Scartare i documenti? No, non si sa mai... Entropia, disposofobia e pusillanimità nelle amministrazioni pubbliche

disposofobia e pusillanimità nelle amministrazioni pubbliche
disposofobia e pusillanimità nelle amministrazioni pubbliche

Scartare i documenti? No, non si sa mai...
Entropia, disposofobia e pusillanimità nelle amministrazioni pubbliche

 

Ci sono tre parole-chiave, di uso non comune, che meriterebbero di entrare di diritto nel lessico della gestione documentale: entropia, disposofobia e pusillanimità.

Prima di evidenziarne le ricadute, esaminiamone i concetti principali.
 

Entropia

L’entropia è un concetto proprio della termodinamica, della fisica e, venendo più appresso al nostro tema, della scienza dell’informazione.

Come concetto fisico, è spesso associata al disordine e alla casualità in un sistema. Pertanto, essa può essere applicata anche al disordine documentale, cioè alla gestione e all’organizzazione dei documenti in un contesto aziendale o personale privo di criteri o in assenza di applicazione dei criteri previsti.

Quando avviciniamo il concetto di entropia alla gestione dei documenti, dunque, possiamo osservare come un archivio disorganizzato soffra di un’entropia elevata. Questo significa che i documenti sono tenuti privi di tassonomia, sparsi un po’ ovunque, difficili da gestire, ma anche da trovare. Da ciò consegue che l’efficienza del sistema documentale è minore o, molto più spesso, critica.

L’entropia, infatti, si riferisce al disordine e alla casualità con cui si alimenta un sistema, in grado soltanto di aumentare e non di diminuire. In buona sostanza, l’entropia può essere considerata anche come una quantità di energia sprecata e inutilizzabile per produrre qualcosa. Così, quando si registrano i documenti, si spreca energia nel trattarli ma poi abbandonarli nel disordine. Ora, dal momento che quest’ultimo è direttamente proporzionale alla grandezza, ecco che a un disordine più elevato corrisponde un’entropia maggiore.

Tenendo presente sullo sfondo queste considerazioni della fisica, Claude Shannon, uno dei pionieri della scienza dell’informazione, nel 1948 teorizzò come l’entropia provochi l’inaffidabilità incrementale dell’informazione. In pratica, a un numero progressivamente elevato di informazioni corrisponde una minore capacità informativa e, quindi, di conoscenza.

Di fronte a una mole smisurata di informazioni, quindi, non cresce la conoscenza rispetto alla fonte, bensì il contrario: di troppa informazione, soprattutto considerata in maniera piatta e priva di tassonomia, si muore. Allo stesso modo, conservare male o produrre copie di copie di copie disorganizzate e inaffidabili equivale a nebulizzare le risorse informative.
 

Disposofobia (e “invidia documentale altrui”)

La disposofobia, chiamata anche sindrome da accumulo, rappresenta l’incapacità di eliminare le cose, tanto di valore quanto di scarsamente apprezzabile. Ciò implica una concentrazione eccessiva di beni, di oggetti, di documenti e di qualsiasi altra cosa, favorendo in questo modo la proliferazione di ambienti di lavoro disordinati e, spesso, a efficienza zero. Tale disturbo conduce le persone ad accumulare informazioni, oggetti, documenti in modo compulsivo. Si tratta di una sindrome che porta a vivere anche nel disordine fisico e mentale.

Venendo in archivio, il caso più rappresentativo è quello di un collega che, nel corso di una riunione, intravvede una relazione, un articolo, un provvedimento sul tavolo di un altro collega e ne chiede subito copia. Intanto, prima tentazione irrefrenabile, cerca di ottenerlo e di metterlo da qualche parte tra le cose da leggere, anche se probabilmente non gli servirà o non lo leggerà mai.

La disposofobia in archivio, detta per celia invidia documentale altrui, altro non fa che provocare disordine e incertezza rispetto alla completezza e all’autenticità dei documenti (ovviamente, l’accumulatore seriale conserva copie di copie di documenti, di per sé, inaffidabili). Il soggetto disposofobico, inoltre, fatica a liberarsi di documenti inutili, quasi ne soffre a farlo o comunque ciò gli provoca un disagio emotivo.

Gli ambienti di lavoro disordinati, tuttavia, possono essere molto pericolosi sul fronte della unitarietà di un’aggregazione documentale, messa a repentaglio da un disordine endogeno. Lavorare nel disordine, infatti, può essere frustrante. L’accumulo eccessivo di documenti da un lato rende difficoltosa la ricerca di documenti importanti e di informazioni preziose, dall’altro riduce in modo significativo l’efficienza: questo è il caso in cui la disposofobia incontra l’entropia.

Una soluzione potrebbe essere l’implementazione di politiche di gestione documentale più rigorose, perché la mancanza di un sistema archivistico o, peggio, la sua applicazione formale, mantenendo in parallelo un disordine sostanziale con un sistema ufficioso e personalistico, altro non fa che provocare disordine sempre maggiore.

E ciò provoca aumento dei costi, ossia l’antieconomicità del sistema a causa del tempo impiegato nella ricerca di documenti affidabili e, inevitabilmente, delle maggiori risorse umane necessarie. E ciò avviene con particolare riferimento ai rischi legati dall’incertezza sulla organicità di un’unità archivistica (si pensi a un contenzioso in cui il soggetto produttore si presenti con palesi vuoti documentali: sarebbe l’anticamera della soccombenza in giudizio).
 

Pusillanimità

La pusillanimità è descritta come una mancanza di coraggio nell’agire. Essa rappresenta una condizione tipica di chi difetta di determinazione e dimostra pochezza d’animo (il termine in latino significa, infatti, “di animo piccolo”). A differenza del pavido, di per sé fifone, il pusillanime non disdegna di mettere a repentaglio la vita degli altri pur di salvare la propria.

pusillanime

Nella gestione documentale, la pusillanimità è spesso associata alla paura e all’insicurezza nell’eliminare legalmente i documenti. Il principio che fa muovere le persone in questa direzione è racchiuso nel celebre motto negazionista “Non buttiamo nulla, perché non si sa mai”.
 

La gestione documentale tra disposofobia, entropia e pusillanime

Molte amministrazioni pubbliche sembrano naturalmente votate, anche inconsapevolmente, al caos documentale. Alcune, anche se obbligatoriamente previsto dalla normativa vigente, non hanno un piano di classificazione e, se lo hanno, non è aggiornato. Inoltre, cosa ben peggiore, per soddisfare i requisiti di legge, i documenti sono classificati nella registrazione di protocollo in maniera formale, ma poi l’organizzazione documentale avviene attraverso criteri personalistici ed effimeri propri di ciascuna unità organizzativa, ma anche di ciascuna persona fisica al proprio interno. In pratica, si classifica con regolarità apparente, ma poi ogni funzionario sistema i documenti di cui è responsabile da irresponsabile, secondo i più elementari e distorti criteri personalistici.

Così, le PA che non hanno mai approvato un Manuale di gestione documentale (previsto ancora dal DPCM 31 ottobre 2000 e oggi dalle Linee guida AgID del 2021 - https://www.agid.gov.it/sites/agid/files/2024-05/linee_guida_sul_documento_informatico.pdf), non hanno nemmeno un Piano per la fascicolatura, pure previsto dalla medesime linee guida e dall’art. 41 del Codice dell’amministrazione digitale (D.Lgs. 82/2005).

Qui conviene abbattere un muro. Chi classifica, ma non fascicola i documenti, non può essere considerato a norma. Le regole, infatti, prescrivono anche l’inserzione dei documenti in aggregazioni documentali, siano esse fascicoli o serie. E va da sé che i documenti dei procedimenti amministrativi non possano essere gestiti sciolti, cioè slegati dal proprio contesto funzionale e procedimentale, pena la totale assenza di informazioni affidabili (entropia).

L’ultima nota dolente riguarda la mancanza delle operazioni di scarto. All’interno del processo di selezione, le amministrazioni pubbliche sono chiamate a eliminare periodicamente (non saltuariamente o alla bisogna) i documenti dichiarati inutili attraverso un processo di selezione continua, che approda alla conservazione a lungo termine oppure, appunto, al procedimento amministrativo di scarto.

Quest’ultimo si conclude con l’autorizzazione rilasciata dai competenti organi periferici o centrali del Ministero della cultura (Archivi di Stato e Soprintendenze archivistiche): qui, a mente delle Linee guida AgID sulla gestione documentale è presente la mappatura del processo di selezione e del procedimento di scarto https://www.procedamus.it/8-eventi/448-mappaturascarto2024.html.

Al di là della presenza o meno del Massimario di selezione (qui un esempio recentissimo: https://www.procedamus.it/8-eventi/437-massimario-dga2024.html, alla richiesta di iniziare le attività per giungere all’eliminazione legale dei documenti senza emergenze, alcuni funzionari e alcuni dirigenti si espongono in tutta la più imbarazzante pusillanimità.

Essa si evidenza in due modi: il primo è il rifiuto categorico di eliminare documenti (anche in copia) per paura del domani; il secondo è il dilatarsi della proposta dei tempi di conservazione dei documenti. Ad esempio, i termini civilistici di 5 anni schizzano irragionevolmente a 20 o a 30 anni, con una battuta ormai di rito: scarterete i documenti quando sarò in pensione.

Di tenore opposto è la richiesta di chi deve urgentemente (e l’urgenza è causa di molti mali https://www.forumpa.it/riforma-pa/la-pa-vittima-della-cultura-dellurgenza/) sgomberare stanze, uffici, magazzini per far posto ad altro.

Ecco che allora si butta via il bambino con l’acqua sporca perché – forse è appena il caso di ribadirlo – lo scarto può avvenire soltanto in presenza di un archivio ordinato e per aggregazioni documentali, mai documento per documento. Alla fine il risultato è l’aumento di disordine, il caos esponenziale con entropia, disposofobia e pusillanimità a fare il resto.

Non sarebbe ora di avere personale preparato e in grado di compiere il proprio lavoro senza timori, ma con coscienza critica votata all’ordine e alla semplificazione? Si conserva (bene e in ordine) soltanto ciò che merita di essere conservato, per tutto il resto esiste l’eliminazione legale, doverosa anche per criteri di efficienza della macchina pubblica.