravvenuti; 2.i diritti di prelazione e di riscatto sono diritti patrimoniali, e come tali sono trasmissibili agli eredi che succedono nell’universalità dei rapporti giuridici facenti capo al de cuius; 3. il 732 vuole tutelare i coeredi contro le alienazioni volontarie inter vivos della quota ereditaria, non tutela anche contro eventi come la successione mortis causa che sono involontari.

In tema di Sostituzione e Rappresentazione, gli unici Autori che si sono occupati del problema (Capozzi, Auciello Successioni e donazioni, casistica, 2004, caso n. 272) hanno ritenuto, in deroga all’intrasmissibilità del diritto di prelazione, che nei casi di sostituzione ordinaria e rappresentazione, tale diritto si trasmetta al sostituito e al rappresentante, perché essi sarebbero delati dell’originario de cuius, sebbene la delazione del sostituito sia condizionata alla mancata accettazione del primo istituito e la delazione del rappresentante sia indiretta. Detta opinione suscita perplessità, in quanto se deroga bene al motivo 2. (sui titoli ereditari diversi) della su riferita opinione prevalente, non altrettanto fa per il motivo 1. (diritto personalissimo). Inoltre la giurisprudenza tende ad interpretare sempre più restrittivamente l’art.732, limitandone il campo applicativo.

Si discute inoltre se l’art. 732 si applichi nell’ipotesi di trasmissione del diritto di accettare l’eredità ex art. 479 c.c., quando il chiamato alla stessa muoia prima di aver potuto accettare l’eredità e sia in comunione con altri chiamati. La tesi positiva si basa sul fatto che il trasmissario è automaticamente delato dell’originario de cuius, qualora accetti l’eredità del trasmittente. Se accetta l’eredità anche dell’originario de cuius diventa erede pro quota di quest’ultimo ex art.732. La tesi negativa si basa sull’idea che sia necessaria da parte del trasmissario l’accettazione dell’eredità del trasmittente per poter adire l’eredità dell’originario de cuius e che perciò vi sia un doppio passaggio: dall’ originario de cuius al trasmittente e da questi al trasmissario. Ciò escluderebbe l’applicazione del 732.

Rinunzie al diritto di prelazione e di retratto.

Rinunzia al diritto di prelazione. Si ritiene in generale possibile questa rinunzia, trattandosi di diritto patrimoniale, da farsi in qualsiasi forma (così anche Corsi, Notariato 1/1998, 78 che ritiene libera la forma anche se la quota è formata da immobili poiché il rinunziante non dispone direttamente di essi). Tuttavia si discute soprattutto sul momento della rinunzia.

Una 1^tesi (Cass.22.1.1994 n.624 in Nuova Giur.civ. comment.1994,I,498 con nota Regine e in Vita not.1994, 1368) la ritiene possibile anche prima della denuntiatio, sempre che il rinunciante sia a conoscenza delle relative condizioni sennò la rinunzia all’esercizio della prelazione sarebbe nulla per indeterminatezza dell’oggetto.

Una 2^tesi (Cass.14.1.1999 n.310 in Giust.civ.mass.1999,70; Capozzi, Successioni e donazioni, 746 e dottrina prevalente) distingue fra vera rinunzia alla prelazione, (che in quanto diritto esistente per il coerede dal momento dell’apertura della successione, è rinunziabile in ogni momento, anche prima della notifica della proposta di alienazione) e rinunzia alla proposta di alienazione (che è solo mancato esercizio della prelazione per quel caso specifico di alienazione). Conseguenza è che la rinunzia alla prelazione in generale consente all’alienante di disporre della quota liberamente, senza dover più notificare alcuna proposta anche se si decide di alienare a condizioni diverse, mentre la rinunzia alla proposta di alienazione obbliga comunque l’alienante ad una nuova notifica se si decide di alienare a condizioni diverse. La seconda tesi sembra preferibile anche perché la prima non sembra molto chiara e comunque sembra voler ammettere la rinunzia anche prima della notifica della proposta di alienazione. In sintesi sembra possibile rinunziare al diritto di prelazione in ogni momento.

Rinunzia al diritto di retratto.

Risulta pacifico che tale diritto possa essere oggetto di rinunzia, in quanto diritto disponibile. La rinunzia può essere espressa o tacita (Cass.26.7.1974; Cass.11.3.1975 n.900). La rinunzia al diritto di retratto non comporta necessariamente rinunzia del diritto di prelazione, in quanto in caso di violazione della prelazione, pur non potendo riscattare la quota si potrà ottenere il risarcimento dei danni (così Capozzi, Successioni e donazioni, 2002, 746; Corsi, Notariato 1/1998,74). Invece la rinunzia alla prelazione comporta di per sé rinunzia al diritto di retratto, in quanto il retratto è un modo di esercizio del diritto di prelazione.

RAPPORTI con le altre PRELAZIONI.

Il diritto di prelazione (e quello connesso di retratto) del coerede PREVALE sul diritto di prelazione del conduttore ex art.38 legge 392/1978 (così anche S.U. Cass. 2002 n. 11092; Cass.9.1.2007 n.215). Cass. 1988 n.3466 osserva che l’art.732 si riferisce ad una situazione giuridica differente (l’alienazione di quota ereditaria) rispetto a quella che costituisce presupposto per la prelazione del conduttore (trasferimento oneroso di immobile locato). Il diritto di prelazione ex art. 732 prevale anche qualora il coerede sia coltivatore diretto, sul diritto di prelazione del coltivatore diretto, mezzadro, colono o compartecipante, ex art. 8 u.c. L. 590/1965 (v.Cass. 21.4.1997 n. 3424 in Vita not. 1997, p.878 e in Dir. giur. agr. amb., 1997, 472). In realtà queste due forme di prevalenza, uniche nell’attuale disciplina delle prelazioni legali, sarebbero anche superflue (sembra in tal senso l’osservazione della Cass. 1988 n.3466 sopra citata) , dato che l’oggetto sia della c.d. prelazione commerciale che di quella agraria non è la quota ereditaria, come invece nella prelazione ereditaria, non ponendosi pertanto un problema di compatibilità. In realtà si è osservato (si vedano CORTI, Il sistema delle prelazioni in materia di impresa familiare, famiglia coltivatrice e comunione ereditaria, in Riv. dir. agr., 1994, 350; FERRARA, L’ordine di preferenza delle prelazioni legali, in Rass. dir. civ., 2005, 644., entrambe per l’ipotesi di prelazione agraria) che l’unica ipotesi di possibile conflitto su cui vanno ad incidere le regole dell’art. 38 legge 392/1978 e dell’ art. 8 u.c. L. 590/1965, sia quella dell’asse ereditario formato da un unico immobile, sia esso immobile locato ad uso non abitativo o fondo agricolo oggetto di altrui godimento, di cui si voglia alienare una quota (si è detto infatti che in tal caso si presume che alienando la quota sull’immobile si sia alienata la quota sull’eredità). Residuerebbe come campo applicativo dell’art.8 u.c. L. 590/1965, l’ipotesi suddetta di alienazione da parte di un coerede di una quota del fondo agricolo, che sia anche unico immobile ereditario. In tal caso, probabilmente in deroga all’art.732, la prelazione spetterebbe agli altri coeredi che siano però anche coltivatori diretti. Quindi nessuna prelazione spetterebbe né ai coeredi che non siano coltivatori diretti, né viceversa ai coltivatori diretti che non siano coeredi. Il problema si complica ulteriormente se si volesse considerare il conflitto fra le predette categorie di soggetti, quando vi sia stata rinunzia alla prelazione da parte dei coeredi-coltivatori. Altro dubbio concerne il momento fino al quale vi sia la prevalenza del 732 sulla prelazione agraria. L’opinione prevalente afferma che la prevalenza si ha finchè permane lo stato di comunione ereditaria, conformemente alla regola contenuta nell’art.732 (Cass. 21 aprile 1997, n. 3424, cit., per la quale il diritto di prelazione in favore del coerede, disciplinato dall’art. 732 cod. civ., e prevalente, ove anche il coerede sia coltivatore diretto, sul diritto di prelazione del coltivatore diretto del fondo, presuppone una situazione in cui la maggior parte delle varie componenti dell’asse ereditario si trovi ancora nello stato di indivisione quale risultante al momento dell’apertura della successione, sicché ove siano state compiute operazioni divisionali che abbiano portato ad eliminare l’anzidetto stato la comunione residuale sugli immobili ereditari si trasforma in comunione ordinaria, senza possibilità di applicazione del menzionato art. 732 cod. civ.; analogamente v. Cass. 26 luglio 2001, n. 10218, in Dir. giur. agr. amb., 2002, 161, con nota di Busetto; Cass. 15 febbraio 1993, n. 1850, in Vita not., 1993, 795).

Retratto e simulazione. Altro problema posto all’attenzione della giurisprudenza riguarda i rapporti fra i due istituti in oggetto. Si deve distinguere innanzitutto fra simulazione relativa ed assoluta, in quanto diverse sono le conclusioni giurisprudenziali.

Simulazione relativa (es. si dice che si aliena per un prezzo invece che per un altro reale oppure si chiama alienazione a titolo oneroso ciò che invece si riconosce non essere tale).

Secondo una 1^ tesi (Trib.Napoli 16.1.1979 e App.Venezia 12.3.1977) questa simulazione è opponibile al retraente perché 1. non è terzo ex art.1415 c.1 2. il retraente subentra nella posizione dell’acquirente estraneo, quindi è soggetto parte del rapporto originario. Desumibile da ciò una visione in termini ex tunc dell’acquisto da parte del retraente che sarebbe parte in questa tesi.

Secondo una 2^tesi (Dottrina e giurisprudenza prevalente: Triola, Cass.14.1.1980 n.334 in Giust.Civ. 1980, I,1349; Cass.29.4.1992 n.5181 in Rep.Foro It. 1992, Divisione 16), il retraente sarebbe terzo e non gli sarebbe opponibile la simulazione ex art.1415 c.1 perché 1. il riscatto comporterebbe un trasferimento del bene dall’acquirente-estraneo al retraente, che sarebbe così terzo avente causa ex art.1415 c.1 2. il retraente è terzo perché non ha preso parte all’accordo simulatorio; 3. sarebbe facile eludere il retratto opinando diversamente, in quanto coerede-alienante e acquirente potrebbero sempre fare una controindicazione da cui risulti la simulazione della precedente alienazione, che se fosse opponibile al retraente si vedrebbe o privo del retratto o a dover pagare per il retratto qualcosa in più rispetto a quanto previsto nella precedente alienazione.

Nella Simulazione Assoluta (=è fittizio l’intero negozio di cessione di quota ereditaria), la scarsa giurisprudenza ha invece ritenuto che sia opponibile la simulazione al retraente (App.Venezia 12.3.1977; Cass.16.3.1984 n.1809 in Giust.civ.mass.1984 fasc.3-4 e in Foro it.1984,I,1569) perché 1. manca qui proprio il presupposto per l’applicabilità del retratto, essendo nullo il trasferimento fra coerede e il cessionario-estraneo 2. il retraente non è terzo avente causa dall’acquirente- estraneo (retrattato), bensì si surroga a quest’ultimo ex tunc (retroattivamente).

Emerge dalla problematica esposta la questione se il retraente sia terzo o parte del contratto, e se quindi l’acquisto del retraente sia dall’ acquirente-estraneo (retrattato) o se dal coerede-alienante, come effetto della sostituzione al retrattato (sembra prevalere quest’ultima opinione). Questione affine è se l’acquisto del retraente avvenga ex tunc (Cass.16.3.1984 n.1809) o ex nunc (Cass.14.5.2003 n. 7404 in Vita not.2003,1429). Si evidenzia che analoga questione emerge anche in tema di prelazione agraria, dove la Cass. qualifica il retraente come terzo (Cfr. Cass. 24 marzo 1984, n. 1961, in Arch. civ., 1985, 361; Cass. 3 settembre 1987, n. 7191, in Giust. civ., 1988, I, 445).

Altro problema è il rapporto fra Retratto successorio e comunione legale: il coniuge che acquista ex lege in C.L. una quota ereditaria deve considerarsi estraneo e quindi si applica nei suoi confronti la prelazione e il retratto? Sembrerebbe di no secondo l’ opinione prevalente (Cass. n.9231 del 4 maggio 2005) perché: 1. l’art. 732 si riferisce all’ alienazione volontaria e non legale( come l’acquisto in CL) della quota ereditaria; 2. Art.177 lett. a) tutela valori costituzionalmente garantiti (quale l’uguaglianza fra i coniugi) che sono prevalenti rispetto alla ratio di mera opportunità che ispira l’art. 732 (la cui ratio è di impedire l’ingresso nella comunione ereditaria di estranei alla stessa senza il consenso degli altri coeredi).

Diverso problema, attinente all’autonomia testamentaria, è se il testatore possa escludere o limitare il diritto di prelazione e il retratto.

Una 1^tesi (Maniaci in Riv.Dir.Priv.4/2006 pg.747) propende per la soluzione positiva perché il testatore gode di un’autonomia ampissima, molto più forte di quella negoziale, tant’è che verrebbe riconosciuta dalla Costituzione all’art. 42 u.c., e perchè il legislatore consente al testatore di tener conto delle attitudini dei beneficiari delle attribuzioni, dettando limiti temporali all’esercizio della facoltà di domandare la divisione (art. 713 2° e 3° co.).

Una 2^tesi, preferibile, dà soluzione negativa al problema, perché la prelazione ex art .732 è legale e quindi non derogabile dalla volontà privata.

LA PROPOSTA DI ALIENAZIONE. Ai sensi dell’art. 732 c.c., “ il coerede che vuole alienare a un estraneo la sua quota o parte di essa, deve notificare la proposta di alienazione”. Sulla natura giuridica, forma e sulla revocabilità di questa proposta molto si discute.

Per quanto concerne la natura giuridica, una prima tesi (Capozzi, Successioni e donazioni, 2002, 737) distingue fra denuntiatio e proposta di alienazione. La denuntiatio sarebbe la mera comunicazione di intenti (da parte del coerede) del proposito di alienare. Sarebbe solo un onere che può provocare il rifiuto degli altri coeredi e la conseguente liberazione del coerede che vuole alienare. Se invece uno degli altri coeredi accettasse la denuntiatio formulata (indicando gli elementi dell’alienazione), il contratto non sarà perfezionato, mancando una vera proposta contrattuale, e l’alienante potrà tornare sui suoi passi decidendo di non alienare, o formulando una nuova denuntiatio a condizioni diverse. La proposta di alienazione sarebbe invece l’obbligo, cui consegue, in caso di accettazione da parte di un prelazionario, la conclusione del contratto. Questo orientamento è stato oggetto di critiche, in quanto, in realtà, l’art.732 non distingue e parla solo di proposta di alienazione.

Una seconda tesi, prevalente in dottrina e giurisprudenza e preferibile ( Cass. 27 novembre 2006, n. 25041 in Giust. Civ. Mass. 2006, 11 ), ritiene invece che si tratti di una vera e propria proposta contrattuale che, se accettata dal prelazionario, produce come effetto la conclusione del contratto. Pertanto, secondo questa tesi, da un lato, la proposta prevista dall’art. 732 c.c. non può esaurirsi in un “mero intento generico di vendere la propria quota”, dall’altro, deve avere il contenuto proprio di una proposta contrattuale con tutti gli elementi sia di sostanza che di forma richiesti dalla legge.

Da queste due tesi discendono diverse conseguenze in ordine alla forma, specie quando nella quota siano ricompresi beni immobili. Seguendo la prima tesi, la denuntiatio, non essendo atto prenegoziale come la proposta, sarebbe sempre a forma libera. Seguendo la seconda tesi, invece, nel caso di quota ereditaria formata, in tutto o in parte da immobili, la forma dovrà essere scritta. Infatti se il diritto di prelazione attribuito al coerede dall’art. 732 c.c. è destinato, una volta positivamente esercitato, a consentire a quest’ultimo di divenire acquirente della quota ereditaria oggetto della proposta di alienazione senza la necessità di ulteriori manifestazioni di volontà al riguardo, è evidente che tale effetto traslativo può validamente verificarsi, allorché l’oggetto della quota ereditaria sia costituito, in tutto o anche in parte, da beni immobili, soltanto osservando l’imprescindibile requisito della forma scritta prevista dall’art. 1350 n. 1 c.c., che deve pertanto caratterizzare sia la proposta di alienazione che la sua accettazione. Né infine in senso contrario può farsi richiamo all’universum ius costituito dall’eredità indipendentemente dalla natura delle sue componenti, considerato che la quota ereditaria segna soltanto la misura della partecipazione di ciascuno degli eredi ad una comunione pur sempre immobiliare; pertanto il riferimento alla quota non è evidentemente sufficiente a superare il rilievo circa la natura dei beni che ne costituiscono l’oggetto, cosicché trattandosi di immobili, occorre osservare il requisito della forma scritta prescritta a pena di nullità per contratti che ne trasferiscono la proprietà ai sensi dell’art. 1350 n. 1 c.c. (così Cass. 25041/2006 cit.).

Altro problema riguarda la revocabilità della proposta, una volta che questa sia stata notificata. Anche su questo punto si contrappongono due tesi. Una 1^tesi (Cass.5802/1982; Cass.3557/1975; sembrerebbe anche Cass. 2006, n. 25041 che parla di “vera e propria proposta contrattuale ai sensi dell’art. 1326 c.c. destinata a rimanere ferma per lo spatium deliberandi, di 2 mesi” ) ritiene che nei 2 mesi dalla notifica il proponente non potrebbe revocare la proposta, avendo innescato il meccanismo legale del 732. Sarebbe una proposta irrevocabile ex art.1329 c.c. Una 2^tesi, sostenuta dalla dottrina prevalente ritiene che invece la proposta, seppur notificata, sia revocabile, perché argomentare diversamente limiterebbe troppo la libertà del coerede-alienante, di fatto annullandola. Il coerede che ha ricevuto la proposta ha in realtà 2 mesi per pensarci, ma sempre che in questo lasso di tempo l’alienante non ci ripensi revocando la proposta fatta. Si applica cioè il normale meccanismo di formazione del contratto ex art.1326.

Per quanto concerne le modalità della notificazione, l’art. 732, inoltre, parla solo di “notificazione” ma non precisa le modalità con cui va fatta la comunicazione e non precisa nemmeno se la notificazione vada fatta con semplice lettera raccomandata come, ad esempio, per la “prelazione agraria” o mediante Ufficiale Giudiziario come, invece, per la “prelazione urbana”; deve ritenersi ammissibile, pertanto, qualsiasi modalità di trasmissione che consenta di fornire la prova dell’avvenuta comunicazione all’avente diritto. La prelazione deve essere esercitata nei successivi due mesi.

L’istituto del retratto successorio, previsto dal cod. civ. all’art. 732, si inserisce nell’ambito delle disposizioni generali che regolano la divisione ereditaria (libro II, titolo IV, capo I). In questo articolo si tratteranno alcuni degli aspetti e delle problematiche dell’istituto sui quali dottrina e giurisprudenza si sono soffermati negli ultimi anni. Iniziando dalla funzione del retratto, essa sembra essere quella di impedire che degli estranei si intromettano nella comunione ereditaria che si determina al momento dell’apertura della successione.

Riguardo allo SCOPO, Alcuni autori ritengono che sia quello di evitare la speculazione che estranei al rapporto familiare potrebbero perseguire con l’acquisto della quota. Altri (CAPOZZI, Successioni e donazioni, 2002, 735) sostengono che lo scopo sia quello di facilitare le operazioni divisionali, evitando l’insorgere di liti fra coeredi che potrebbero essere anche estranei alla famiglia.

PRESUPPOSTI di applicabilità del 732 sono: 1. esistenza di una comunione ereditaria; 2. alienazione di (tutta o parte della) quota ereditaria; 3. alienazione ad un estraneo alla comunione ereditaria (non si ha prelazione ex art.732 se la quota è alienata ad un coerede, ad un soggetto facente parte della comunione ereditaria).

Veniamo ora ad analizzare i primi due presupposti.

1. esistenza di una comunione ereditaria: secondo la giurisprudenza consolidata ( si veda Cass. 23 febbraio 2007, n. 4224), “IL RETRATTO SUCCESSORIO DI CUI ALL’ART. 732 C.C. SI APPLICA SOLAMENTE ALLA COMUNIONE EREDITARIA”e non quindi alle comunioni ordinarie ( anche Cass.22.10.1992 n. 11551 così) né alla prelazione stabilita fra i coeredi (con meri effetti obbligatori) sui beni oggetto dell’asse dopo la divisione del patrimonio ereditario ( Cass. 6.11.1987 n. 8221; Cass.28.7.1983 n. 5213 in Foro ital.1983, I, 2770).

2. alienazione di tutta o parte della quota ereditaria. Oggetto della prelazione è la quota ereditaria, per cui non scatta prelazione quando ad essere alienato è il singolo bene ereditario (cd. ALIENAZIONE DELL’ESITO DIVISIONALE). Si ha prelazione solo quando un coerede trasferisca la propria quota o frazione di essa e non quando trasferisca singoli beni ereditari. Non da luogo, pertanto, alla prelazione la alienazione di una quota relativa ad uno qualsiasi dei vari beni che compongono l’asse ereditario. A dire la verità si discute se addirittura sia possibile una simile alienazione. Al riguardo sono state avanzate varie tesi: • Secondo un orientamento il singolo coerede non può considerarsi titolare di una quota di comproprietà su ciascun cespite ereditario, ma soltanto di una quota riferita all’intera massa ereditaria, con la conseguenza che deve essere negata la possibilità stessa di compiere atti di disposizione della quota su singolo bene ereditario; • Secondo un altro orientamento invece il singolo coerede va considerato titolare di una quota di comproprietà su ciascun cespite ereditario, con la conseguenza che lo stesso potrà liberamente compiere atti di disposizione della quota su singolo bene ereditario; • In giurisprudenza, pur seguendo quest’ultimo orientamento, si è ritenuto che la vendita di un bene, facente parte di una comunione ereditaria, da parte di uno solo dei coeredi, produca sempre e solamente effetti obbligatori, in quanto la sua efficacia rimane subordinata all’assegnazione, in sede di divisione, di quel bene al coerede alienante; pertanto fino a tale assegnazione il bene continua a fare parte della comunione ereditaria, non potendo l’acquirente acquistare la proprietà esclusiva dello stesso (v. Cass. 1 luglio 2002 n. 9543); in dottrina peraltro non è mancato chi invece ha riconosciuto a detta vendita immediato effetto traslativo. ALIENAZIONE DI SINGOLO BENE EREDITARIO. Occorre tuttavia non fermarsi alle apparenze. Infatti, l’indicazione di beni determinati nel contratto di alienazione non esclude di per sé l’ipotesi di trasferimento della quota ereditaria o di parte di essa. Occorre verificare, in base all’interpretazione del contratto, se l’intento dei contraenti è stato di cedere la misura della partecipazione alla comunione ereditaria (cioè la quota ereditaria, sostituendo così nella comunione ereditaria il terzo estraneo al coerede alienante) oppure la quota parte sul bene con riferimento all’esito della divisione (così Cass. N. 13704 del 7 DICEMBRE 1999; Cass.7.8.2002 n.11881). Per verificare l’intento occorre (Cass. 30.12.1992 n.11809 in Rep.Foro it.1992, Divisione,12) effettuare un’indagine sull’effettiva volontà delle parti, e a tal fine si deve tener conto sia di elementi soggettivi ( compreso il comportamento delle parti dopo il negozio) sia di elementi oggettivi ( quali la consistenza del patrimonio ereditario ed il rapporto tra questo e l’entità delle cose alienate). Anche qui ritorna, come nel criterio della “maggior parte dei beni”, il criterio quantitativo dei beni.

Passiamo ora ad esaminare gli ATTI SOGGETTI a prelazione ereditaria.

Alcuni (Morello, D’Orazi Flavoni) ritengono che l’unico atto che dia luogo a prelazione sia solo la vendita perché l’art. 732 parla di alienazione e di prezzo. Altri (Cicu, Messineo) annoverano tutti i contratti di scambio, perché l’espressione “prezzo” significherebbe “valore di scambio del bene”. La dottrina prevalente e preferibile afferma che sono soggetti a prelazione tutti i negozi traslativi a titolo oneroso caratterizzati dalla fungibilità della prestazione, cioè tutti quei negozi in cui la prestazione possa essere eseguita dal prelazionario come da qualsiasi altro acquirente (Capozzi, Successioni e donazioni , 2002, 741), in quanto chi esercita la prelazione si sostituisce nel contratto di alienazione stipulato fra coerede-alienante ed estraneo-acquirente nella stessa posizione di quest’ultimo. Nella VENDITA della PIENA PROPRIETà, di certo vi è prelazione, data la stessa lettera del 732 ( che parla di alienazione, di prezzo). Nella VENDITA della NUDA PROPRIETà (Capozzi, Successioni e donazioni, 741, Cass.24.7.1964 n.2008 in Foro Padano 1964,I,1235) anche vi sarebbe prelazione, perché vi è comunque alienazione che comporterà acquisto futuro ma certo della piena proprietà. È acquisto che fa avvicinare alla piena proprietà, la cui acquisizione è soltanto differita nel tempo. A contrario, non sembrerebbe esservi prelazione per la cessione dell’USUFRUTTO SULLA QUOTA, oltre che perché è un diritto limitato e temporaneo, non idoneo a far entrare l’acquirente nella comunione ereditaria, anche perché la legge all’art. 732, a differenza che nell’art.230bis c.c., parla di sola alienazione e non di trasferimento. Si potrebbe porre un altro problema (ed in tal caso penso possa scattare la prelazione), laddove l’alienante sia usufruttuario della quota ereditaria e venga considerato in questa qualità come coerede (è però opinione minoritaria quella che l’ usufruttuario della quota o dell’intera eredità sia erede, ritenendo l’opinione prevalente l’usufruttuario come legatario v.Capozzi Successioni e donazioni, 49-50). Nella VENDITA CON PATTO DI RISCATTO (Capozzi Successioni e donazioni 742, Triola in Vita not.1979, 810), si ritene che vi sia prelazione in quanto è vendita che, in pendenza del termine per esercitare il riscatto, produce gli effetti reali di una normale vendita. Solo che l’eventuale retratto potrà esercitarsi fin quando il venditore non abbia esercitato il proprio diritto di riscatto, che fa rientrare la quota venduta nel proprio patrimonio retroattivamente e che fa venir meno l’alienazione ed il presupposto del diritto ex art.732. Se invece il riscatto del venditore non viene esercitato, il prelazionario, finchè dura lo stato di comunione ereditaria, potrà esercitare il diritto di retratto.

Nella VENDITA CON RISERVA DI PROPRIETà, si ritiene che vi possa essere il retratto (sempre che duri lo stato di comunione ereditaria), dopo che il compratore avrà acquistato la proprietà, pagando l’ultima rata di prezzo ex art. 1523 (Capozzi, Successioni e donazioni, 742). Sembra che, interpretando rigidamente l’art. 732, non vi sia l’obbligo di denuntiatio perché non c’è, al momento della vendita, l’alienazione della quota. Tuttavia, l’inciso “vuole alienare” farebbe pensare a un obbligo di denuntiatio, perché si vorrebbe comprendere ogni ipotesi di volontà di alienazione da parte del coerede-alienante, anche se gli effetti reali di questa alienazione si produrranno successivamente alla stessa. Inoltre, l’obbligo di denuntiatio è sempre anteriore all’alienazione, solo il retratto è successivo. Pertanto sembra prudente considerare che vi sia il diritto di prelazione.

Per il contratto PRELIMINARE di vendita di quota, dove vi sono solo effetti obbligatori, sembra invece non sussistere la prelazione, né l’obbligo di denuntiatio, in quanto anche la volontà di alienare è soltanto in divenire, occorrendo un’ulteriore manifestazione di volontà per il prodursi dell’effetto traslativo, a differenza della vendita con riserva di proprietà.

Per la RENDITA VITALIZIA, si ritiene vi sia prelazione perché, astrattamente, l’alienante della quota ereditaria può ricevere il vitalizio sia dal terzo estraneo che dal prelazionario. Anche qui si porrà un problema di fungibilità della controprestazione. L’ipotesi a mio avviso più controversa è quella della DATIO IN SOLUTUM, sulla quale discordi sono le opinioni. Il problema sta nell’affermazione o no della parità di condizioni (principio esistente secondo la dottrina in questo tipo di prelazione: v. Corsi, 79 Notariato 1/1998) nell’ipotesi della datio.

Una 1^tesi (Cass. 24 luglio 1959 n. 2076) ritiene che sussista prelazione almeno quando la prestazione originaria dovuta dal debitore-coerede-alienante sia fungibile (es.Tizio deve a Caio 100 euro), perché la prestazione originaria ben potrebbe essere eseguita dal prelazionario-coerede.

Una 2^tesi (Capozzi, Successioni e donazioni, 742) esclude che qui sussista la prelazione, perché si tratterebbe di una mera parità economica ma non giuridica, non potendo il coerede-prelazionario divenire parte del negozio di datio in solutum. La critica, a mio avviso, è molto fondata e vale per tutte le ipotesi di datio in solutum, sia o non la prestazione originaria fungibile. Se infatti Tizio deve a Caio 100 euro e successivamente convengono, ex art.1197 c.c., che Tizio alieni allo stesso Caio la sua quota ereditaria, gli altri coeredi potrebbero offrire a Tizio di dargli i 100 euro che servono per pagare il creditore Caio in cambio della quota ereditaria che Tizio vuole alienare a Caio. Ma in tal caso, se Tizio pagasse Caio con i 100 euro ottenuti, non si avrebbe più datio in solutum, bensì adempimento in senso stretto dell’originaria obbligazione. Così anche se gli altri coeredi pagassero direttamente a Caio i 100 euro originariamente dovuti, si avrebbe un adempimento di terzi, e non più datio in solutum. Lo stesso discorso può essere ripetuto per la datio in solutum in tutte le altre ipotesi di prelazione, compresa quella ex art.230bis c.c. (se voglio alienare l’azienda, in corrispettivo della mia liberazione dal debito pregresso, non vi sarà più datio in solutum qualora l’adempimento non si realizzi con l’alienazione dell’azienda ma con l’adempimento della prestazione originaria).

D’altronde si potrebbe replicare che così argomentando si eluderebbe l’applicazione della prelazione. In realtà, bisognerebbe comunque trovare l’originario creditore disponibile alla datio in solutum, e quindi a ricevere qualcosa ( cioè la quota ereditaria) di diverso da quanto originariamente pattuito. Inoltre, si fa sempre l’ipotesi che il debitore-alienante di quota o di azienda ottenga dai presunti prelazionari la stessa prestazione fungibile (quale il denaro) originariamente dovuta al creditore, consentendogli, come detto, di pagarlo. Ma non si considera l’ipotesi in cui la quota ereditaria o l’azienda ceduta al prelazionario porti ad un corrispettivo inferiore a quello originariamente pattuito. In tal caso il creditore probabilmente rifiuterà l’adempimento, anche perché se era disposto a ricevere una quota ereditaria o un’azienda il cui valore era inferiore a quanto dovuto in origine, proprio perché voleva quel bene determinato (quota ereditaria), non avrà conseguito lo stesso risultato quando riceverà l’equivalente della quota o azienda alienata. Lo stesso ragionamento probabilmente sembra seguito, seppur in tema di prelazione agraria, da Cass. 31 gennaio 1986 n. 629.

Per la PERMUTA si distingue: vi sarebbe prelazione quando la controprestazione è fungibile (es.si cede in permuta la quota in cambio di 100 kg di grano), ed è quindi possibile che possa essere prestata anche dal prelazionario. Non vi sarebbe prelazione, viceversa, quando la controprestazione è infungibile (es. in cambio della quota voglio il quadro di Picasso che solo Tizio possiede). Si discute inoltre sull’operatività della prelazione in tema di VENDITA FORZATA (Capozzi, Auciello Successioni e donazioni, casistica, 2004, caso n. 272). Una 1^tesi (dottrina minoritaria, Cass. 30 gennaio 1986 n. 596 in Vita not. 1986, 179) ritiene che vi sia prelazione perché : 1. vi è in ogni caso un’alienazione; 2. Il contenuto di ogni prelazione deve consistere sempre nella facoltà di acquistare il bene a parità di condizioni con altro possibile acquirente ed a preferenza di questi. Non si può quindi danneggiare i prelazionari, tutelati dalla legge. 3. la legge 590/1965 in tema di prelazione agraria, all’art.8 c.2, vieta espressamente la prelazione negli atti di trasferimento coattivo. La mancata riproduzione di questo divieto nell’art. 732 significherebbe che per questa fattispecie, la legge ha voluto che ci fosse prelazione. Una 2^tesi (prevalente), al contrario, sostiene che non vi possa essere prelazione perché 1. il fondamento pubblicistico della vendita forzata non consente deroghe alla regola della vendita all’incanto, per cui l’organo esecutivo non potrebbe fare la denuntiatio ai coeredi, come ritiene l’avversa dottrina; 2. il 732 parla di “vuole alienare”, facendo intendere solo le ipotesi di alienazione volontaria. Tale non è l’esecuzione forzata. 3. l’ art.732 pone limite all’autonomia privata, come tutte le prelazioni, per cui tutte le norme che prevedono prelazioni legali devono essere restrittivamente interpretate, come norme eccezionali non suscettibili di interpretazione analogica ex art.14 preleggi.

Per quanto concerne la TRANSAZIONE, la tesi che prevale ritiene che non vi sia prelazione perché manca la parità di condizioni fra il terzo e i coeredi. Il terzo è infatti parte della lite che si va a comporre con la transazione, e i coeredi non potrebbero sostituirsi ad esso, diventando parti di un accordo transattivo a cui sono estranei. Non potrebbero cioè, sostituendosi al terzo, realizzare lo stesso interesse del coerede-alienante la quota ereditaria a comporre la lite insorta o insorgenda, in quanto non sono parti di quel rapporto litigioso da comporre e non possono fare concessioni riguardo a quel rapporto. Né possono sostituirsi solo per l’alienazione della quota, in quanto, in questo caso non costituisce negozio autonomo, ma solo elemento di un negozio più complesso dal quale non può separarsi.

Trasferimento mortis causa della quota

Si ritiene che non vi sia prelazione per l’incompatibilità fra le fattispecie perché: A.non sarebbe possibile accordare una preferenza nell’acquisto mancando parità di condizioni e determinazione del prezzo. B. 732 parla di alienazione, espressione che si contrappone all’idea e al concetto di successione.

Per il CONFERIMENTO in società, la tesi prevalente ritiene che non sussista PRELAZIONE perché non opera la parità di condizioni. Si riceve, conferendo quota o azienda, la partecipazione alla società, che non è possibile ricevere da altro soggetto. Un’eccezione vi sarebbe quando il prelazionario ha la stessa partecipazione che vuole l’alienante, e vi sarebbe quindi un corrispettivo fungibile, così come quando il valore della partecipazione possa essere monetizzato e dato un corrispettivo equivalente. Ma anche qui il discorso è lo stesso della datio in solutum: vi sarà solo una parità economica, ma il negozio non sarà più di conferimento in società, ma sarà convertito in un normale negozio di cessione di partecipazione sociale o di vendita.

Anche per la DONAZIONE, si ritiene in prevalenza e preferibilmente che non sussista prelazione in quanto manca la parità di condizioni fra donatario e prelazionario. Taluno sostiene che, determinando il valore della quota donata, il prelazionario potrebbe pagare l’equivalente, esercitando così il suo diritto. E’ agevole replicare che con ciò si avrebbe una conversione del negozio, da donazione in vendita, e che la legge all’art. 732 parla espressamente di alienazione con un corrispettivo. D’altronde si frusterebbe l’interesse del donante di beneficiare con un dato bene una certa persona e non altre ( rilevanza del c.d. intuitu personae).

Veniamo ora all’esame del RETRATTO.

Il diritto di retratto (detto anche comunemente di riscatto) ha natura di diritto potestativo, si esercita con una dichiarazione negoziale recettizia (Cass.14.4.2003 n.7404) comunicata al terzo acquirente (retrattato). Si ritiene libera la forma, in virtù del generale principio di libertà formale, salva la forma scritta quando la quota da riscattare comprenda beni immobili. Il retratto si può esercitare, ex art. 732, “finchè dura lo stato di comunione ereditaria”. Si ritiene che l’esercizio di tale diritto di riscatto sia comunque soggetto al termine ordinario di prescrizione decennale (in questo senso Cass. 23.1.1988 n. 519) decorrente da quando il diritto può essere fatto valere, cioè dal momento dell’alienazione della quota. Non si ritiene ammissibile il retratto parziale perchè altrimenti mancherebbe la parità di condizioni fra terzo acquirente e retrattante. L’effetto del retratto consiste nella sostituzione del retraente nella posizione del retrattato. Tuttavia si discute se questa sostituzione abbia o meno effetti retroattivi (l’opinione che sembra prevalere sostiene la retroattività) e se sia acquirente dal coerede alienante (secondo l’ opinione che sembra prevalente) o dal terzo estraneo. Le conseguenze pratiche di questo dibattito si vedono in tema di simulazione (v. infra) e di trascrizione (se si considera l’acquisto fatto dall’alienante, ex tunc, nessuna trascrizione dell’acquisto fatto da parte del prelazionario, in esercizio della prelazione, sarà dovuta [sembrerebbe la tesi prevalente]; se invece l’acquisto si considera fatto dal terzo-estraneo ex nunc, il prelazionario-retraente dovrà trascrivere il suo acquisto per prevalere nei confronti degli aventi causa dal terzo [così Corsi, Notariato 1/1998,81; Gazzoni,La trascrizione immobiliare, Milano, 1991, 611 e 612]

Un problema di applicazione del retratto è in tema di DIVISIONE DEL TESTATORE (Art. 734 c.c.), ed è sintetizzabile nel seguente quesito. Testatore che divide i 2 beni fra 3 nipoti, dandone uno in comunione fra 2 di essi: che tipo di comunione si instaura su detto bene?

Una 1^ tesi, minoritaria (Azzariti), ritiene che si instauri comunione ereditaria con applicazione dell’art.732, perchè la comunione è pur sempre derivante da una successione mortis causa, non rilevando che i beni siano stati parzialmente divisi.

Una 2^tesi, sostenuta dalla giurisprudenza, ritiene invece che si instauri una comunione ordinaria, e che quindi non si applichi il 732 perché: 1. l’art.732 è norma singolare, eccezionale che pone limiti alla libertà di circolazione dei beni, e pertanto è da interpretare restrittivamente (come fa peraltro la giurisprudenza anche in altre ipotesi) 2. comunione de quo nasce da titolo (la divisione fatta dal testatore) che ha proprio per scopo di impedire la nascita di una comunione ereditaria.

Altro problema: in caso di divisione oggettivamente parziale (i coeredi dividono solo una parte dei beni caduti in comunione ereditaria) si applica il 732 sui beni rimasti in comunione? Al riguardo vi sono 2 tesi.

1^ tesi (minoritaria, Azzariti in Riv.dir.civ. 1969,II,441): I beni caduti in comunione ereditaria rimangono tali fin quando non vi sia una divisione integrale perchè la comunione è pur sempre derivante da una successione mortis causa, non rilevando che i beni siano stati parzialmente divisi.

2^tesi (sostenuta dalla giurisprudenza) : se i coeredi hanno diviso la maggior parte dei beni dell’asse ereditario, la comunione che rimane sui beni residui si trasforma da comunione ereditaria in comunione ordinaria e non si applica più l’art. 732 (Cass. 21.4.1997 n. 324 ; Cass. 13.9.2004 n. 18351; Cass.6.5.2005 n. 9522 in Giust.civ. Mass. 2005, 5; Cass. 9.1.2007 n.215; Cass. 23 febbraio 2007, n. 4224; Capozzi, Successioni e donazioni, 739).

Secondo Cass. 6.5.2005 n. 9522, la cui massima viene ripresa dalla successiva giurisprudenza di Cassazione (da ultimo Cass. 23.02.2007 n. 4224), “ la comunione ereditaria non si trasforma in comunione ordinaria per il fatto che vi sia in essa un unico bene immobile né per la circostanza che alcuni dei coeredi abbiano ceduto ad estranei le loro rispettive quote. Conseguenza è che, anche in tali ipotesi, la divisione deve aver luogo secondo le norme sulla divisione ereditaria.

Solamente quando siano state compiute le operazioni divisionali, dirette ad eliminare la MAGGIOR PARTE delle varie componenti dell’asse ereditario, in comunione al tempo dell’apertura della successione, la comunione residuale sui beni ereditari si trasforma in comunione ordinaria, con conseguente inapplicabilità dell’art.732, che postula la persistenza dello stato di comunione dell’eredità”

Sorge, a mio avviso, da tale impostazione, problemi enormi, non considerati dalla giurisprudenza: come si fa a stabilire in un patrimonio ereditario “la maggior parte” (si calcola il valore singolo dei cespiti o vengono considerati nella loro individualità?)? Ma soprattutto, come si fa a sapere se, intervenuta la divisione pro parte dell’eredità, sui beni residui da alienare scatti il diritto di prelazione? (es. il testatore lascia 4 beni in comunione ai suoi 3 coeredi, che procedendo a divisione parziale si assegnano rispettivamente i primi 3 cespiti. Il quarto rimane ancora in comunione, che secondo la giurisprudenza prevalente sarebbe in comunione ordinaria. Ma se uno dei coeredi volesse vendere la sua quota di eredità, che di fatto comprenderebbe la quota sull’unico immobile ancora rimasto in comunione, non scatterebbe, secondo la giurisprudenza prevalente, il diritto di prelazione). Si pongono quindi seri problemi operativi.

Sempre in giurisprudenza si afferma che “se si aliena l’UNICO BENE facente parte dell’asse ereditario, si PRESUME l’alienazione della corrispondente quota ereditaria, con la conseguente applicabilità dell’art.732, salvo che il retrattato (colui che subisce il retratto, cioè il terzo acquirente) dimostri che l’alienazione invece ha ad oggetto un bene a sé stante” (Cass.4.4.2003 n.5320; Cass. 30.1.2006 n.1852; Cass. 9.1.2007 n.215). Sorge quindi, in questo caso (cioè quando l’immobile, la cui quota venga alienata, costituisca l’unico bene dell’asse ereditario), una presunzione semplice (suscettibile di prova contraria) circa l’intervenuta cessione della quota ereditaria. Tuttavia, alla luce delle considerazioni che precedono e del criterio giurisprudenziale della “maggior parte”, non è sicuro neanche in questo caso che si possa ancora parlare di cessione di quota ereditaria, in quanto, nel momento in cui il cespite, la cui quota ideale viene alienata, si riduce ad essere l’unico bene rimasto in comune tra i coeredi (a seguito di divisione parziale o di alienazione degli altri beni) la comunione ereditaria si trasformerebbe in comunione ordinaria. Bisognerebbe quindi andare a vedere com’è che il cespite da alienare sia l’unico facente parte del compendio ereditario. Di nuovo problemi quindi alla luce del summenzionato criterio giurisprudenziale. Altro problema è se si applica l’art. 732 quando il coerede abbia trasferito ad un estraneo la sua quota indivisa di tutti i beni che compongono il patrimonio ereditario con DISTINTI atti di alienazione intervenuti a distanza di tempo. Secondo Cass. 24.4.1992 n. 4941 in Giust.Civ. 1992, 628: è il giudice di merito che deve valutare i diversi atti sia nel loro complesso, per affermare o negare l’esistenza di un collegamento rilevante al fine dell’esistenza del diritto di riscatto ex art.732, sia singolarmente, per accertare se, in mancanza di qualsiasi collegamento, sussistano in relazione a ciascuno di essi atti i presupposti del riscatto. Anche qui quindi sorge un problema di interpretazione.

Legittimati ad esercitare il diritto di prelazione. Anche su questo punto, a discapito dell’apparentemente chiaro disposto dell’art.732 c.c., si sono delineate due tesi.

Una 1^tesi (prevalente: Cicu, Messineo, Capozzi, Rizzi Studio CNN n. 19-2007/C; giurisprudenza di legittimità prevalente tra cui Cass. 13.7.1983 n. 4777, Cass. 11.5.1993 n. 5374 e Cass.981/2000) sostiene che la prelazione ereditaria spetti esclusivamente ai coeredi. In giurisprudenza si è ritenuto che il diritto di prelazione ex art. 732 c.c. non compete agli eredi dei coeredi, ed è intrasmissibile a questi perché: 1. l’ art. 732 prevede un diritto personalissimo che, derogando al principio della libertà ed autonomia negoziale, non può estendersi al di là dell’ipotesi testualmente prevista di applicabilità al nucleo originario di coeredi; 2. gli eredi del coerede hanno un titolo di acquisto (la successione del prelazionario-coerede) diverso da quello (la successione dell’originario de cuius) dei comunisti ereditari ex art.732. Una 2^tesi invece (minoritaria: Iudica, Azzariti, Cariota Ferrara, Burdese, Visalli in Giust.civ.2001,10,2504) ritiene che la prelazione ereditaria spetti anche agli eredi dei coeredi perché 1. l’art.732 non distingue fra coeredi originari e sopravvenuti; 2.i diritti di prelazione e di riscatto sono diritti patrimoniali, e come tali sono trasmissibili agli eredi che succedono nell’universalità dei rapporti giuridici facenti capo al de cuius; 3. il 732 vuole tutelare i coeredi contro le alienazioni volontarie inter vivos della quota ereditaria, non tutela anche contro eventi come la successione mortis causa che sono involontari.

In tema di Sostituzione e Rappresentazione, gli unici Autori che si sono occupati del problema (Capozzi, Auciello Successioni e donazioni, casistica, 2004, caso n. 272) hanno ritenuto, in deroga all’intrasmissibilità del diritto di prelazione, che nei casi di sostituzione ordinaria e rappresentazione, tale diritto si trasmetta al sostituito e al rappresentante, perché essi sarebbero delati dell’originario de cuius, sebbene la delazione del sostituito sia condizionata alla mancata accettazione del primo istituito e la delazione del rappresentante sia indiretta. Detta opinione suscita perplessità, in quanto se deroga bene al motivo 2. (sui titoli ereditari diversi) della su riferita opinione prevalente, non altrettanto fa per il motivo 1. (diritto personalissimo). Inoltre la giurisprudenza tende ad interpretare sempre più restrittivamente l’art.732, limitandone il campo applicativo.

Si discute inoltre se l’art. 732 si applichi nell’ipotesi di trasmissione del diritto di accettare l’eredità ex art. 479 c.c., quando il chiamato alla stessa muoia prima di aver potuto accettare l’eredità e sia in comunione con altri chiamati. La tesi positiva si basa sul fatto che il trasmissario è automaticamente delato dell’originario de cuius, qualora accetti l’eredità del trasmittente. Se accetta l’eredità anche dell’originario de cuius diventa erede pro quota di quest’ultimo ex art.732. La tesi negativa si basa sull’idea che sia necessaria da parte del trasmissario l’accettazione dell’eredità del trasmittente per poter adire l’eredità dell’originario de cuius e che perciò vi sia un doppio passaggio: dall’ originario de cuius al trasmittente e da questi al trasmissario. Ciò escluderebbe l’applicazione del 732.

Rinunzie al diritto di prelazione e di retratto.

Rinunzia al diritto di prelazione. Si ritiene in generale possibile questa rinunzia, trattandosi di diritto patrimoniale, da farsi in qualsiasi forma (così anche Corsi, Notariato 1/1998, 78 che ritiene libera la forma anche se la quota è formata da immobili poiché il rinunziante non dispone direttamente di essi). Tuttavia si discute soprattutto sul momento della rinunzia.

Una 1^tesi (Cass.22.1.1994 n.624 in Nuova Giur.civ. comment.1994,I,498 con nota Regine e in Vita not.1994, 1368) la ritiene possibile anche prima della denuntiatio, sempre che il rinunciante sia a conoscenza delle relative condizioni sennò la rinunzia all’esercizio della prelazione sarebbe nulla per indeterminatezza dell’oggetto.

Una 2^tesi (Cass.14.1.1999 n.310 in Giust.civ.mass.1999,70; Capozzi, Successioni e donazioni, 746 e dottrina prevalente) distingue fra vera rinunzia alla prelazione, (che in quanto diritto esistente per il coerede dal momento dell’apertura della successione, è rinunziabile in ogni momento, anche prima della notifica della proposta di alienazione) e rinunzia alla proposta di alienazione (che è solo mancato esercizio della prelazione per quel caso specifico di alienazione). Conseguenza è che la rinunzia alla prelazione in generale consente all’alienante di disporre della quota liberamente, senza dover più notificare alcuna proposta anche se si decide di alienare a condizioni diverse, mentre la rinunzia alla proposta di alienazione obbliga comunque l’alienante ad una nuova notifica se si decide di alienare a condizioni diverse. La seconda tesi sembra preferibile anche perché la prima non sembra molto chiara e comunque sembra voler ammettere la rinunzia anche prima della notifica della proposta di alienazione. In sintesi sembra possibile rinunziare al diritto di prelazione in ogni momento.

Rinunzia al diritto di retratto.

Risulta pacifico che tale diritto possa essere oggetto di rinunzia, in quanto diritto disponibile. La rinunzia può essere espressa o tacita (Cass.26.7.1974; Cass.11.3.1975 n.900). La rinunzia al diritto di retratto non comporta necessariamente rinunzia del diritto di prelazione, in quanto in caso di violazione della prelazione, pur non potendo riscattare la quota si potrà ottenere il risarcimento dei danni (così Capozzi, Successioni e donazioni, 2002, 746; Corsi, Notariato 1/1998,74). Invece la rinunzia alla prelazione comporta di per sé rinunzia al diritto di retratto, in quanto il retratto è un modo di esercizio del diritto di prelazione.

RAPPORTI con le altre PRELAZIONI.

Il diritto di prelazione (e quello connesso di retratto) del coerede PREVALE sul diritto di prelazione del conduttore ex art.38 legge 392/1978 (così anche S.U. Cass. 2002 n. 11092; Cass.9.1.2007 n.215). Cass. 1988 n.3466 osserva che l’art.732 si riferisce ad una situazione giuridica differente (l’alienazione di quota ereditaria) rispetto a quella che costituisce presupposto per la prelazione del conduttore (trasferimento oneroso di immobile locato). Il diritto di prelazione ex art. 732 prevale anche qualora il coerede sia coltivatore diretto, sul diritto di prelazione del coltivatore diretto, mezzadro, colono o compartecipante, ex art. 8 u.c. L. 590/1965 (v.Cass. 21.4.1997 n. 3424 in Vita not. 1997, p.878 e in Dir. giur. agr. amb., 1997, 472). In realtà queste due forme di prevalenza, uniche nell’attuale disciplina delle prelazioni legali, sarebbero anche superflue (sembra in tal senso l’osservazione della Cass. 1988 n.3466 sopra citata) , dato che l’oggetto sia della c.d. prelazione commerciale che di quella agraria non è la quota ereditaria, come invece nella prelazione ereditaria, non ponendosi pertanto un problema di compatibilità. In realtà si è osservato (si vedano CORTI, Il sistema delle prelazioni in materia di impresa familiare, famiglia coltivatrice e comunione ereditaria, in Riv. dir. agr., 1994, 350; FERRARA, L’ordine di preferenza delle prelazioni legali, in Rass. dir. civ., 2005, 644., entrambe per l’ipotesi di prelazione agraria) che l’unica ipotesi di possibile conflitto su cui vanno ad incidere le regole dell’art. 38 legge 392/1978 e dell’ art. 8 u.c. L. 590/1965, sia quella dell’asse ereditario formato da un unico immobile, sia esso immobile locato ad uso non abitativo o fondo agricolo oggetto di altrui godimento, di cui si voglia alienare una quota (si è detto infatti che in tal caso si presume che alienando la quota sull’immobile si sia alienata la quota sull’eredità). Residuerebbe come campo applicativo dell’art.8 u.c. L. 590/1965, l’ipotesi suddetta di alienazione da parte di un coerede di una quota del fondo agricolo, che sia anche unico immobile ereditario. In tal caso, probabilmente in deroga all’art.732, la prelazione spetterebbe agli altri coeredi che siano però anche coltivatori diretti. Quindi nessuna prelazione spetterebbe né ai coeredi che non siano coltivatori diretti, né viceversa ai coltivatori diretti che non siano coeredi. Il problema si complica ulteriormente se si volesse considerare il conflitto fra le predette categorie di soggetti, quando vi sia stata rinunzia alla prelazione da parte dei coeredi-coltivatori. Altro dubbio concerne il momento fino al quale vi sia la prevalenza del 732 sulla prelazione agraria. L’opinione prevalente afferma che la prevalenza si ha finchè permane lo stato di comunione ereditaria, conformemente alla regola contenuta nell’art.732 (Cass. 21 aprile 1997, n. 3424, cit., per la quale il diritto di prelazione in favore del coerede, disciplinato dall’art. 732 cod. civ., e prevalente, ove anche il coerede sia coltivatore diretto, sul diritto di prelazione del coltivatore diretto del fondo, presuppone una situazione in cui la maggior parte delle varie componenti dell’asse ereditario si trovi ancora nello stato di indivisione quale risultante al momento dell’apertura della successione, sicché ove siano state compiute operazioni divisionali che abbiano portato ad eliminare l’anzidetto stato la comunione residuale sugli immobili ereditari si trasforma in comunione ordinaria, senza possibilità di applicazione del menzionato art. 732 cod. civ.; analogamente v. Cass. 26 luglio 2001, n. 10218, in Dir. giur. agr. amb., 2002, 161, con nota di Busetto; Cass. 15 febbraio 1993, n. 1850, in Vita not., 1993, 795).

Retratto e simulazione. Altro problema posto all’attenzione della giurisprudenza riguarda i rapporti fra i due istituti in oggetto. Si deve distinguere innanzitutto fra simulazione relativa ed assoluta, in quanto diverse sono le conclusioni giurisprudenziali.

Simulazione relativa (es. si dice che si aliena per un prezzo invece che per un altro reale oppure si chiama alienazione a titolo oneroso ciò che invece si riconosce non essere tale).

Secondo una 1^ tesi (Trib.Napoli 16.1.1979 e App.Venezia 12.3.1977) questa simulazione è opponibile al retraente perché 1. non è terzo ex art.1415 c.1 2. il retraente subentra nella posizione dell’acquirente estraneo, quindi è soggetto parte del rapporto originario. Desumibile da ciò una visione in termini ex tunc dell’acquisto da parte del retraente che sarebbe parte in questa tesi.

Secondo una 2^tesi (Dottrina e giurisprudenza prevalente: Triola, Cass.14.1.1980 n.334 in Giust.Civ. 1980, I,1349; Cass.29.4.1992 n.5181 in Rep.Foro It. 1992, Divisione 16), il retraente sarebbe terzo e non gli sarebbe opponibile la simulazione ex art.1415 c.1 perché 1. il riscatto comporterebbe un trasferimento del bene dall’acquirente-estraneo al retraente, che sarebbe così terzo avente causa ex art.1415 c.1 2. il retraente è terzo perché non ha preso parte all’accordo simulatorio; 3. sarebbe facile eludere il retratto opinando diversamente, in quanto coerede-alienante e acquirente potrebbero sempre fare una controindicazione da cui risulti la simulazione della precedente alienazione, che se fosse opponibile al retraente si vedrebbe o privo del retratto o a dover pagare per il retratto qualcosa in più rispetto a quanto previsto nella precedente alienazione.

Nella Simulazione Assoluta (=è fittizio l’intero negozio di cessione di quota ereditaria), la scarsa giurisprudenza ha invece ritenuto che sia opponibile la simulazione al retraente (App.Venezia 12.3.1977; Cass.16.3.1984 n.1809 in Giust.civ.mass.1984 fasc.3-4 e in Foro it.1984,I,1569) perché 1. manca qui proprio il presupposto per l’applicabilità del retratto, essendo nullo il trasferimento fra coerede e il cessionario-estraneo 2. il retraente non è terzo avente causa dall’acquirente- estraneo (retrattato), bensì si surroga a quest’ultimo ex tunc (retroattivamente).

Emerge dalla problematica esposta la questione se il retraente sia terzo o parte del contratto, e se quindi l’acquisto del retraente sia dall’ acquirente-estraneo (retrattato) o se dal coerede-alienante, come effetto della sostituzione al retrattato (sembra prevalere quest’ultima opinione). Questione affine è se l’acquisto del retraente avvenga ex tunc (Cass.16.3.1984 n.1809) o ex nunc (Cass.14.5.2003 n. 7404 in Vita not.2003,1429). Si evidenzia che analoga questione emerge anche in tema di prelazione agraria, dove la Cass. qualifica il retraente come terzo (Cfr. Cass. 24 marzo 1984, n. 1961, in Arch. civ., 1985, 361; Cass. 3 settembre 1987, n. 7191, in Giust. civ., 1988, I, 445).

Altro problema è il rapporto fra Retratto successorio e comunione legale: il coniuge che acquista ex lege in C.L. una quota ereditaria deve considerarsi estraneo e quindi si applica nei suoi confronti la prelazione e il retratto? Sembrerebbe di no secondo l’ opinione prevalente (Cass. n.9231 del 4 maggio 2005) perché: 1. l’art. 732 si riferisce all’ alienazione volontaria e non legale( come l’acquisto in CL) della quota ereditaria; 2. Art.177 lett. a) tutela valori costituzionalmente garantiti (quale l’uguaglianza fra i coniugi) che sono prevalenti rispetto alla ratio di mera opportunità che ispira l’art. 732 (la cui ratio è di impedire l’ingresso nella comunione ereditaria di estranei alla stessa senza il consenso degli altri coeredi).

Diverso problema, attinente all’autonomia testamentaria, è se il testatore possa escludere o limitare il diritto di prelazione e il retratto.

Una 1^tesi (Maniaci in Riv.Dir.Priv.4/2006 pg.747) propende per la soluzione positiva perché il testatore gode di un’autonomia ampissima, molto più forte di quella negoziale, tant’è che verrebbe riconosciuta dalla Costituzione all’art. 42 u.c., e perchè il legislatore consente al testatore di tener conto delle attitudini dei beneficiari delle attribuzioni, dettando limiti temporali all’esercizio della facoltà di domandare la divisione (art. 713 2° e 3° co.).

Una 2^tesi, preferibile, dà soluzione negativa al problema, perché la prelazione ex art .732 è legale e quindi non derogabile dalla volontà privata.

LA PROPOSTA DI ALIENAZIONE. Ai sensi dell’art. 732 c.c., “ il coerede che vuole alienare a un estraneo la sua quota o parte di essa, deve notificare la proposta di alienazione”. Sulla natura giuridica, forma e sulla revocabilità di questa proposta molto si discute.

Per quanto concerne la natura giuridica, una prima tesi (Capozzi, Successioni e donazioni, 2002, 737) distingue fra denuntiatio e proposta di alienazione. La denuntiatio sarebbe la mera comunicazione di intenti (da parte del coerede) del proposito di alienare. Sarebbe solo un onere che può provocare il rifiuto degli altri coeredi e la conseguente liberazione del coerede che vuole alienare. Se invece uno degli altri coeredi accettasse la denuntiatio formulata (indicando gli elementi dell’alienazione), il contratto non sarà perfezionato, mancando una vera proposta contrattuale, e l’alienante potrà tornare sui suoi passi decidendo di non alienare, o formulando una nuova denuntiatio a condizioni diverse. La proposta di alienazione sarebbe invece l’obbligo, cui consegue, in caso di accettazione da parte di un prelazionario, la conclusione del contratto. Questo orientamento è stato oggetto di critiche, in quanto, in realtà, l’art.732 non distingue e parla solo di proposta di alienazione.

Una seconda tesi, prevalente in dottrina e giurisprudenza e preferibile ( Cass. 27 novembre 2006, n. 25041 in Giust. Civ. Mass. 2006, 11 ), ritiene invece che si tratti di una vera e propria proposta contrattuale che, se accettata dal prelazionario, produce come effetto la conclusione del contratto. Pertanto, secondo questa tesi, da un lato, la proposta prevista dall’art. 732 c.c. non può esaurirsi in un “mero intento generico di vendere la propria quota”, dall’altro, deve avere il contenuto proprio di una proposta contrattuale con tutti gli elementi sia di sostanza che di forma richiesti dalla legge.

Da queste due tesi discendono diverse conseguenze in ordine alla forma, specie quando nella quota siano ricompresi beni immobili. Seguendo la prima tesi, la denuntiatio, non essendo atto prenegoziale come la proposta, sarebbe sempre a forma libera. Seguendo la seconda tesi, invece, nel caso di quota ereditaria formata, in tutto o in parte da immobili, la forma dovrà essere scritta. Infatti se il diritto di prelazione attribuito al coerede dall’art. 732 c.c. è destinato, una volta positivamente esercitato, a consentire a quest’ultimo di divenire acquirente della quota ereditaria oggetto della proposta di alienazione senza la necessità di ulteriori manifestazioni di volontà al riguardo, è evidente che tale effetto traslativo può validamente verificarsi, allorché l’oggetto della quota ereditaria sia costituito, in tutto o anche in parte, da beni immobili, soltanto osservando l’imprescindibile requisito della forma scritta prevista dall’art. 1350 n. 1 c.c., che deve pertanto caratterizzare sia la proposta di alienazione che la sua accettazione. Né infine in senso contrario può farsi richiamo all’universum ius costituito dall’eredità indipendentemente dalla natura delle sue componenti, considerato che la quota ereditaria segna soltanto la misura della partecipazione di ciascuno degli eredi ad una comunione pur sempre immobiliare; pertanto il riferimento alla quota non è evidentemente sufficiente a superare il rilievo circa la natura dei beni che ne costituiscono l’oggetto, cosicché trattandosi di immobili, occorre osservare il requisito della forma scritta prescritta a pena di nullità per contratti che ne trasferiscono la proprietà ai sensi dell’art. 1350 n. 1 c.c. (così Cass. 25041/2006 cit.).

Altro problema riguarda la revocabilità della proposta, una volta che questa sia stata notificata. Anche su questo punto si contrappongono due tesi. Una 1^tesi (Cass.5802/1982; Cass.3557/1975; sembrerebbe anche Cass. 2006, n. 25041 che parla di “vera e propria proposta contrattuale ai sensi dell’art. 1326 c.c. destinata a rimanere ferma per lo spatium deliberandi, di 2 mesi” ) ritiene che nei 2 mesi dalla notifica il proponente non potrebbe revocare la proposta, avendo innescato il meccanismo legale del 732. Sarebbe una proposta irrevocabile ex art.1329 c.c. Una 2^tesi, sostenuta dalla dottrina prevalente ritiene che invece la proposta, seppur notificata, sia revocabile, perché argomentare diversamente limiterebbe troppo la libertà del coerede-alienante, di fatto annullandola. Il coerede che ha ricevuto la proposta ha in realtà 2 mesi per pensarci, ma sempre che in questo lasso di tempo l’alienante non ci ripensi revocando la proposta fatta. Si applica cioè il normale meccanismo di formazione del contratto ex art.1326.

Per quanto concerne le modalità della notificazione, l’art. 732, inoltre, parla solo di “notificazione” ma non precisa le modalità con cui va fatta la comunicazione e non precisa nemmeno se la notificazione vada fatta con semplice lettera raccomandata come, ad esempio, per la “prelazione agraria” o mediante Ufficiale Giudiziario come, invece, per la “prelazione urbana”; deve ritenersi ammissibile, pertanto, qualsiasi modalità di trasmissione che consenta di fornire la prova dell’avvenuta comunicazione all’avente diritto. La prelazione deve essere esercitata nei successivi due mesi.