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Riflessività

Diamo un nome al nostro agire consapevole
il mondo a colori
Ph. Cinzia Falcinelli / il mondo a colori

Essendo sempre generativa, la relazione richiede di essere abitata in profondità. Per questa ragione, proviamo a considerare il concetto, polisemico, di riflessività. Vorremmo aiutarci a capire cosa, effettivamente, sia la riflessività evitando di confinarla all’ambito dell’interiorità, pur non escludendola, bensì trattandola come una spaziosità dialogante con sé stessi in relazione al mondo e, di conseguenza, come responsabilità personale nell’agire sociale e professionale.

Immediatamente si potrebbe considerare l’operazione della mente che riflette su sé stessa ed a sé stessa ritorna; come se il pensiero si pensasse. Più semplicemente possiamo parlare di riflessione. In realtà riflessività è di più di una riflessione.

Perché? Ogni riflessione, di fatto, non svanisce in sé stessa, bensì deturpa o deterge il contesto nel quale è collocata.

Riflessività è un processo continuo di deliberazione interiore attraverso il quale, nei fatti, prendono forma le diverse relazioni sociali e professionali.

Agli esiti, individuali e comunitari, di questa reale cognizione sono interessati, in modo particolare, gli artigiani della conoscenza e i manovali della comunicazione del sapere.

L’attitudine ad essere riflessivi richiede il dimorare dentro particolari attitudini, le quali si riversano in atteggiamenti, per cucire la riflessività all’esperienza convertendo, così, il rapporto con l’altro, nel senso di una biunivoca corrispondenza e nella dinamicità costruttiva delle reciproche identità. Questa modalità d’essere, declinata operativamente, favorisce e sostiene l’allargamento dei confini di creatività i quali, diversamente, rimarrebbero angusti tuguri mentali segno di un burocratismo giurassico.

L’esplicitazione della riflessività è, oggi, più che mai imprescindibile in quanto l’espandersi delle conoscenze, unitamente alla cosiddetta connessione retinica, fa sì che nessi, legami, sensi ed accezioni, non siano più così immediatamente palesi e diventi, oltremodo, improcrastinabile il costruire cornici di rifermento valoriale entro le quali orientarsi. Per dar vita a saperi attuali (es. learning organization, reflective management, formazione alle metacompetenze, formazione esperienziale, narrazione autobiografica, etc.) ed operare scenari nuovi nei diversi contesti operativi, occorre, innanzitutto valorizzare l’esperienza. L’esperienza è l’espressione poietica tipica dell’umano, e dell’umano in relazione collaborativa non oppositiva, finalizzata al bene-essere comune.

Considerare qualitativamente la riflessione sull’esperienza, significa valicare l’obsoleta distinzione/separazione teoria-prassi, la quale riduce l’esperienza unicamente a luogo d’applicazione di conoscenze formali acquisite altrove. Significa incoraggiare la partecipazione, in prima persona, al processo di ricerca, ovvero vuol dire promuovere la domanda e l’enunciazione di riscontri, non assoluti, che il nostro fare/creare solleva.

Riflessività significa guardare con modalità trasformativa al futuro per coltivare nuovi pensieri, agire con nuove condotte ed attivare nuove pratiche sociali e professionali. Non si tratta, quindi, e lo sottolineiamo, di uno specchiarsi narcisistico autoreferenziale. Riflessività consiste nel vedere sé stessi in una prospettiva che, incorporando lo sguardo dell’altro, ci rende capaci di stimare, modificare, perfezionare, il nostro pensare ed il nostro agire.

Dovrebbe essere meno oscuro, a questo punto, che dire riflessività non significa appropriarsi di un sapere di tipo specialistico o tecnico. Tuttavia, la riflessività, non può neppur essere identificata come un’esile capacità dialogica. Dire riflessività, comprende, con la consapevolezza di non essere esaustivi, da una parte il rappresentare e l’interpretare una situazione, dall’altra il far emergere i pensieri taciti che influenzano le dinamiche elaborative dei significati, l’identificazione delle sfumature emozionali che accompagnano l’azione poietica e l’attinenza di quest’ultima alla galassia valoriale.

Se, come dicevamo, non esiste un sapere specialistico al quale compete il plasmare e l’addestrare alla riflessività, è senza dubbio vero che l’etica filosofica, in quanto attività pratica, con la sua metodologia e strumentazione ha, con la riflessività, una reale prossimità in quanto richiama l’idea socratica, mai incanutita, del conosci te stesso e del sapere di non sapere quali imperativi di saggezza del vivere. L’etica, che possiamo considerare all’origine della riflessività, inizia dal pensiero, retto e buono – in una parola onesto – e si traduce in attenzione, rispetto e riflesso nell’altro e con l’altro. Sinteticamente potremmo dire che il desiderio è presente nell’intenzione, la sensibilità nell’azione e la volontà nell’operazione, il tutto in una cornice di lealtà.