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Scrivere il diritto: gergo, tempi verbali, maiuscole

Scrivere di diritto
Scrivere di diritto

Indice:

1. La difficoltà dello scrivere

2. Tempi verbali sbagliati o quasi

3. Termini specialistici e finto italiano

4. L’uso politico delle maiuscole

 

1. La difficoltà dello scrivere

Scrivere non è un’attività semplice. I bambini cercano di evitarlo, quando possono, e lo stesso vale per i poliziotti. Quante volte ho sentito: “Scrivi tu? Dai, per favore, non ne ho voglia”. Frasi del genere sono ricorrenti nelle questure italiane, dopo un arresto o una perquisizione. Ma quello che in molti non sanno è che “scrivere bene” in polizia è un complimento raro, qualcosa di cui vantarsi; quando un collega scrive bene la voce si diffonde e gli agenti fanno la fila per lavorare con lui.

Certo, guidare veloce e sparare dritto e coprire le spalle sono cose importanti, ma se non si riesce a riprodurre su carta quello che è accaduto in strada, tutto l’impegno e tutto il rischio profusi saranno stati solo fatica sprecata. Perché, sebbene il processo penale segua il principio dell’oralità, la carta resta la sostanza più importante di cui sono fatte le indagini.

E se i verbali e le annotazioni non contengono tutti gli elementi che servono, organizzati in modo chiaro, preciso e completo, il pubblico ministero non sarà in grado di sostenere l’accusa e tutta quella fatica, la fatica dello scrivere, sarà stata fatica inutile, perché un processo non ci sarà mai.

Ricordo un collega che arrestò due individui. Avevano cercato di entrare negli uffici di una discarica senza sapere che il titolare dormiva all’interno. Ma l’arresto non venne convalidato perché il collega non era stato in grado di illustrare nel verbale, in modo chiaro e incontrovertibile, che: l’ufficio si trovava all’interno del terreno della discarica; i malfattori avevano scavalcato un muro di cinta per giungere a quegli uffici; il titolare li aveva sentiti mentre armeggiavano a lungo per forzare la porta d’ingresso.

Il verbale era impreciso e il GIP aveva mosso legittimi dubbi sulle circostanze: nella rappresentazione mentale alla quale era giunto il magistrato, tramite l’unico strumento a sua disposizione ovvero la lettura del verbale, si era immaginato due passanti che avevano bussato, in modo del tutto innocente, alla porta di un’attività commerciale affacciata sul marciapiede.

Quando invece un poliziotto scrive bene può accadere qualcosa di magico: il pubblico ministero gli chiede il file del verbale e così le parole scritte nella fatica della notte, fra il sudore e la sporcizia della questura, finiscono nella richiesta di convalida, o di misura cautelare, e da lì sugli atti del GIP, del GUP, perfino nella sentenza.

Questo in realtà è terreno fertile per i difensori, che possono motivare l’appello col fatto che il giudice ha recepito in maniera acritica la tesi dell’accusa, così come ricopiata fedelmente addirittura dagli atti di polizia giudiziaria. I magistrati dovrebbero infatti, quantomeno, riprodurre gli stralci tra virgolette, e poi argomentarli in maniera adeguata. Ma tralasciamo per un momento la questione puramente giuridica e mettiamoci nei panni di quel poliziotto, che magari ha dovuto interrompere gli studi dopo la licenza media: vedere riportate le proprie frasi, per come sono state scritte, con fatica, dentro agli atti di uno, due, tre appartenenti alla magistratura, giuristi e studiosi del diritto e della parola, non può che essere una fonte di soddisfazione.

 

2. Tempi verbali sbagliati o quasi

Proprio perché è faticoso scrivere, ogni scappatoia è buona. E le difficoltà sono maggiori nei verbi: congiuntivi, consecutio temporum, coniugazioni irregolari. Trappole ovunque, perfino negli usi anomali dei tempi. Perché il presente indicativo non si riferisce solo a qualcosa che avviene nel momento attuale: “La Repubblica nasce nel ’46” ci racconta un evento passato. “Fermo o sparo!” è un atto ipotetico e futuro. “Il collasso gravitazionale genera stelle compatte” è un’asserzione che vive addirittura fuori dal tempo.

Anche il futuro non è da meno: “Non crederai a quella serpe” è una congettura presente, “Saranno stati tre metri” si tuffa verso il passato.

Purtroppo esiste un modo per salvarsi dagli incastri temporali e chi pratica il diritto lo conosce fin troppo bene: è il trucco dell’imperfetto.

“La pattuglia interveniva presso l’abitazione dei succitati, dove notava il Rossi con un’ecchimosi al volto. La parte lesa dichiarava che nel pomeriggio il convivente Bianchi lo colpiva ripetutamente al volto con un oggetto contundente. Il Rossi sosteneva di aver agito per scherzo, ma poiché si trattava di soggetto avvezzo a comportamenti del genere, gli operanti lo arrestavano e lo ponevano a disposizione dell’autorità giudiziaria”.

L’imperfetto consente di annullare e schiacciare ogni piano temporale. Tutto ciò che avviene prima, dopo o durante, si rende all’imperfetto, e il gioco è fatto. Stilisticamente orrendo, logicamente ineccepibile.

 

3. Termini specialistici e finto italiano

Chiunque abbia letto un verbale di polizia sa quanto possono essere brutti certi passaggi. La storia di Bianchi e Rossi è solo un piccolo esempio.

Non ha resistito Raymond Queneau, nei suoi Esercizi di stile (1947), alla possibilità di sfoggiare un tono formale: “Ho avuto l’occasione di riconoscere il sopra menzionato passeggero qualche tempo dopo in compagnia di un personaggio non meglio identificato”.

Tutti conoscono il famosissimo passaggio di L’antilingua (apparso il 3 febbraio 1965 su Il Giorno), in cui Italo Calvino mette in scena un brigadiere che verbalizza un semplice furto. Nel linguaggio burocratico “stufa” è reso con “impianto termico”, i “fiaschi di vino” si tramutano in “prodotti vinicoli”, e “dietro la cassa del carbone” diventa l’incredibile frase: “in posizione retrostante al recipiente adibito al contenimento del combustibile”.

Nel notevole cortometraggio Piccole cose di valore non quantificabile, regia di Paolo Genovese e Luca Miniero (1999), il linguaggio burocratico di un carabiniere serve da contrasto rispetto a una rivelazione emozionante e profonda: “Allora signorina, mi dica cosa le è stato sottratto. […] Quanti erano questi sogni, signora? […] La-denunciante-non-ricorda-il-numero-esatto-dei-sogni-sottrattigli”.

Anche le singole parole subiscono modifiche e stravolgimenti, nel linguaggio specialistico della polizia. Allarmata non è una signora spaventata, ma una porta collegata all’antifurto. Notiziare – attestato anche in Alfieri e Sciascia – fa storcere il naso ma non va confuso con informare, perché notizia e informazione sono cose ben diverse. Sebbene giornalisti e agenti segreti utilizzino queste parole con accezioni spesso opposte.

Attenzionare invece ha una storia bizzarra. Nasce nel gergo politichese degli anni sessanta: gli affibbiano il significato di “sottoporre all’attenzione”. È un verbo impolverato come le pratiche che i dirigenti ministeriali “attenzionano” ai loro colleghi. Giustamente definito “mostriciattolo del lessico burocratico”, diventa poi oggetto di un vero e proprio miracolo.

Il cambiamento di rotta avviene grazie alle forze dell’ordine: quando attenzionare entra nell’orbita di poliziotti e carabinieri questi trovano il verbo che mancava, quello dell’investigatore capace che si incuriosisce, studia l’obiettivo, tiene il fascicolo di un criminale sulla scrivania, innesca gli informatori e coinvolge i colleghi, insomma compie tutte quelle attività che nel loro insieme gli permettono di attenzionare un soggetto. E quando un verbo con precisione riunisce, nell’eleganza di una singola parola, la complessità di una serie specifica di comportamenti, si può e si deve parlare di miracolo.

 

4. L’uso politico delle maiuscole

Ma non tutti i Pubblici Ufficiali hanno tempo di attenzionare i criminali. La maggior parte è impegnata in compiti ben più nobili, funzioni che meglio si addicono a Prefetti, Dirigenti, Commissari della Polizia di Stato. Perché se commissario di polizia è una cosa, Commissario di Polizia è tutt’altra. In un’ottica medievaleggiante le Signorie Vostre e le Eccellenze sono dietro l’angolo, sempre che Lei sia d’accordo, in modo da poterLe porgere ossequiosi saluti indirizzati alla Sua (o Vostra) figura.

Le maiuscole cercavano (e cercano) di rivestire chi non lo meritava di una forma di importanza, un uso vessatorio delle Autorità sui cittadini – chissà se arriveremo a scrivere mai autorità e Cittadini – finché col tempo si è fatto sentire anche l’influsso del mondo anglosassone. Laggiù FBI sta per Federal Bureau of Investigation e CIA per Central Intelligence Agency. Quaggiù, dalla DEA alla DIA, dagli USA alla UE, perfino i ministeri sono diventati acronimi: MISE, MAE, MEF, MIUR… Solo i fossili, residui post bellici a metà fra telex e nota radio, combattono per salvarsi: come “MinInt”, mezza sigla e mezzo vezzeggiativo, cugino primo di Polfer, Polposta e Polmetro.

Si tratta (forse) della stessa mentalità che aveva preferito i nomi di città all’alfabeto NATO: Ancona al posto di Alfa, Bologna anziché Bravo, Como invece di Charlie.

Ma se F di Firenze e T di Taranto sono facili da capire, e X di pareggio lo è per chiunque conosca il totocalcio, quanta fatica per decifrare Y di fionda o J di manico d’ombrello. Gergo di una polizia che non c’è più e ch’è forse sparita senza lasciare un segno. Perché la scrittura in fondo è questo: lasciare un segno.

Giuseppe Pontiggia, uno dei primi scrittori italiani a ritenere che scrivere si potesse anche insegnare, vedeva nella lucidità del pensiero la guida fondante di ogni testo. Ma allora se la parte difficile è sapere cosa scrivere, piuttosto che come, forse ci dovremmo arrabbiare con quelle persone che scrivono del nulla – per di più in maniera confusa e oscura – piuttosto che irritarsi con chi sbaglia qualche congiuntivo, traballa nel punteggiare lo schermo, o scrive qual’è con l’apostrofo. Faccenda quest’ultima riguardo alla quale non tutto è come sembra…

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Letture consigliate

Michele Frisia, Delitti e castighi, Dino Audino Editore https://www.audinoeditore.it/libro/9788875274306

Patrizia Bellucci, A onor del vero. Fondamenti di linguistica giudiziaria, UTET Giuridica

Bice Mortara Garavelli, Le parole e la giustizia. Divagazioni grammaticali e retoriche su testi giuridici italiani, Einaudi

Paolo Moro (a cura di), Scrittura forense. Manuale di redazione del parere motivato e dell’atto giudiziale, UTET Giuridica

Raymond Queneau, Esercizi di stile, Einaudi

Giuseppe Pontiggia, Dentro la sera. Conversazioni sullo scrivere, Belleville