Sequestro - Cassazione Penale: può essere opposto il segreto professionale all’applicazione della misura sui dati informatici
La Corte di Cassazione ha stabilito che, ai sensi delle disposizioni del Codice di procedura penale, costituisce sequestro l’acquisizione dei dati contenuti in un archivio quando il trattenimento della copia determina la sottrazione all’interessato dell’esclusiva disponibilità dell’informazione. Trovano, pertanto, applicazione le disposizioni sul segreto professionale.
Il caso in esame
La pronuncia trae origine dal ricorso presentato da un dottore commercialista, nei cui confronti era stato emesso un provvedimento di perquisizione e sequestro di dati informatici dallo stesso detenuti. Impugnato detto provvedimento cautelare, il Tribunale del Riesame aveva dichiarato l’inammissibilità del gravame per mancanza di interesse, in ragione del successivo dissequestro del supporto fisico contenente detti dati, ritenendo, altresì, che fosse comunque mancato il sequestro stesso, in quanto l’autorità inquirente si era limitata ad estrarre copia della documentazione e dei supporti informatici, procedendo poi alla restituzione dei documenti originali.
Nel proprio atto di impugnazione, il ricorrente lamentava vizio di legge e difetto di motivazione rispetto al disposto sequestro di informazioni, con riferimento alla disciplina dell’esecuzione di copie dei documenti sequestrati e all’esercizio del segreto professionale dei dottori commercialisti.
In particolare, la difesa osservava che, nel caso di specie, doveva ammettersi “l’esistenza di un oggetto sequestrato, posto che nel nostro ordinamento penale il concetto di cosa copre anche il dato informatico, che dunque è di per sé passibile di sequestro”.
Cionondimeno, per la peculiarità del bene sequestrato, non poteva sussistere un’effettiva restituzione del bene “quando la parte fosse stata privata del valore in sé del dato costituito dalla sua informazione portante”, pertanto, “anche il trattenimento di una copia implicava un sequestro di informazione e rappresentava uno spossessamento del diritto”.
Infine, il ricorrente rilevava di aver opposto, al momento della perquisizione, il segreto professionale, mettendo a verbale la relativa dichiarazione.
La decisione della Suprema Corte
La Corte di Cassazione ha ritenuto non condivisibile l’assunto cui era pervenuto il giudice del riesame, in quanto in contrasto con l’orientamento giurisprudenziale secondo cui: “costituisce sequestro probatorio l’acquisizione, mediante estrazione di copia informatica o riproduzione su supporto cartaceo, dei dati contenuti in un archivio visionato nel corso di una perquisizione legittimamente eseguita ai sensi dell’art. 247 c.p.p., quando il trattenimento della copia determina la sottrazione all’interessato dell’esclusiva disponibilità dell’informazione e incide sul diritto alla riservatezza o al segreto”.
A giudizio della Suprema Corte, il giudice di merito deve indagare sull’esistenza, da parte del soggetto titolare del bene, di un interesse concreto, attuale, specifico ed oggettivamente valutabile “a preservare l’esclusiva disponibilità del patrimonio informativo”.
Da ciò discende che “la verifica di questo interesse impone di riconoscere all’istante la possibilità di impugnare al fine di dimostrare in sede di riesame l’esistenza dei presupposti legittimanti la sussistenza di un suo diritto alla disponibilità esclusiva del patrimonio informativo estratto in copia”.
Come ha specificato la Corte, “l’attuale disposto dell’art. 256 c.p.p., […] applicabile anche agli esperti contabili […], ha superato i limiti in precedenza esistenti in tema di opposizione del segreto professionale prevedendo una tutela di carattere simmetrico rispetto a quella contemplata per la testimonianza; questa nuova disciplina stabilisce che nel caso in cui sorga la necessità di acquisire atti, documenti, dati, informazioni e programmi informatici l’autorità giudiziaria ha l’obbligo di rivolgere una richiesta di consegna attraverso un decreto di esibizione, in virtù del quale sussiste un obbligo di rimessa immediata della cosa domandata, a meno che il soggetto destinatario della richiesta non dichiari per iscritto che il bene di cui si pretende l’esibizione è oggetto di segreto professionale”.
Pertanto, conclude la Corte, “la formale opposizione del segreto professionale, ove fosse stata sollevata in ragione della correlazione della disponibilità dei beni sequestrati o estratti in copia con un mandato professionale in precedenza conferito, sarebbe stata idonea a impedire all’autorità giudiziaria di procedere al sequestro del bene richiesto in consegna, salvi gli accertamenti previsti dall’art. 256, comma 2, c.p.p.”.
Per questi motivi, la Cassazione ha disposto l’annullamento dell’ordinanza impugnata, con rinvio al Tribunale del Riesame per un nuovo esame.
(Corte di Cassazione - Sezione Seconda Penale, Sentenza 10 novembre 2017, n. 51446)