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Ritorsione con l’aggressore e possibilità di fuga: la legittima difesa è esclusa

legittima difesa
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Indice

1. La presunta legittima difesa

2. La valutazione della legittima difesa e la decisione della Cassazione

3. Legittima difesa tra fuga e atto di viltà

 

1. La presunta legittima difesa

Trattasi di procedimento penale per lesioni personali commesse ai danni della ex moglie dell’imputato, condannato nel processo di merito.

Tra i diversi motivi di gravame, per quanto a noi qui interessa, l’imputato ricorre denunziando di aver colpito la ex moglie in maniera fortuita, avendo egli con sé il figlio minore che cercava di proteggere dalla “contesa”.

Sempre secondo la ricostruzione dell’imputato (si legge dalla sentenza essere confermata da un teste oculare), la persona offesa lo avrebbe colpito alle spalle.

Pertanto, il Giudice di merito nella sentenza impugnata non avrebbe riconosciuto la scriminante della legittima difesa ex articolo 52 Codice Penale.

 

2. La valutazione della ritorsione dell’aggressore come legittima difesa e la decisione della Cassazione

La Corte dichiara manifestamente infondato questo motivo di gravame, condividendo la ricostruzione e la valutazione in diritto del Tribunale (Cassazione penale - Sezione Quinta, 06.06.2019 (depositata il 28.06.2019), n.28336).

Ritiene infatti immune da censure l’aver escluso la sussistenza del requisito della necessità al ricorso alla legittima difesa, elemento cardine dell’articolo 52; il Giudice di prime cure aveva infatti scritto in sentenza che l’imputato ben poteva “allontanarsi senza reagire”, o tutt’al più, limitarsi a neutralizzare l’offesa.

La Corte offre anche un altro elemento in ragione dell’esclusione della scriminante.

I Giudici scrivono che la legittima difesa è categoricamente da escludersi ogni qualvolta in cui il reo agisce non a scopo difensivo, quanto piuttosto per risentimento o ritorsione contro il soggetto passivo portatore di una qualsiasi offesa.

Tesi questa che era già stata sostenuta da precedenti pronunce, l’ultima datata 14.11.2017 (n. 52617 sezione I).

 

3. Legittima difesa tra fuga e atto di viltà

Come abbiamo visto, la Cassazione interviene pronunciandosi sui limiti della causa di giustificazione della legittima.

Ci si interroga quindi sino a dove l’aggredito ha la facoltà a sua volta di aggredire, ed in particolare, quando ha il diritto di farlo.

Procediamo con ordine.

La legittima difesa, per poter essere riconosciuta, necessita di diversi requisiti:

-attualità del pericolo (ingiusto);

-necessità all’autodifesa;

-proporzione tra offesa e difesa.

La recentissima modifica, nulla ha modificato.

Oggi l’orientamento maggioritario (poi vedremo come) sostiene l’esclusione della scriminante ogni qualvolta il soggetto avrebbe potuto darsi alla fuga e quindi evitare l’aggressione, venuto quindi meno il requisito della necessità.

Ma è sempre stato così?

Non va dimenticato che nei primi anni di vigenza del codice penale, ossia negli anni ‘30, la fuga veniva vista spesso come atto di viltà.

La stessa giurisprudenza in quel periodo sosteneva che la fuga avrebbe comportato un disonore, e quindi in un’ottica di bilanciamento di valori in gioco, poteva essere operata solo quando non avrebbe comportato un giudizio di viltà.

Ovviamente nei decenni a seguire si è registrato un orientamento in senso difforme, sebbene manchi uniformità di vedute sia in dottrina che in giurisprudenza.

In tema di fuga, è stata creata la figura giuridica del commodus discessus, ossia la “comoda ritirata”: la scriminante non opererebbe ogni qualvolta vi sia la possibilità di una fuga non disonorevole.

Si capisce facilmente la difficoltà di una interpretazione univoca.

La giurisprudenza e la dottrina prevalente oggi tendono comunque ad escludere la necessità se vi è una qualsiasi possibilità di darsi alla fuga. Questo perché nel bilanciamento di interessi in gioco, una fuga per quanto vile non potrebbe mai essere accostata ad interessi quali il diritto alla salute ed alla incolumità.

Secondo aspetto evidenziato nella pronuncia in commento: assenza di giustificazione in caso di difesa per pregresso risentimento e ritorsione contro l’aggressore.

Facciamo chiarezza.

Come si è detto, l’articolo 52 del codice prevede che la difesa debba essere sia necessaria e che il pericolo dell’offesa sia attuale.

Va da sé che ogni azione motivata non già dal pericolo imminente quanto piuttosto da una (precedente) situazione di risentimento tra aggressore ed aggredito, e se viene in sede dibattimentale dimostrato che era proprio questo l’animus ed anche l’unico motivo di chi ha reagito all’offesa, fa venir meno la necessità della difesa ed anche l’attualità del pericolo.

In altri termini, l’animus di chi si difende diventa, possiamo dire, quello vendicativo, tipico di chi agisce per ritorsione.

L’azione quindi cessa di essere difensiva, diventando offensiva.

Letture consigliate

C.F. Grosso, Difesa legittima e stato di necessità, Giuffrè 1964.

F. Viganò, Sulla nuova legittima difesa, Giuffrè 2006.

C.A. Zaina, La nuova legittima difesa, Cedam 2006.

F. Mantovani, Diritto penale-parte generale, Cedam 2007.

G. Fiandaca-E. Musco, Diritto penale -Parte generale, Zanichelli 2008.