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Segreto industriale: l’importanza delle misure di protezione

Segreto industriale: l’importanza delle misure di protezione
Segreto industriale: l’importanza delle misure di protezione

Una relativamente recente sentenza del Tribunale di Bologna offre l’occasione di soffermarsi sul valore del segreto e delle relative misure di protezione.

Con sentenza pubblicata il 27 luglio 2015 (Banca dati Giurisprudenza delle Imprese), il Tribunale di Bologna non ha riconosciuto la tutela c.d. “reale”, prevista dal Codice della Proprietà Industriale, a causa della mancanza dell’adozione di idonee misure di segretazione (individuate, quale terzo requisito, per la tutela delle informazioni segrete, ai sensi dell’articolo 98 del Codice della Proprietà Industriale).

Nel caso oggetto della controversia - che aveva riguardato un caso di sottrazione di disegni tecnici per la realizzazione di attacchi da scialpinismo da parte di un ex socio-amministratore e progettista a favore di un concorrente - il Tribunale ha ritenuto insufficiente la misura adottata dalla società attrice, consistente nella conservazione dei disegni tecnici contestati in un computer privato, ad uso esclusivo dell’ex socio-amministratore e progettista, dotato di password.

Al riguardo, i giudici bolognesi hanno ritenuto la misura adottata “non adeguatamente protettiva”, essendosi la società avvalsa di uno strumento privato, in dotazione esclusiva del soggetto che aveva partecipato alla realizzazione dei disegni, e non, invece, di un strumento informatico aziendale, che, in quanto tale, avrebbe potuto essere “direttamente gestibile e controllabile dalla società”.

L’insufficienza della misura adottata è stata, inoltre, riscontrata dal Tribunale anche per il fatto che la società nel caso in questione non aveva “esercitato alcun controllo, dato direttive specifiche o posto limiti atti a prevenire un uso abusivo”.

In sostanza, per i giudici bolognesi, ai fini di un giudizio positivo in merito all’adeguatezza delle misure adottate, rileva non solo l’adozione di dispositivi volti ad impedire l’accesso alle informazioni riservate, ma anche l’esistenza di specifiche direttive aziendali finalizzate a disciplinare l’utilizzo delle stesse e da cui possa desumersi che i dipendenti e collaboratori attraverso tali direttive siano stati resi edotti della natura delle informazioni e della necessità di mantenere il segreto “sia come condizione contrattuale, sia come informazione comunque diretta a collaboratori e dipendenti.

Con la decisione in esame, ancora una volta, viene messa in luce l’importanza per le imprese di dotarsi di idonee misure di protezione delle informazioni segrete, comprendenti, sia misure di protezione fisica e no, sia appositi regolamenti o disciplinari interni, con i quali (i) vengano classificate le informazioni (ii) vengano resi edotti i dipendenti e collaboratori della natura riservata di talune informazioni e della necessità di mantenerne il segreto e (iii) vengano disciplinate le modalità di accesso ed utilizzo e le relative procedure di controllo.

In sintesi, l’adozione di idonee misure di segretazione risulta fondamentale, ai fini della individuazione e delimitazione delle informazioni che si intendono tutelare come segrete e conseguentemente come non appropriabili da parte dei terzi.

Diversamente, qualora le informazioni non siano qualificabili come veri e propri segreti d’impresa, il relativo utilizzo, in particolare da parte dell’ex-dipendente, dovrà essere valutato alla luce dei limiti posti dal parametro della correttezza professionale e a tale riguardo rileverà il riscontro (o meno) di condotte parassitarie, che consentano al concorrente di raggiungere vantaggi che certamente non avrebbe ottenuto, senza l’indebito ed abusivo utilizzo delle informazioni altrui.

Da questo punto di vista, il Tribunale di Bologna, nel caso sottoposto al suo esame, ha riconosciuto la configurabilità della concorrenza sleale, in quanto le informazioni oggetto di rivelazione al concorrente avevano comunque natura riservata, quanto alla relativa non facile accessibilità, ed il loro utilizzo aveva attribuito al concorrente un indebito vantaggio, consentendogli di “risparmiare quei tempi e quei costi di una autonoma ricostruzione delle informazioni industrialmente utili.

Significativi, al riguardo, gli elementi riscontrati dal Tribunale, quali l’individuazione nella stessa persona del progettista del soggetto che ha elaborato entrambi i modelli di attacco da scialpinismo oggetto della controversia, l’inesistenza di una soluzione di continuità tra l’uscita del progettista dalla precedente società, l’ingresso nella società concorrente e la presentazione del nuovo modello, la mancanza di un’esperienza specifica e diretta nel settore da parte della società concorrente, che aveva esteso la propria attività alla produzione di attacchi a seguito dell’ingresso dell’ex-socio amministratore e progettista della società attrice e la conseguente mancanza di una struttura che consentisse alla società concorrente di elaborare il progetto per la realizzazione del modello di attacco in tempi così rapidi (nello specifico, il Tribunale ha quantificato in circa tre-quattro mesi il tempo di realizzazione del modello da parte del concorrente, contro i due-tre anni di realizzazione da parte della società attrice).

Per completezza, va infine rilevato il sostanziale mancato accoglimento della domanda risarcitoria formulata da parte della società attrice, a causa della mancanza di sufficienti allegazioni e prove atte a dimostrare i danni sofferti.

Nello specifico, il Tribunale ha ritenuto non dimostrato che “il mancato raggiungimento dei livelli di fatturato attesi dall’attrice fosse dipeso dalla produzione e commercializzazione degli attacchi da parte del concorrente” né che gli utili realizzati dal concorrente sarebbero stati effettivamente conseguiti dalla società attrice in assenza della condotta anticoncorrenziale della convenuta. Unico danno riconosciuto dal Tribunale è stato il c.d. danno emergente, costituito dai costi sostenuti dalla società attrice per l’acquisto del modello di attacco da scialpinismo contestato, per il conseguimento della prova dell’illecito accertato.

Anche questa parte della decisione merita considerazione ed induce ad una attenta valutazione in merito agli elementi probatori in possesso del soggetto a cui le informazioni sono state sottratte, ai fini del riconoscimento dei danni.

Sull’argomento si rinvia per approfondimenti ai video pubblicati su Filodiritto.

Una relativamente recente sentenza del Tribunale di Bologna offre l’occasione di soffermarsi sul valore del segreto e delle relative misure di protezione.

Con sentenza pubblicata il 27 luglio 2015 (Banca dati Giurisprudenza delle Imprese), il Tribunale di Bologna non ha riconosciuto la tutela c.d. “reale”, prevista dal Codice della Proprietà Industriale, a causa della mancanza dell’adozione di idonee misure di segretazione (individuate, quale terzo requisito, per la tutela delle informazioni segrete, ai sensi dell’articolo 98 del Codice della Proprietà Industriale).

Nel caso oggetto della controversia - che aveva riguardato un caso di sottrazione di disegni tecnici per la realizzazione di attacchi da scialpinismo da parte di un ex socio-amministratore e progettista a favore di un concorrente - il Tribunale ha ritenuto insufficiente la misura adottata dalla società attrice, consistente nella conservazione dei disegni tecnici contestati in un computer privato, ad uso esclusivo dell’ex socio-amministratore e progettista, dotato di password.

Al riguardo, i giudici bolognesi hanno ritenuto la misura adottata “non adeguatamente protettiva”, essendosi la società avvalsa di uno strumento privato, in dotazione esclusiva del soggetto che aveva partecipato alla realizzazione dei disegni, e non, invece, di un strumento informatico aziendale, che, in quanto tale, avrebbe potuto essere “direttamente gestibile e controllabile dalla società”.

L’insufficienza della misura adottata è stata, inoltre, riscontrata dal Tribunale anche per il fatto che la società nel caso in questione non aveva “esercitato alcun controllo, dato direttive specifiche o posto limiti atti a prevenire un uso abusivo”.

In sostanza, per i giudici bolognesi, ai fini di un giudizio positivo in merito all’adeguatezza delle misure adottate, rileva non solo l’adozione di dispositivi volti ad impedire l’accesso alle informazioni riservate, ma anche l’esistenza di specifiche direttive aziendali finalizzate a disciplinare l’utilizzo delle stesse e da cui possa desumersi che i dipendenti e collaboratori attraverso tali direttive siano stati resi edotti della natura delle informazioni e della necessità di mantenere il segreto “sia come condizione contrattuale, sia come informazione comunque diretta a collaboratori e dipendenti.

Con la decisione in esame, ancora una volta, viene messa in luce l’importanza per le imprese di dotarsi di idonee misure di protezione delle informazioni segrete, comprendenti, sia misure di protezione fisica e no, sia appositi regolamenti o disciplinari interni, con i quali (i) vengano classificate le informazioni (ii) vengano resi edotti i dipendenti e collaboratori della natura riservata di talune informazioni e della necessità di mantenerne il segreto e (iii) vengano disciplinate le modalità di accesso ed utilizzo e le relative procedure di controllo.

In sintesi, l’adozione di idonee misure di segretazione risulta fondamentale, ai fini della individuazione e delimitazione delle informazioni che si intendono tutelare come segrete e conseguentemente come non appropriabili da parte dei terzi.

Diversamente, qualora le informazioni non siano qualificabili come veri e propri segreti d’impresa, il relativo utilizzo, in particolare da parte dell’ex-dipendente, dovrà essere valutato alla luce dei limiti posti dal parametro della correttezza professionale e a tale riguardo rileverà il riscontro (o meno) di condotte parassitarie, che consentano al concorrente di raggiungere vantaggi che certamente non avrebbe ottenuto, senza l’indebito ed abusivo utilizzo delle informazioni altrui.

Da questo punto di vista, il Tribunale di Bologna, nel caso sottoposto al suo esame, ha riconosciuto la configurabilità della concorrenza sleale, in quanto le informazioni oggetto di rivelazione al concorrente avevano comunque natura riservata, quanto alla relativa non facile accessibilità, ed il loro utilizzo aveva attribuito al concorrente un indebito vantaggio, consentendogli di “risparmiare quei tempi e quei costi di una autonoma ricostruzione delle informazioni industrialmente utili.

Significativi, al riguardo, gli elementi riscontrati dal Tribunale, quali l’individuazione nella stessa persona del progettista del soggetto che ha elaborato entrambi i modelli di attacco da scialpinismo oggetto della controversia, l’inesistenza di una soluzione di continuità tra l’uscita del progettista dalla precedente società, l’ingresso nella società concorrente e la presentazione del nuovo modello, la mancanza di un’esperienza specifica e diretta nel settore da parte della società concorrente, che aveva esteso la propria attività alla produzione di attacchi a seguito dell’ingresso dell’ex-socio amministratore e progettista della società attrice e la conseguente mancanza di una struttura che consentisse alla società concorrente di elaborare il progetto per la realizzazione del modello di attacco in tempi così rapidi (nello specifico, il Tribunale ha quantificato in circa tre-quattro mesi il tempo di realizzazione del modello da parte del concorrente, contro i due-tre anni di realizzazione da parte della società attrice).

Per completezza, va infine rilevato il sostanziale mancato accoglimento della domanda risarcitoria formulata da parte della società attrice, a causa della mancanza di sufficienti allegazioni e prove atte a dimostrare i danni sofferti.

Nello specifico, il Tribunale ha ritenuto non dimostrato che “il mancato raggiungimento dei livelli di fatturato attesi dall’attrice fosse dipeso dalla produzione e commercializzazione degli attacchi da parte del concorrente” né che gli utili realizzati dal concorrente sarebbero stati effettivamente conseguiti dalla società attrice in assenza della condotta anticoncorrenziale della convenuta. Unico danno riconosciuto dal Tribunale è stato il c.d. danno emergente, costituito dai costi sostenuti dalla società attrice per l’acquisto del modello di attacco da scialpinismo contestato, per il conseguimento della prova dell’illecito accertato.

Anche questa parte della decisione merita considerazione ed induce ad una attenta valutazione in merito agli elementi probatori in possesso del soggetto a cui le informazioni sono state sottratte, ai fini del riconoscimento dei danni.

Sull’argomento si rinvia per approfondimenti ai video pubblicati su Filodiritto.