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Segretari unionali

Principio di onnicomprensività del trattamento economico dei dirigenti
Etna fumante sul mare, Reggio Calabria, Italia, Dicembre 2018
Ph. Giacomo Porro / Etna fumante sul mare, Reggio Calabria, Italia, Dicembre 2018

Abstract:

Le unioni di comuni sono enti previsti dall’ordinamento per l’esercizio associato di funzioni e servizi. Operano con molti limiti di personale e di risorse. A fronte di una normativa tesa al contenimento della spesa pubblica, si affronta la questione della retribuibilità dei dirigenti che lavorano nell’unione, in considerazione del principio di onnicomprensività della retribuzione, prendendo spunto da quanto è previsto per i segretari unionali chiamati a ricoprire funzioni dirigenziali.

 

Indice:

1. Introduzione al tema

2. Incarichi non istituzionalmente dovuti attribuiti ai segretari comunali nelle unioni

3. La retribuzione delle funzioni dirigenziali nell’unione di comuni del segretario unionale

4. La retribuzione delle funzioni dirigenziali nell’unione di comuni da parte dei dirigenti

5. Conclusioni

 

1. Introduzione al tema

Il principio dell’onnicomprensività del trattamento economico dei dirigenti è stabilito dall’articolo 24 comma 3 del Decreto Legislativo n. 165/2001 che dispone: “Il trattamento economico determinato ai sensi dei commi 1 e 2 remunera tutte le funzioni ed i compiti attribuiti ai dirigenti in base a quanto previsto dal presente decreto, nonché' qualsiasi incarico ad essi conferito in ragione del loro ufficio o comunque conferito dall'amministrazione presso cui prestano servizio o su designazione della stessa; i compensi dovuti dai terzi sono corrisposti direttamente alla medesima amministrazione e confluiscono nelle risorse destinate al trattamento economico accessorio della dirigenza”, nonché dall’articolo 20 del Contratto Collettivo Nazionale di Lavoro (CCNL) del Personale Dirigente del Comparto Regioni ed Autonomie Locali (Area II) Quadriennio normativo 2006-2009- biennio economico 2006-2007 rubricato “Onnicomprensività del trattamento economico” prevede l’onnicomprensività del trattamento economico (comma 1).

In applicazione di tale previsione, quindi, è riconfermato che, in favore della dirigenza, accanto al trattamento dirigenziale, sia prevista la sola corresponsione del trattamento economico accessorio rappresentato dalla retribuzione di posizione e di risultato.

Il comma 2 dell’articolo, tuttavia, introduce, in aggiunta a tali voci retributive, la possibilità, per i dirigenti, di erogare ulteriori compensi. Tali compensi, anche sulla scorta delle precedenti previsioni contrattuali in materia, si identificano con:

  1. i compensi professionali per gli avvocati nel caso di enti dotati di uffici di avvocatura;
  2. i compensi per incentivi alla progettazione di cui all’articolo 92 comma 5 del Decreto Legislativo n. 163/2006 (vecchio Codice degli Appalti), poi esclusi a decorrere dal 19 agosto 2014 in virtù della legge 11 agosto 2014, n. 114;
  3. incentivi per recupero ICI.

Fatte queste debite eccezioni, la norma prosegue (comma 3) affermando che gli incarichi svolti ed espletati mediante conferimento, designazione o nulla osta, ove conferiti da soggetti terzi, pubblici o privati, su designazione dell’ente, riconduce lo stesso ed il relativo compenso al regime della onnicomprensività.

Le somme derivanti dall’applicazione del principio di onnicomprensività del trattamento economico dei dirigenti, riferite anche ai compensi per incarichi non connessi direttamente alla posizione dirigenziale attribuita (ma sempre riconducibili alla generale rappresentanza degli interessi dell’ente), sono destinate al finanziamento della retribuzione di posizione e di risultato dei dirigenti, in conformità a criteri volti a valorizzare, in via prioritaria ed in misura prevalente, quella dei dirigenti che hanno svolto i singoli incarichi che hanno prodotto la maggiore disponibilità finanziaria.

 

2. Incarichi non istituzionalmente dovuti attribuiti ai segretari comunali nelle unioni

Principio non dissimile all’onnicomprensività è quello previsto dall’articolo 32 comma 5 ter, introdotto dall’articolo 1 comma 105, lett. c) legge n. 56/2014 (c.d. legge Delrio) a mente del quale “il presidente dell’unione di comuni si avvale del segretario di un comune facente parte dell’unione, senza che ciò comporti l’erogazione di ulteriori indennità e, comunque, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica…”.

 

3. La retribuzione delle funzioni dirigenziali nell’unione di comuni del segretario unionale

L’unione di comuni nell’ordinamento giuridico è riconosciuta come soggetto di diritto autonomo, un vero e proprio ente locale a carattere polifunzionale.

Prevista già, dalla legge n. 142/1990 fu solo con la legge n. 265/1999 “Legge Napolitano-Vigneri” ad avere la sua affermazione, che eliminava l’obbligo, per i comuni che costituivano l’unione, di procedere a successiva fusione degli stessi. Tale forma associativa è disciplinata, oggi,  dall’articolo 32 del Decreto Legislativo n. 267/2000 (c.d. Testo Unico degli Enti Locali) e prevede quale suo fine “l’esercizio associato di funzioni e servizi”.

Nella gran parte dei casi, trattasi di comuni contermini, con risorse limitate, i quali associandosi e costituendo tale forma associativa, prevedono quali obiettivi programmatici quelli di

migliorare ed ottimizzare la qualità dei servizi erogati nei singoli comuni;

promuovere e concorrere allo sviluppo socio-economico del territorio nella salvaguardia dell’ambiente;

esercitare un’efficace influenza sugli organismi sovracomunali che gestiscono servizi di competenza dell’unione stessa;

ampliare, infine, il numero delle funzioni e dei servizi rispetto a quelli prima gestiti dai singoli comuni, assicurandone l'efficienza e la maggiore economicità a vantaggio della collettività.

Tali forme associative, poi, sono destinatarie degli obblighi previsti dalla legislazione italiana (ad esempio sono tenuti all’adozione dei Piani Triennali di Prevenzione della Corruzione e Trasparenza, sono soggetti al controllo della Corte dei Conti ecc.).

A fronte di questi obblighi, quasi tutte le unioni di comuni presenti in Italia si trovano ad operare tra mille difficoltà. Molte di esse operano con strutture organizzative ridotte e il segretario unionale è spesso chiamato ad attendere ad una pluralità di gravose incombenze, compresa la responsabilità di alcune articolazioni amministrative (in particolar modo dell’area amministrativa e della centrale unica di committenza), senza che questa enorme mole di lavoro (e responsabilità) trovi un’adeguata remunerazione.

Per uscire da questa situazione di grave impasse, con quesito posto all’Associazione Nazionale Comuni Italiani (ANCI) “incarichi non istituzionalmente dovuti attribuiti ai segretari comunali nelle unioni”, l’ANCI il 14.09.2015 ha formulato dei principi-guida ai quali fare riferimento.

Tali principi-guida, pur avendo sullo sfondo l’obiettivo-cardine posto dal legislatore, ossia quello di contenere e razionalizzare la spesa pubblica, al contempo cercano di tutelare anche il principio costituzionale in materia di giusta retribuzione (“Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro…”, articolo 36 Costituzione).

Per queste ragioni, fermo restando l’assunto, per il segretario dell’unione, di svolgere le proprie funzioni senza alcun aggravio di spesa per l’ente sovraccomunale che se ne avvale, va esclusa la gratuità delle speciali prestazioni, non riconducibili alla disciplina contrattuale di lavoro della categoria professionale di appartenenza.

In tali casi, nulla osta che si possa prevedere una forma di retribuzione in favore del segretario per gli incarichi aggiuntivi che egli possa essere chiamato a svolgere, in applicazione dell’articolo 1 comma 557 della legge n. 311 del 2004 che testualmente recita: “I comuni con popolazione inferiore ai 5.000 abitanti, i consorzi tra enti locali gerenti servizi a rilevanza non industriale, le comunità montane e le unioni di comuni possono servirsi dell’attività lavorativa di dipendenti a tempo pieno di altre amministrazioni locali purché' autorizzati dall'amministrazione di provenienza”.

Trattandosi di una prestazione lavorativa completamente indipendente da quella che il lavoratore conduce presso l’ente che lo autorizza, l’intera disciplina economica, contrattuale, previdenziale e di sicurezza è rimessa all’ente che se ne avvale.

Tale soluzione è ritenuta ammissibile anche da parte della giurisprudenza amministrativa e contabile, restando incerto se per gli scopi considerati sia sufficiente una semplice disciplina convenzionale (in questo senso si è espressa la Corte dei Conti) ovvero se sia necessario procedere con un separato contratto di lavoro subordinato a tempo parziale (come sostenuto da parte della dottrina).

 

4. La retribuzione delle funzioni dirigenziali nell’unione di comuni da parte dei dirigenti

Analogo problema si pone per il conferimento di funzioni amministrative/tecniche a personale dirigenziale di uno dei comuni facenti parte dell’unione, chiamato a svolgere analoghe funzioni nell’unione dei comuni.

Ci si domanda: è possibile applicare anche ad un dirigente (a tempo pieno) ex articolo 110 del Decreto Legislativo n. 267/2000 l’articolo 1 comma 557 della legge n. 311/2004 per lo svolgimento di funzioni che questo dirigente svolge per l’unione di cui il Comune per il quale lavora fa parte? La risposta al quesito, da parte di copiosa giurisprudenza, dottrina e pareri ARAN pare essere negativa per le seguenti ragioni:

  1. per il principio di onnicomprensività del trattamento economico del dirigente di cui agli articoli 24 del Decreto Legislativo n. 165/2001 e articolo 20 del CCNL del 22.02.2010;
  2. perché l’articolo 1 comma 557 della legge 311/2004 è applicabile al solo personale delle categorie, con esclusione di quello avente qualifica dirigenziale. Ciò in ragione non solo della dicitura della fonte legale che si riferisce ai soli “dipendenti” di altre amministrazioni locali, ma anche in ragione della definizione temporale degli incarichi, che attesa la qualificazione normativa del personale incaricabile come “a tempo pieno”, ha portato la stessa Corte dei Conti a definirli come “scavalchi di eccedenza”, per distinguerli dai veri e propri scavalchi regolati dall’articolo 14 del CCNL 22.01.2004, consistenti, invece, in una ripartizione convenzionale dell’orario d’obbligo del dipendente. Il riferimento all’orario di lavoro è un altro punto in favore di chi non ritiene applicabile tale soluzione ai dirigenti, visto che nel contratto del personale con qualifica dirigenziale non è previsto un riferimento all’orario di lavoro, così come non esiste nel CCNL dirigenziale neppure la fattispecie del lavoro “a tempo pieno” che, come visto, sotto il profilo soggettivo è elemento qualificante di coloro che possono essere incaricati ai sensi della norma de qua.

In riferimento alla prima ragione si rileva che se la nomina è dell’unione dei comuni, ente terzo ed autonomo, rispetto all’amministrazione di appartenenza del dirigente, tale designazione non proviene dall’ente di appartenenza del dirigente e, pertanto, l’incarico non è riconducibile all’ente con riferimento del relativo compenso al regime della onnicomprensività.

Riguardo alla seconda ragione, stante la possibilità, per i segretari unionali chiamati a ricoprire incarichi di responsabilità nell’unione di comuni, sussumendo tale attività alla disciplina dell’articolo 1 comma 557 della legge 311 del 2004, si rappresenta come anche i segretari comunali non siano assimilabili ai “dipendenti a tempo pieno delle amministrazioni locali”, essendo dipendenti del Ministero dell’Interno. Per di più, per i segretari, come per i dirigenti, non è previsto nel loro contratto l’individuazione di un orario d’obbligo. Eppure, se queste criticità nulla ostano alla possibilità, per gli stessi, di ricoprire incarichi ex articolo 1 comma 557, regolarmente retribuiti, non si comprende la difficoltà di applicare la stessa fattispecie anche per i dirigenti del comune facente parte dell’unione.

Questa impostazione derivante da un’applicazione rigida della norma provoca delle inefficienze, dovute al fatto che, stante il principio di onnicomprensività della retribuzione del dirigente e l’impossibilità per lo stesso di potere svolgere le proprie funzioni nell’unione dei comuni, avvalendosi della possibilità prevista dall’articolo 1 comma 557 della legge 311/2004, determina la fuga dei dirigenti da tali forme associative.

In questi casi l’unione dei comuni sovviene affidando ad istruttori tecnici/amministrativi o ad istruttori direttivi tecnici/amministrativi la responsabilità delle articolazioni amministrative di cui l’unione è strutturata, ben applicandosi per queste categorie di dipendenti a tempo pieno la disposizione prevista nella legge finanziaria 2005.

Le unioni di comuni, pertanto, si troverebbero obbligate ad affidare la responsabilità delle strutture amministrative a personale non dirigenziale (categorie B, C o D), ovvero, per garantire il buon andamento dell’attività amministrativa (principio costituzionale) procedere all’assunzione di personale dirigenziale appositamente preposto, con aggravio dei costi per l’Ente, andando così a vanificare il principio di contenimento della spesa pubblica.

 

5. Conclusioni

Si ritiene, pertanto, che anche per i dirigenti, così come previsto per i segretari unionali chiamati a ricoprire incarichi dirigenziali nell’unione, possa essere applicata la possibilità prevista dall’articolo 1 comma 557 legge n. 311/2004.

La prassi, di molte unioni di comuni, peraltro, sembra andare in questa direzione. Resta da vedere come si esprimerà in proposito la Corte dei Conti.