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Segreto - Tribunale di Milano: copiatura massiva di informazioni aziendali

Segreto - Tribunale di Milano: copiatura massiva di informazioni aziendali
Segreto - Tribunale di Milano: copiatura massiva di informazioni aziendali

Il caso

Nello specifico, la controversia sottoposta al Tribunale di Milano fa seguito ad una perquisizione effettuata per effetto di una denuncia-querela precedentemente presentata dalla società attrice, in esito alla quale erano stati rinvenuti sul server della società concorrente e sul computer aziendale di un suo dipendente – a sua volta (ex) dipendente della società attrice e abilitato, in virtù del ruolo precedentemente ricoperto, all’accesso al server della società attrice, ove erano conservate le informazioni aziendali riservate – una notevole mole di dati (quantificati approssimativamente in 142.000 files), consistenti in files di sviluppo hardware e software, disegni tecnici, informazioni commerciali, domande di brevetto ancora segrete, archivi e-mail etc.

Come rilevato dal Tribunale, ciò costituiva riprova di una copiatura massiva, sostanzialmente coincidente con tutto il patrimonio informativo aziendale.

Nel caso in questione, il Tribunale ha rilevato la sussistenza dei requisiti ex lege previsti per il riconoscimento della tutela del segreto aziendale e, in particolare, con riferimento alle misure di segretazione, i giudici hanno considerato idonea la misura consistente nella predisposizione di un protocollo di gestione della rete aziendale che stabiliva l’uso di password e diversi livelli di accessibilità.

In ogni caso, il Tribunale ha precisato che, anche qualora non potesse ritenersi provata la titolarità delle informazioni riservate e/o dei diritti esclusivi di utilizzazione dei programmi informatici (su cui l’attrice aveva ulteriormente fondato le proprie domande) la condotta della società concorrente convenuta costituiva comunque una “evidente forma di concorrenza sleale, perpetrata tramite la copiatura massiva di una mole davvero sterminata di dati e informazioni.

Per il Tribunale, infatti, anche se non risultava provato che la società concorrente avesse effettivamente utilizzato il patrimonio di informazioni aziendali della società attrice, era incontrovertibile che la stessa avesse, comunque, avuto la possibilità di conoscere il contenuto delle stesse “copiate sui propri computer, con piena ed indisturbata accessibilità”.

La decisione del Tribunale

Per completezza, va precisato che la mancata prova dell’utilizzo delle informazioni aziendali della società attrice e, in particolare, la mancata indicazione dei prodotti della convenuta che ne incorporavano la tecnologia, con conseguente esclusione di un pregiudizio da ciò derivante, hanno indotto il Tribunale a respingere le domande di risarcimento del danno e di pubblicazione del provvedimento.

Da ultimo, va, ulteriormente, rilevato che, nel caso di specie, il Tribunale non ha ritenuto sussistente l’ipotesi di storno di dipendenti, lamentato dalla società attrice, per la mancata prova dell’animus nocendi in capo alla società concorrente convenuta. Nello specifico, non erano stati dimostrati comportamenti attivi della società concorrente, volti ad interferire con la libera scelta degli ex dipendenti, consistenti, ad esempio, nell’erogazione o promessa di incentivi impropri, nella denigrazione del concorrente o in contatti pressanti per orientare il convincimento dei dipendenti.

La sentenza è integralmente consultabile su Giurisprudenza delle Imprese.

(Tribunale di Milano - Sezione specializzata in materia di impresa - Sezione A, Sentenza 10 maggio 2016, n. 5791)

 

 

 

 

Il caso

Nello specifico, la controversia sottoposta al Tribunale di Milano fa seguito ad una perquisizione effettuata per effetto di una denuncia-querela precedentemente presentata dalla società attrice, in esito alla quale erano stati rinvenuti sul server della società concorrente e sul computer aziendale di un suo dipendente – a sua volta (ex) dipendente della società attrice e abilitato, in virtù del ruolo precedentemente ricoperto, all’accesso al server della società attrice, ove erano conservate le informazioni aziendali riservate – una notevole mole di dati (quantificati approssimativamente in 142.000 files), consistenti in files di sviluppo hardware e software, disegni tecnici, informazioni commerciali, domande di brevetto ancora segrete, archivi e-mail etc.

Come rilevato dal Tribunale, ciò costituiva riprova di una copiatura massiva, sostanzialmente coincidente con tutto il patrimonio informativo aziendale.

Nel caso in questione, il Tribunale ha rilevato la sussistenza dei requisiti ex lege previsti per il riconoscimento della tutela del segreto aziendale e, in particolare, con riferimento alle misure di segretazione, i giudici hanno considerato idonea la misura consistente nella predisposizione di un protocollo di gestione della rete aziendale che stabiliva l’uso di password e diversi livelli di accessibilità.

In ogni caso, il Tribunale ha precisato che, anche qualora non potesse ritenersi provata la titolarità delle informazioni riservate e/o dei diritti esclusivi di utilizzazione dei programmi informatici (su cui l’attrice aveva ulteriormente fondato le proprie domande) la condotta della società concorrente convenuta costituiva comunque una “evidente forma di concorrenza sleale, perpetrata tramite la copiatura massiva di una mole davvero sterminata di dati e informazioni.

Per il Tribunale, infatti, anche se non risultava provato che la società concorrente avesse effettivamente utilizzato il patrimonio di informazioni aziendali della società attrice, era incontrovertibile che la stessa avesse, comunque, avuto la possibilità di conoscere il contenuto delle stesse “copiate sui propri computer, con piena ed indisturbata accessibilità”.

La decisione del Tribunale

Per completezza, va precisato che la mancata prova dell’utilizzo delle informazioni aziendali della società attrice e, in particolare, la mancata indicazione dei prodotti della convenuta che ne incorporavano la tecnologia, con conseguente esclusione di un pregiudizio da ciò derivante, hanno indotto il Tribunale a respingere le domande di risarcimento del danno e di pubblicazione del provvedimento.

Da ultimo, va, ulteriormente, rilevato che, nel caso di specie, il Tribunale non ha ritenuto sussistente l’ipotesi di storno di dipendenti, lamentato dalla società attrice, per la mancata prova dell’animus nocendi in capo alla società concorrente convenuta. Nello specifico, non erano stati dimostrati comportamenti attivi della società concorrente, volti ad interferire con la libera scelta degli ex dipendenti, consistenti, ad esempio, nell’erogazione o promessa di incentivi impropri, nella denigrazione del concorrente o in contatti pressanti per orientare il convincimento dei dipendenti.

La sentenza è integralmente consultabile su Giurisprudenza delle Imprese.

(Tribunale di Milano - Sezione specializzata in materia di impresa - Sezione A, Sentenza 10 maggio 2016, n. 5791)