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Ribellione

Canali
Ph. Consuelo Corsini / Canali

In ogni generazione, quasi, si è manifestata nella storia un movimento di ribellione, che è una reazione conseguente a una condizione vissuta di esasperata soggezione o costrizione, collocandosi anche in contesti molto diversi: innanzitutto in quello politico o militare, ma per estensione anche in famiglia, ad esempio come rifiuto tenace all’obbedienza rispetto ai genitori o alla disciplina, o in termine figurato come istintivo atteggiamento di protesta, ad esempio contro la sorte. Questa forma di reazione la possiamo ritrovare anche nelle diverse forme di arte o della cultura o della moda: le iniziative di rottura verso schemi precedenti, per interpretare il nuovo Zeigsteit (lo spirito del tempo), in contrapposizione a quello sentito come ormai finito, si perdono nella notte dei tempi.

In modo molto semplificato, si potrebbe dire che la ribellione riguarda il problema del rapporto con l’autorità, dell’obbedienza o della sottomissione al potere costituito.

Se il termine ribellione o ribelle (se riferito alla persona) contiene in sé un atteggiamento attivo, non va trascurata la forma passiva: la resistenza passiva come il digiuno o lo sciopero della fame e della sete, non è meno dirompente rispetto a quella manifesta.

Proseguendo un discorso già svolto, vorrei analizzare la ribellione in rapporto al bisogno di appartenenza che si esprime con il desiderio di avere sicurezza, di appartenere quindi ad una cittadinanza che viene rispettata nei suoi più elementari diritti, quelli che dovrebbero permettere di vivere.

Vi è uno studioso che ha rappresentato le necessità, i bisogni del percorso di vita, con uno schema che ha organizzato in una forma piramidale: A. Maslow, ha posto alla base della piramide i bisogni primari, quelli legati alla respirazione, all’alimentazione, alla temperatura corporea, alla possibilità di cure igieniche che si fondano sull’evacuazione, la digestione, poi i bisogni di riposo e di veglia, di attività (l’essere attivo risponde a un bisogno). I bisogni primari sorreggono, nelle fasce superiori, altri bisogni, e ad un certo punto – quasi nella fase mediana della costruzione della piramide – vi è il bisogno di appartenenza.  I vari strati sono strettamente legati fra loro, quelli più in alto non possono far dimenticare quelli in basso, quindi l’appartenenza è legata all’immaturità somatica della nascita: questo processo unitario è in immediato rapporto con la realtà circostante. L’individuo è collegato – “legato” – alla realtà in cui entra nascendo. “Per esempio il linguaggio è fornito a un individuo che vi entra; e quando si dice lingua materna si fa riferimento a una figura che riteniamo essere in generale la figura (materna) che per prima ha una funzione di parlante curando un neonato, incapace di distinguere suoni e di dare senso, ma che entra piano piano nella lingua presente già prima della sua nascita” (A. Canevaro). Quindi si crea nel tempo un legame quotidiano, via via più articolato e complesso, fra il soggetto e gli altri (la realtà esterna, il mondo): l’appartenenza si sviluppa nella quotidianità, l’appartenenza è quotidianità di consuetudini, idee, comportamenti, valori.

E la ribellione?

Appartenere significa anche, però, essere proprietà di qualcuno. Il bisogno di essere parte, di far parte, di essere insieme può trovare una risposta nell’essere o nel diventare proprietà di qualcuno: mio figlio/a, mia famiglia, i miei amici, ecc., sono espressioni che possono connotare non solo una condizione necessaria per la crescita e l’avvio verso l’indipendenza delle scelte, ma essere o diventare una condizione statica che vincola e si allarga a macchia d’olio ad altre relazioni sociali. Negli anni la quotidianità può assumere la forma di una sottomissione condivisa – scambiare appartenenza per sottomissione può essere un equivoco ricorrente – o di una ribellione covata o esplosiva. Si può ricercare la risposta al bisogno di appartenenza in intrichi di sottomissioni oppure in ribellioni continue ad un tipo di appartenenza per esplorarne altre.

In questa ricerca, talora drammatica ed emotivamente esasperante, si può trovare una risposta al bisogno di appartenenza riunendosi con altre persone che si ribellano all’offerta di appartenenza che viene fatta loro: la ribellione al vissuto “sono proprietà di qualcuno”, può portare alla ricerca, in modo paradossale, di un proprietario idealizzato, che propone obiettivi condivisi, a cui sottomettersi, o di qualcuno che manifesta un particolare carisma. E talora ci si può trovare intruppati in una serie di regole e di schemi ben più rigidi di quelli rifiutati.

Vi sono più momenti dell’arco di vita in cui si sente più acuto il bisogno di appartenenza: é una situazione che accade in chi cresce ma anche in chi invecchia; in chi entra in una società e trova la risposta al bisogno di appartenenza nella famiglia, dapprima, poi nel rapporto famiglia – nido, scuola dell’infanzia, scuola elementare ecc. È decisiva la presenza di strutture di appartenenza articolate, con differenze tra loro senza essere un ostacolo insormontabile, perché favoriscono una vita sociale più ampia. È possibile una riacutizzazione del bisogno quando vi è il pensionamento o il licenziamento, o la messa in cassa integrazione: l’uscita da un luogo di lavoro, che permetteva il sentirsi parte, determina una condizione di distress, anche se in un primo momento era vissuta come una maggiore libertà, perché si entra in una situazione scomoda e sconosciuta.

La fascia di età, in cui la ribellione diventa la norma è quella preadolescenziale e adolescenziale: essa corrisponde alla fase di ingresso nell’appartenenza alla vita adulta. Françoise Dolto, psicoanalista, ha parlato di sindrome dell’aragosta, perché è un periodo nel quale il soggetto si sente non protetto da una corazza, come l’aragosta che ha una mutazione e attraversa una fase in cui la corazza precedente è stata abbandonata. Non vi è ancora una nuova struttura protettiva abbastanza forte, la nuova identità è in una fase di costruzione e ogni incontro, ogni nuova possibilità, al di là del possibile entusiasmo, è percepita anche come una minaccia, che può scalfire, ferire, provocare lacerazioni. Ha scritto Winnicott: “ l’adolescenza è come mettere del mosto in botti vecchie”, dando bene l’immagine dell’esplosione di quella fase di crescita. Così succede a chi abbandona, non per volontà ma per un dato di fatto, un’appartenenza e non ne ha trovato ancora una nuova.

La ribellione, allora, mediante la creazione di un’immagine provocatoria e di rottura rispetto agli anni precedente, che coinvolge direttamente il corpo, l’esibizione della stessa condivisa con i coetanei, ha la funzione di organizzare un’appartenenza instabile che è sempre in contrapposizione a quella data: essa viene rinforzata però, in questa fase di debolezza, dallo sguardo ostile e dal disprezzo degli altri.

La ribellione, intesa come rottura di schemi e ricerca di nuove appartenenze (e l’adolescenza può essere presa a modello), può rappresentare un reale bisogno di cambiamento, in particolare quando vi è una necessità obiettiva di trasformazione della realtà: essa, infatti contiene in sé una forza che va contro l’inerzia istituzionale, se riesce nel tempo ad assumere un atteggiamento costruttivo/creativo, abbandonando lo sfogo del malcontento e di un atteggiamento a priori.

La ribellione dovrebbe essere così uno strumento provvisorio che innesca un processo di trasformazione e che contribuisce all’evoluzione della società.