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Riciclaggio tentato, ricettazione ed incauto acquisto

Nota a Corte di Cassazione - Seconda Sezione Penale, Sentenza 7 novembre 2006, n.36779
Un soggetto è indagato per riciclaggio in riferimento ad alcune operazioni di monetizzazione, presso banche o uffici postali, di assegni circolari del Credito Italiano (del valore complessivo di Euro 250.000,00), di assegni circolari svizzeri (per il valore di complessivo di Fsv. 2.500.000), costituenti titoli provento di furto e di falsificazione nella parte relativa alla girata del beneficiario e alla cancellazione della clausola di non trasferibilità, di tre libretti di deposito della BNL (ciascuno del valore di Euro 900.000,00), provento di furto e di falsificazione della procura per l’incasso da parte dei titolari, senza tuttavia aver ottenuto il corrispettivo in denaro dei detti titoli per fatti indipendenti dalla volontà sua e dei complici, nonchè per essere partecipe, capo e promotore di una associazione a delinquere, finalizzata al riciclaggio mediante la negoziazione di titoli di credito trafugati, alla contraffazione dei predetti al fine di ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa, alla contraffazione di documenti di identità (patenti di guida e carte di identità) e di tesserini di riconoscimento delle forze dell’ordine, alla sostituzione di persona, alla contraffazione del sigillo dello Stato e di altri enti presenti sui documenti contraffatti.

Il GIP del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto aveva applicato nei confronti dell’indagato (e alcuni suoi complici) la misura della custodia in carcere.

Il difensore dell’imputato ricorre in appello, chiedendo l’annullamento dell’ordinanza del Tribunale di Messina (del 17 marzo 2005) che confermava l’ordinanza di custodia cautelare. Inoltre la difesa deduce:

• la violazione delle regole di attribuzione della competenza per territorio in materia di delitto di associazione a delinquere. Infatti il ricorrente sostiene che la competenza territoriale spetta al Tribunale di Napoli, perchè dall’imputazione risulta che in quel distretto risiede il nucleo principale dei capi e dei promotori dell’associazione a delinquere, ad eccezione dell’imputato, presuppone che la contestazione del reato associativo escluda, nell’individuazione del giudice competente territorialmente, la rilevanza del luogo di compimento dei singoli reati-fine, trovando quindi applicazione la regola che stabilisce la competenza dei giudice del luogo in cui ha avuto inizio la consumazione del reato permanente, o, in alternativa, qualora non possa essere individuato con certezza il luogo di programmazione e ideazione dell’attività associativa, il criterio sussidiario, vale a dire quello del luogo di consumazione dell’ultimo reato fine accertato.

• La violazione delle condizioni generali di applicabilità delle misure cautelari (art. 273 c. p. p) in relazione alla norma sul reato di riciclaggio (art. 648 bis c.p.). La difesa sostiene che l’imputazione al suo cliente di essere stato un intermediario nei trasferimenti dei titoli tra gli indagati non è riassimilabile nella fattispecie del delitto di riciclaggio, ma in quella del delitto di ricettazione.

• La mancanza e manifesta illogicità della motivazione (art. 606 c. p. p., comma 1, lett. e)) in relazione alla gravità degli indizi sulla partecipazione all’associazione per delinquere. Il ricorrente deduce, infatti, che i fatti analizzati non giustificano l’esistenza dell’associazione a delinquere e tanto meno il ruolo di promotore o organizzatore della stessa, attribuitogli dall’accusa, ne’ la consapevolezza (il dolo) di agire per un’associazione di quel tipo, fermo restando che il fatto di procurarsi i titoli è indifferente al coinvolgimento in una associazione e che la comunanza di interessi economici con alcuni dei coindagati non basta a configurare l’esistenza di una associazione criminale fra di loro.

• La mancanza e manifesta illogicità della motivazione (art. 606 c. p. p., comma 1, lett. e)) in relazione alle esigenze e all’idoneità delle misure cautelari (art. 274 c. p. p. lett. c) e art. 275 c. p. p., comma 3). Il ricorrente deduce la genericità della motivazione, non fondata su alcun riscontro obiettivo, in ordine alle esigenze cautelari, sia in punto di concretezza e attualità della misura, sia in punto della adeguatezza della custodia in carcere come unico mezzo per interrompere i rapporti dell’indagato con l’associazione. Trattandosi di indagini su un soggetto incensurato, si sostiene la mancanza di valutazione della personalità dell’indagato, personalità che, per legge, dovrebbe essere dedotta da comportamenti o atti concreti.

I quattro motivi appena esposti sono stati considerati tutti infondati dalla Corte di Cassazione.

Quanto all’infondatezza del primo motivo, i giudici del merito hanno ritenuto applicabili le regole sulla competenza per materia in caso di connessione, ritenuta esistente tra il delitto associativo e i reati fine.

Quanto al secondo punto, il giudice ha stabilito che costituisce riciclaggio e non ricettazione la condotta di colui che non solo pone in contatto l’acquirente e il venditore, ma che interviene materialmente nel trasferimento del bene in quanto mentre la mediazione è un’attività accessoria al contratto di acquisto, il materiale trasferimento del bene dall’uno all’altro costituisce una condotta ulteriore e diversa che inserisce il mediatore tra coloro che agiscono per ostacolare la possibilità di identificazione del bene, indipendentemente dall’accertamento del reato presupposto, il che caratterizza l’elemento soggettivo e oggettivo del riciclaggio.

Contro il terzo punto, il giudice dichiara invece che la contestazione del reato associativo al ricorrente e ad altri soggetti sottoposti a indagine si fonda non solo sulla cooperazione nei singoli episodi di riciclaggio, ma sui risultati di una complessa attività investigativa che ha consentito di accertare una struttura stabile e permanente nel tempo, che consente ai sodali di mantenere i contatti con i fornitori di assegni o titoli rubati, acquistati e quindi falsificati, la provvista di documenti falsi ai c.d. “scambisti”, che si occupano del deposito o della monetizzazione dei titoli, la ripartizione dei proventi illeciti, previe le opportune verifiche bancarie e documentali, ed infine l’assunzione di spese legali nei procedimenti a carico dei componenti del sodalizio; il tutto in una struttura gerarchica che prevede ruoli territoriali ben definiti.

Infine, la Cassazione ha dichiarato che la personalità dell’indagato è desunta dal comportamento privo di remore del medesimo, il quale non ha desistito dalla condotta, neppure di fronte al pericolo di venire scoperto dagli inquirenti, nonchè dall’abitualità del crimine, dalla pluralità delle operazioni di riciclaggio, dagli obiettivi raggiunti, indizi idonei a dimostrare l’esistenza di pericolosi legami con ambienti criminali. Da qui l’infondatezza del quarto punto.

Un soggetto è indagato per riciclaggio in riferimento ad alcune operazioni di monetizzazione, presso banche o uffici postali, di assegni circolari del Credito Italiano (del valore complessivo di Euro 250.000,00), di assegni circolari svizzeri (per il valore di complessivo di Fsv. 2.500.000), costituenti titoli provento di furto e di falsificazione nella parte relativa alla girata del beneficiario e alla cancellazione della clausola di non trasferibilità, di tre libretti di deposito della BNL (ciascuno del valore di Euro 900.000,00), provento di furto e di falsificazione della procura per l’incasso da parte dei titolari, senza tuttavia aver ottenuto il corrispettivo in denaro dei detti titoli per fatti indipendenti dalla volontà sua e dei complici, nonchè per essere partecipe, capo e promotore di una associazione a delinquere, finalizzata al riciclaggio mediante la negoziazione di titoli di credito trafugati, alla contraffazione dei predetti al fine di ostacolare l’identificazione della loro provenienza delittuosa, alla contraffazione di documenti di identità (patenti di guida e carte di identità) e di tesserini di riconoscimento delle forze dell’ordine, alla sostituzione di persona, alla contraffazione del sigillo dello Stato e di altri enti presenti sui documenti contraffatti.

Il GIP del Tribunale di Barcellona Pozzo di Gotto aveva applicato nei confronti dell’indagato (e alcuni suoi complici) la misura della custodia in carcere.

Il difensore dell’imputato ricorre in appello, chiedendo l’annullamento dell’ordinanza del Tribunale di Messina (del 17 marzo 2005) che confermava l’ordinanza di custodia cautelare. Inoltre la difesa deduce:

• la violazione delle regole di attribuzione della competenza per territorio in materia di delitto di associazione a delinquere. Infatti il ricorrente sostiene che la competenza territoriale spetta al Tribunale di Napoli, perchè dall’imputazione risulta che in quel distretto risiede il nucleo principale dei capi e dei promotori dell’associazione a delinquere, ad eccezione dell’imputato, presuppone che la contestazione del reato associativo escluda, nell’individuazione del giudice competente territorialmente, la rilevanza del luogo di compimento dei singoli reati-fine, trovando quindi applicazione la regola che stabilisce la competenza dei giudice del luogo in cui ha avuto inizio la consumazione del reato permanente, o, in alternativa, qualora non possa essere individuato con certezza il luogo di programmazione e ideazione dell’attività associativa, il criterio sussidiario, vale a dire quello del luogo di consumazione dell’ultimo reato fine accertato.

• La violazione delle condizioni generali di applicabilità delle misure cautelari (art. 273 c. p. p) in relazione alla norma sul reato di riciclaggio (art. 648 bis c.p.). La difesa sostiene che l’imputazione al suo cliente di essere stato un intermediario nei trasferimenti dei titoli tra gli indagati non è riassimilabile nella fattispecie del delitto di riciclaggio, ma in quella del delitto di ricettazione.

• La mancanza e manifesta illogicità della motivazione (art. 606 c. p. p., comma 1, lett. e)) in relazione alla gravità degli indizi sulla partecipazione all’associazione per delinquere. Il ricorrente deduce, infatti, che i fatti analizzati non giustificano l’esistenza dell’associazione a delinquere e tanto meno il ruolo di promotore o organizzatore della stessa, attribuitogli dall’accusa, ne’ la consapevolezza (il dolo) di agire per un’associazione di quel tipo, fermo restando che il fatto di procurarsi i titoli è indifferente al coinvolgimento in una associazione e che la comunanza di interessi economici con alcuni dei coindagati non basta a configurare l’esistenza di una associazione criminale fra di loro.

• La mancanza e manifesta illogicità della motivazione (art. 606 c. p. p., comma 1, lett. e)) in relazione alle esigenze e all’idoneità delle misure cautelari (art. 274 c. p. p. lett. c) e art. 275 c. p. p., comma 3). Il ricorrente deduce la genericità della motivazione, non fondata su alcun riscontro obiettivo, in ordine alle esigenze cautelari, sia in punto di concretezza e attualità della misura, sia in punto della adeguatezza della custodia in carcere come unico mezzo per interrompere i rapporti dell’indagato con l’associazione. Trattandosi di indagini su un soggetto incensurato, si sostiene la mancanza di valutazione della personalità dell’indagato, personalità che, per legge, dovrebbe essere dedotta da comportamenti o atti concreti.

I quattro motivi appena esposti sono stati considerati tutti infondati dalla Corte di Cassazione.

Quanto all’infondatezza del primo motivo, i giudici del merito hanno ritenuto applicabili le regole sulla competenza per materia in caso di connessione, ritenuta esistente tra il delitto associativo e i reati fine.

Quanto al secondo punto, il giudice ha stabilito che costituisce riciclaggio e non ricettazione la condotta di colui che non solo pone in contatto l’acquirente e il venditore, ma che interviene materialmente nel trasferimento del bene in quanto mentre la mediazione è un’attività accessoria al contratto di acquisto, il materiale trasferimento del bene dall’uno all’altro costituisce una condotta ulteriore e diversa che inserisce il mediatore tra coloro che agiscono per ostacolare la possibilità di identificazione del bene, indipendentemente dall’accertamento del reato presupposto, il che caratterizza l’elemento soggettivo e oggettivo del riciclaggio.

Contro il terzo punto, il giudice dichiara invece che la contestazione del reato associativo al ricorrente e ad altri soggetti sottoposti a indagine si fonda non solo sulla cooperazione nei singoli episodi di riciclaggio, ma sui risultati di una complessa attività investigativa che ha consentito di accertare una struttura stabile e permanente nel tempo, che consente ai sodali di mantenere i contatti con i fornitori di assegni o titoli rubati, acquistati e quindi falsificati, la provvista di documenti falsi ai c.d. “scambisti”, che si occupano del deposito o della monetizzazione dei titoli, la ripartizione dei proventi illeciti, previe le opportune verifiche bancarie e documentali, ed infine l’assunzione di spese legali nei procedimenti a carico dei componenti del sodalizio; il tutto in una struttura gerarchica che prevede ruoli territoriali ben definiti.

Infine, la Cassazione ha dichiarato che la personalità dell’indagato è desunta dal comportamento privo di remore del medesimo, il quale non ha desistito dalla condotta, neppure di fronte al pericolo di venire scoperto dagli inquirenti, nonchè dall’abitualità del crimine, dalla pluralità delle operazioni di riciclaggio, dagli obiettivi raggiunti, indizi idonei a dimostrare l’esistenza di pericolosi legami con ambienti criminali. Da qui l’infondatezza del quarto punto.