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Servizi segreti - CEDU: Italia condannata in via definitiva per caso Omar

Servizi segreti - CEDU: Italia condannata in via definitiva per caso Omar
Servizi segreti - CEDU: Italia condannata in via definitiva per caso Omar

1. Qualche accenno alla pratica della extraordinary rendition

Dopo la caccia ai criminali nazisti rifugiatisi in Sudamerica nel secondo dopoguerra, e in séguito alle politiche di contrasto al terrorismo elaborate nel post 11 settembre, è con la recrudescenza del terrore jihadista individuato nel Daesh che si sta tornando a familiarizzare con la pratica della c.d. extraordinary rendition, azione illegale con la quale un Paese (solitamente gli USA) cattura un individuo sospetto in territorio straniero (spesso uno “Stato-canaglia”), senza chiedere a quest’ultimo alcun tipo di permesso ufficiale. Per “permesso ufficiale” si intende quello ottenuto attraverso i mezzi canonici e le istituzioni riconosciute; non si esclude però la cooperazione di assetti parastatuali, più o meno filogovernativi e a gerarchia militare, collocati al di fuori dell’ordinamento o previsti da quest’ultimo sotto forma di intelligence.

Successivamente alla deportazione, tale individuo è recluso clandestinamente in prigioni segrete, in spregio al principio del “diritto a un equo processo”. Tutto questo per soprassedere a un altro principio, quello dell’aut dedere aut judicare, che informa la prassi delle relazioni tra Paesi sovrani nel diritto internazionale penale (per quanto si sia andata affermandosi la consuetudine per la quale la punizione o estradizione di un presunto colpevole sia non dovuta, ma solamente auspicata; insomma, non un dovere giuridico in senso stretto, ma una regola geopolitica di “buon vicinato”). Si ricordi, in proposito, la recente tensione nei rapporti bilaterali tra Roma e Brasilia per la mancata estrazione del terrorista rosso Cesare Battisti.

Come ragionevole supporre, l’extraordinary rendition incarna lo strumento estremo di gestione securitaria globale, rendendosi al contempo e a sua volta estremamente pericolosa per la tutela dei c.d. “Human Rights” in Paesi ove sia ancora vigente la pena di morte o nei quali la demarcazione fra dimensione centralizzata e tentacolare del potere inquirente e militare sia sfumata (si pensi all’Egitto e al dossier Giulio Regeni). Nel caso degli Stati Uniti d’America, violazioni continue e progressive dei principi basilari del diritto pubblico sono andate a sovrapporsi negli ultimi quindici anni, alimentando reazioni di sdegno nell’opinione pubblica mondiale nonché le ben note teorie complottiste che non è qui il caso di richiamare; si caldeggia invece la lettura del report Globalizing torture. CIA secret detention and extraordinary rendition, a cura di Open Society Foundations (New York), reperibile gratuitamente online.

2. La sentenza della CEDU sul caso Abu Omar

Ebbene, proprio uno dei più celebri tra i casi di extraordinary rendition è stato oggetto di una sentenza del 23 febbraio scorso pronunciata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo [Nasr e Ghali c. Italia, Ric. 44883/09], con la quale si condanna l’Italia per il rapimento e la detenzione illegale (ovvero, senza precisi capi d’imputazione né in ottemperanza alle previsioni dell’istituto della “custodia cautelare in carcere” ex art. 285 c.p.p.) durata 14 mesi (in suolo egiziano) dell’ex imam di Milano di origini egiziane, Abu Omar (residente nel Belpaese dal 1998), avvenuta per mano della Central Intelligence Agency statunitense.

Si segnala che, peraltro, questo caso ha aperto un precedente nei rapporti con Il Cairo, andando a scalfire una solida fiducia reciproca edificata negli anni precedenti, con ripercussioni fino ai fatti odierni relativi alla scarsa trasparenza nelle indagini relative al massacro del dottorando di Cambridge. Scarsa trasparenza che ha portato al richiamo a Roma dell’Ambasciatore Maurizio Massari.

Secondo la CEDU, adìta dall’imam medesimo nel 2009, le autorità italiane erano a conoscenza della circostanza che si stesse verificando quanto sovresposto, ma non solo non si attivarono al fine di garantire l’applicazione del diritto interno, bensì collaborarono col silenzio (e forse anche più concretamente, con mezzi logistici e personale altamente specializzato sotto copertura almeno fino al trasferimento alla base USAF di Aviano) allo svolgersi degli eventi criminosi. La Corte contesta in primis il mancato rispetto del diritto dell’imam a non essere maltrattato (e qui il riferimento è d’obbligo alla lacunosa legislazione italiana in materia, che non ha ancora registrato da parte del Legislatore una convincente introduzione in Italia di una normativa specifica in esecuzione della ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, avvenuta ormai più di un quarto di secolo fa). In secondo luogo, a non essere rispettato è stato il diritto al “rispetto della vita privata e familiare” (ribadito ex art. 8 della Convenzione Europea siglata a Roma il 30 novembre 2012) del presunto terrorista e di sua moglie, la cittadina egiziana Nabila Ghali, a causa della separazione forzata subìta per anni dalla coppia.

I 47 giudici dell’organo giurisdizionale europeo hanno di conseguenza condannato l’Italia al risarcimento di 85mila euro (70mila a Omar, 15mila alla moglie) per danni morali, osservando come non solo il ruolo di Roma abbia facilitato l’incarcerazione illegale in Egitto del ricorrente ad opera degli 007 statunitensi, ma il governo italiano abbia altresì gestito con la massima opacità lo svolgimento dell’accertamento dei fatti, apponendo il sigillo del Segreto di Stato (la cui tutela trova espressione nell’art. 202 c.p.p.); scelta che da una parte ha reso impossibile la celebrazione di un giusto processo, e dall’altra ha vanificato la possibilità di richiedere l’estrazione degli agenti segreti americani coinvolti.

3. I precedenti e le possibili conclusioni

Macedonia e Polonia erano già state condannate dalla CEDU, pochi anni addietro, per fatti similari; Skopje con la sentenza n. 39630/09 e Varsavia con le due sentenze nn. 28761/11 e 7511/13.

La sentenza sul caso Omar, a tre mesi dalla pronunzia, è divenuta effettiva, non avendo nel frattempo il premier Renzi provato a fare ricorso al fine di ottenere un riesame della sentenza da parte dei 17 membri togati della Camera Grande, preposta ad approfondire i casi più complessi.

Gli scenari predisposti da questa pronuncia pongono l’accento sull’attualità della Corte di Strasburgo, anche alla luce del recente dibattito dottrinale sulla relazione che dovrebbe intercorrere tra questa e la Corte di Giustizia dell’Unione Europea headquartered in Lussemburgo (si ritiene utile rammentare come la prima afferisca a un’organizzazione internazionale chiamata “Consiglio d’Europa” fondata a Londra nel 1949, che ingloba anche Stati quali Turchia, Russia e Svizzera, mentre la seconda è parte integrante della costruzione UE a tutti gli effetti). Altrettanto articolata la convegnistica e la letteratura accademica relativa alla natura reale della CEDU, come ben esemplificato dal titolo di questo convegno ospitato lo scorso novembre dall’ateneo patavino: “La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo: quarto grado di giudizio o seconda Corte Costituzionale?”.

È lecito domandarsi che impatto avrà questo precedente giurisprudenziale, considerando che la fattispecie aveva già impegnato i massimi tribunali italiani: segnatamente, la sentenza 24/2014 della Corte Costituzionale aveva rinviato alla Suprema Corte di Cassazione gli atti del processo in essere, considerando invasiva la decisione di non annullamento delle condanne emesse dalla Corte d’Appello di Milano. Tale annullamento era stato invocato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, dopo che la richiesta di custodia cautelare emessa dalla Procura di Milano (indagini coordinate dal magistrato Stefano Dambruoso, oggi Questore della Camera dei Deputati) nei confronti di 22 cittadini nordamericani non era mai stata inoltrata alla Casa Bianca da parte dei vari ministri della Giustizia succedutisi nei Gabinetti Berlusconi e Prodi; endorsement definitivo del Quirinale al succitato approccio ai fatti si è registrato con l’utilizzo del potere di grazia (quale disciplinato dall’art. 87 c. 11 Cost.), la quale è stata concessa dai Presidenti Napolitano prima e Mattarella poi.

Per una breve cronologia (purtroppo non aggiornata) degli eventi relativi al caso Omar, si rinvia ai seguenti link: http://www.questionegiustizia.it/doc/cronologia_abu_omar.pdf e http://www.ristretti.it/commenti/2016/febbraio/pdf8/articolo_mariotti.pdf . Per un autorevole commento sulle dinamiche processuali interne, si consiglia di riflettere sull’opinione del Prof. Pace, recuperabile qui: http://www.giurcost.org/studi/pace6.pdf .

1. Qualche accenno alla pratica della extraordinary rendition

Dopo la caccia ai criminali nazisti rifugiatisi in Sudamerica nel secondo dopoguerra, e in séguito alle politiche di contrasto al terrorismo elaborate nel post 11 settembre, è con la recrudescenza del terrore jihadista individuato nel Daesh che si sta tornando a familiarizzare con la pratica della c.d. extraordinary rendition, azione illegale con la quale un Paese (solitamente gli USA) cattura un individuo sospetto in territorio straniero (spesso uno “Stato-canaglia”), senza chiedere a quest’ultimo alcun tipo di permesso ufficiale. Per “permesso ufficiale” si intende quello ottenuto attraverso i mezzi canonici e le istituzioni riconosciute; non si esclude però la cooperazione di assetti parastatuali, più o meno filogovernativi e a gerarchia militare, collocati al di fuori dell’ordinamento o previsti da quest’ultimo sotto forma di intelligence.

Successivamente alla deportazione, tale individuo è recluso clandestinamente in prigioni segrete, in spregio al principio del “diritto a un equo processo”. Tutto questo per soprassedere a un altro principio, quello dell’aut dedere aut judicare, che informa la prassi delle relazioni tra Paesi sovrani nel diritto internazionale penale (per quanto si sia andata affermandosi la consuetudine per la quale la punizione o estradizione di un presunto colpevole sia non dovuta, ma solamente auspicata; insomma, non un dovere giuridico in senso stretto, ma una regola geopolitica di “buon vicinato”). Si ricordi, in proposito, la recente tensione nei rapporti bilaterali tra Roma e Brasilia per la mancata estrazione del terrorista rosso Cesare Battisti.

Come ragionevole supporre, l’extraordinary rendition incarna lo strumento estremo di gestione securitaria globale, rendendosi al contempo e a sua volta estremamente pericolosa per la tutela dei c.d. “Human Rights” in Paesi ove sia ancora vigente la pena di morte o nei quali la demarcazione fra dimensione centralizzata e tentacolare del potere inquirente e militare sia sfumata (si pensi all’Egitto e al dossier Giulio Regeni). Nel caso degli Stati Uniti d’America, violazioni continue e progressive dei principi basilari del diritto pubblico sono andate a sovrapporsi negli ultimi quindici anni, alimentando reazioni di sdegno nell’opinione pubblica mondiale nonché le ben note teorie complottiste che non è qui il caso di richiamare; si caldeggia invece la lettura del report Globalizing torture. CIA secret detention and extraordinary rendition, a cura di Open Society Foundations (New York), reperibile gratuitamente online.

2. La sentenza della CEDU sul caso Abu Omar

Ebbene, proprio uno dei più celebri tra i casi di extraordinary rendition è stato oggetto di una sentenza del 23 febbraio scorso pronunciata dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo di Strasburgo [Nasr e Ghali c. Italia, Ric. 44883/09], con la quale si condanna l’Italia per il rapimento e la detenzione illegale (ovvero, senza precisi capi d’imputazione né in ottemperanza alle previsioni dell’istituto della “custodia cautelare in carcere” ex art. 285 c.p.p.) durata 14 mesi (in suolo egiziano) dell’ex imam di Milano di origini egiziane, Abu Omar (residente nel Belpaese dal 1998), avvenuta per mano della Central Intelligence Agency statunitense.

Si segnala che, peraltro, questo caso ha aperto un precedente nei rapporti con Il Cairo, andando a scalfire una solida fiducia reciproca edificata negli anni precedenti, con ripercussioni fino ai fatti odierni relativi alla scarsa trasparenza nelle indagini relative al massacro del dottorando di Cambridge. Scarsa trasparenza che ha portato al richiamo a Roma dell’Ambasciatore Maurizio Massari.

Secondo la CEDU, adìta dall’imam medesimo nel 2009, le autorità italiane erano a conoscenza della circostanza che si stesse verificando quanto sovresposto, ma non solo non si attivarono al fine di garantire l’applicazione del diritto interno, bensì collaborarono col silenzio (e forse anche più concretamente, con mezzi logistici e personale altamente specializzato sotto copertura almeno fino al trasferimento alla base USAF di Aviano) allo svolgersi degli eventi criminosi. La Corte contesta in primis il mancato rispetto del diritto dell’imam a non essere maltrattato (e qui il riferimento è d’obbligo alla lacunosa legislazione italiana in materia, che non ha ancora registrato da parte del Legislatore una convincente introduzione in Italia di una normativa specifica in esecuzione della ratifica della Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura, avvenuta ormai più di un quarto di secolo fa). In secondo luogo, a non essere rispettato è stato il diritto al “rispetto della vita privata e familiare” (ribadito ex art. 8 della Convenzione Europea siglata a Roma il 30 novembre 2012) del presunto terrorista e di sua moglie, la cittadina egiziana Nabila Ghali, a causa della separazione forzata subìta per anni dalla coppia.

I 47 giudici dell’organo giurisdizionale europeo hanno di conseguenza condannato l’Italia al risarcimento di 85mila euro (70mila a Omar, 15mila alla moglie) per danni morali, osservando come non solo il ruolo di Roma abbia facilitato l’incarcerazione illegale in Egitto del ricorrente ad opera degli 007 statunitensi, ma il governo italiano abbia altresì gestito con la massima opacità lo svolgimento dell’accertamento dei fatti, apponendo il sigillo del Segreto di Stato (la cui tutela trova espressione nell’art. 202 c.p.p.); scelta che da una parte ha reso impossibile la celebrazione di un giusto processo, e dall’altra ha vanificato la possibilità di richiedere l’estrazione degli agenti segreti americani coinvolti.

3. I precedenti e le possibili conclusioni

Macedonia e Polonia erano già state condannate dalla CEDU, pochi anni addietro, per fatti similari; Skopje con la sentenza n. 39630/09 e Varsavia con le due sentenze nn. 28761/11 e 7511/13.

La sentenza sul caso Omar, a tre mesi dalla pronunzia, è divenuta effettiva, non avendo nel frattempo il premier Renzi provato a fare ricorso al fine di ottenere un riesame della sentenza da parte dei 17 membri togati della Camera Grande, preposta ad approfondire i casi più complessi.

Gli scenari predisposti da questa pronuncia pongono l’accento sull’attualità della Corte di Strasburgo, anche alla luce del recente dibattito dottrinale sulla relazione che dovrebbe intercorrere tra questa e la Corte di Giustizia dell’Unione Europea headquartered in Lussemburgo (si ritiene utile rammentare come la prima afferisca a un’organizzazione internazionale chiamata “Consiglio d’Europa” fondata a Londra nel 1949, che ingloba anche Stati quali Turchia, Russia e Svizzera, mentre la seconda è parte integrante della costruzione UE a tutti gli effetti). Altrettanto articolata la convegnistica e la letteratura accademica relativa alla natura reale della CEDU, come ben esemplificato dal titolo di questo convegno ospitato lo scorso novembre dall’ateneo patavino: “La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo: quarto grado di giudizio o seconda Corte Costituzionale?”.

È lecito domandarsi che impatto avrà questo precedente giurisprudenziale, considerando che la fattispecie aveva già impegnato i massimi tribunali italiani: segnatamente, la sentenza 24/2014 della Corte Costituzionale aveva rinviato alla Suprema Corte di Cassazione gli atti del processo in essere, considerando invasiva la decisione di non annullamento delle condanne emesse dalla Corte d’Appello di Milano. Tale annullamento era stato invocato dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, dopo che la richiesta di custodia cautelare emessa dalla Procura di Milano (indagini coordinate dal magistrato Stefano Dambruoso, oggi Questore della Camera dei Deputati) nei confronti di 22 cittadini nordamericani non era mai stata inoltrata alla Casa Bianca da parte dei vari ministri della Giustizia succedutisi nei Gabinetti Berlusconi e Prodi; endorsement definitivo del Quirinale al succitato approccio ai fatti si è registrato con l’utilizzo del potere di grazia (quale disciplinato dall’art. 87 c. 11 Cost.), la quale è stata concessa dai Presidenti Napolitano prima e Mattarella poi.

Per una breve cronologia (purtroppo non aggiornata) degli eventi relativi al caso Omar, si rinvia ai seguenti link: http://www.questionegiustizia.it/doc/cronologia_abu_omar.pdf e http://www.ristretti.it/commenti/2016/febbraio/pdf8/articolo_mariotti.pdf . Per un autorevole commento sulle dinamiche processuali interne, si consiglia di riflettere sull’opinione del Prof. Pace, recuperabile qui: http://www.giurcost.org/studi/pace6.pdf .