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Scarfiotti. Dalla Fiat a Rossfeld

di Paola Rivolta
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Nel 2018, a cinquant’anni dalla morte del leggendario pilota automobilistico Lodovico Scarfiotti, esce questo libro di Paola Rivolta che racconta le sue imprese sportive e la storia della sua famiglia nel corso del Novecento, a partire dal nonno, primo presidente della Fiat, da cui aveva preso il nome.

L’8 giugno 1968, a Rossfeld in Germania, la Porsche 910 guidata da Lodovico Scarfiotti esce di strada durante le prove del Premio delle Alpi, corsa in salita che si disputa a Rossfeld in Germania. In questo incidente Scarfiotti, vincitore del Gran Premio d’Italia del 1966 per la Ferrari e, fino ad oggi, ultimo pilota italiano a trionfare a Monza per la scuderia modenese, perde la vita.

Al momento della sepoltura, sulla tomba di famiglia, accanto al suo nome sono incise anche le date di nascita e morte del nonno Lodovico che all’inizio del secolo aveva ricoperto il ruolo di primo presidente della Fiat e con il quale il pilota condivide, oltre al nome, ora anche il destino di una fine violenta e precoce.

In questo avvincente romanzo storico-biografico, l’autrice ricostruisce, grazie a lunghe e approfondite ricerche d’archivio, gli eventi e le imprese in campo imprenditoriale e sportivo della vita di questi due uomini che hanno lasciato un segno tangibile nella storia industriale e sportiva italiana, dalla quale però sono stati, in qualche modo, estromessi.

Anello di congiunzione tra le due generazioni e fulcro di questa saga familiare è Luigi Scarfiotti, deputato, industriale, gentleman driver, figlio dell’imprenditore Lodovico e padre del pilota.

Un racconto biografico tutto italiano in cui passioni, affari, politica e sport s’intrecciano indissolubilmente, nel passaggio di un secolo, con due guerre mondiali, il fascismo, ripetute crisi finanziarie e il boom economico degli anni Sessanta.

Qui di seguito un brano del libro, che racconta proprio la nascita della Fiat:

 

Il sole è ancora alto, solo a tratti velato da rarefatte e lacerate nuvole. Il vento, caldo, soffia da nord-ovest e si incanala nelle vie che si dipartono da piazza Solferino verso est. Come in un imbuto. Un vento secco, non sgradito, che solleva i lembi della giacca e costringe a tratti Lodovico a fermare con una mano il cappello. È una sensazione appagante, di benessere fisico, di leggera euforia per ciò che sarà ed è. Oggi si firma davanti al notaio. Le carte le ha lette infinite volte, ne conosce ogni parola. Ne ha sentito per giorni la responsabilità sulle sue spalle. La necessità imperativa di non azzardare oltre il dovuto. Ma ora è sereno e si gode questa passeggiata da casa al futuro, sospinto dal Favonio. Percorre quasi tutta via Alfieri e, avvicinandosi al palazzo che ospita il Banco di Sconto e Sete, dove si sono dati appuntamento lui e gli altri soci, per la prima volta nota le curiose decorazioni della facciata. Sul basamento sono scolpite teste con sembianze tra l’umano e il leonino dalle cui sopracciglia si sprigionano foglie e nella cui bocca, innaturalmente spalancata, scorrono pesanti nastri carichi di frutta e fiori. Al piano superiore, busti di uomini dal capo ornato di corone d’alloro o foglie di quercia sovrastano ogni singola finestra. Lodovico attraversa lentamente l’austero androne e si ferma sul limitare del porticato, tre serie di archi che si affacciano sul cortile interno. Qui, lungo le pareti, si affollano mascheroni grotteschi, telamoni a sostenere architravi, satiri, antichi romani, donne settecentesche e sultani, tutti intenti a osservare chi passa o sosta. È come se nel palazzo si fossero fermati i testimoni di millenni di storia. Lodovico li guarda divertito e si chiede se anche qualcuno di loro lascerà mai traccia di sé in un busto, un mascherone grottesco, magari solamente in un dipinto.

L’edificio era stato, in effetti, scenario di molti avvenimenti torinesi. Solo nella seconda metà dell’Ottocento, dalla famiglia Lascaris, da cui aveva preso il nome, era passato di proprietà al conte Camillo Benso di Cavour, per poi divenire sede del Consiglio di Stato e della Corte di Cassazione. Infine, dopo essere stato acquistato dal Banco di Sconto e Sete, una volta lottizzato, nel 1884, era divenuto sede di banche in un’epoca nella quale si stava connotando, attorno a piazza San Carlo, una sorta di nucleo urbanistico finanziario dove si erano andati a collocare tutti i principali istituti bancari.

Erano quelli gli anni in cui in Europa sorgevano le cosiddette banche di investimento che sostenevano direttamente lo sviluppo industriale tramite l’acquisizione di rilevanti pacchetti azionari delle società ritenute strategiche. L’influenza di queste attività bancarie sulla piazza torinese era stata quasi immediata. In tal modo il Banco di Sconto e Sete era divenuto, come altri istituti bancari della fine dell’Ottocento, una via privilegiata di immissione di ingenti capitali stranieri negli affari torinesi.

Questo grande afflusso di denaro era stato proprio uno dei motivi per i quali Torino era apparsa come la localizzazione ideale per l’avvio della Fiat, oltre alla disponibilità di abbondante energia idroelettrica a basso costo e di una manodopera qualificata proveniente da lavorazioni di alta precisione e dai numerosi tradizionali laboratori di carrozzeria.

«Addì 11 luglio 1899 si è radunato il Consiglio di Amministrazione della “Fabbrica Italiana di Automobili” Società Anonima con sede in Torino […] col seguente ordine del giorno

1. Nomina del Presidente. Vice presidente e Segretario.

2. Nomina del Direttore generale e Direttore tecnico.

3. Provvedimenti vari.»

L’avventura industriale della Fiat ha inizio, così, con la nomina di Lodovico Scarfiotti a presidente, quella di Emanuele di Bricherasio a vice presidente, di Giovanni Agnelli a segretario, di Enrico Marchesi a direttore generale e di Aristide Faccioli a direttore tecnico.

Sin dalla prima seduta del Consiglio appaiono evidenti le difficoltà nel fare affidamento sulle officine Ceirano, di cui sono stati acquistati i brevetti, per l’avvio della produzione. Diviene immediatamente chiara l’urgenza di trovare un terreno idoneo a ospitare un proprio stabilimento e la necessità di inviare, su proposta di Lodovico, i due direttori in Francia per informarsi sui «metodi più recenti di lavorazione degli automobili e delle disposizioni più vantaggiose dei locali per l’officina».

Le difficoltà iniziali uniscono ancor di più i soci fondatori attorno all’obiettivo che appare comune. Si sentono davvero una acies, una sola schiera. Nei Consigli di amministrazione ognuno di loro porta, al servizio della riuscita del progetto industriale, il proprio vissuto.

[…] Lodovico non era direttamente coinvolto in altre attività automobilistiche, non appariva uomo dalle grandi ambizioni personali, ma era conosciuto come persona diplomatica ed era ben gradito a tutti. Un presidente in qualche modo di garanzia che nelle sedute dell’Assemblea appare muoversi agilmente anche nelle argomentazioni tecniche e che, grazie agli studi di legge, svolge delicati compiti di mediazione nelle cause con fornitori, agenti e società concorrenti, cause che divengono sempre più frequenti man mano che l’attività industriale si consolida.

Paola Rivolta, Scarfiotti. Dalla Fiat a Rossfeld, collana Narrativa, pagg. 472, euro 20,00, ISBN 978-88-98094-44-8.