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Smart working, health & safety e responsabilità dell’impresa

LA città muta -Riflessi (II)
Ph. Anuar Arebi / LA città muta -Riflessi (II)

*Contributo sottoposto con esito positivo a referaggio secondo le regole della rivista

 

Sommario

1. Innovazione digitale e lavoro

2. Smart Working ed emergenza Covid-19

3. Smart Working e sicurezza sul lavoro

4. Smart Working e responsabilità per le aziende

 

1. Innovazione digitale e lavoro

L’agenzia Europea per la salute e la sicurezza sul lavoro (EU-OSHA) monitora i trend emergenti in ambito Health & Safety cercando di individuare le sfide future che stanno presentandosi come risultato dei cambiamenti nel mondo del lavoro. Tra le pubblicazioni più interessati di EU-OSHA vi è la ricerca “Foresight on new and emerging occupational safety and health risks associated with digitalisation by 2025” resa nota nel Novembre del 2018[1] a conclusione di un grande progetto di ricerca biennale sugli effetti della digitalizzazione sulla sicurezza e la salute sul lavoro (SSL) nell’UE.

La prospettiva che ci dà EU-OSHA rispetto ai prossimi 10 anni, disegna un processo di disruptive innovation dell’organizzazione del lavoro rispetto alla concezione odierna. L’IoT (Internet of Things) nei processi di produzione, la digitalizzazione, le tecnologie basate sulle TIC (Tecnologie dell’Informazione e della Comunicazione), la Robotica e l’Intelligenza Artificiale avranno un impatto considerevole sulla natura e sull’ubicazione del lavoro e di conseguenza sulla Health & Safety (di seguito “H&S”).

L’EU-OHSA ha elaborato un’analisi previsionale secondo la quale il Futuro potrà evolvere seguendo due principali linee direttrici:

  • automazione, complessità e interconnessione dei processi di lavoro,
  • autonomia nell’organizzazione del lavoro, auto-apprendimento e auto-gestione.

Molte attività lavorative saranno svolte direttamente attraverso processi di automazione e i lavori che non saranno svolti direttamente dalle Macchine richiederanno comunque un elevato grado di interazione Uomo-Macchina e pertanto la necessità da parte dei lavoratori di sviluppare una competenza digitale che oggi i lavoratori non possiedono.

Come e in che modo i processi di innovazione del lavoro saranno determinati e recepiti nei singoli Paesi Membri, dipenderà molto dal grado di risposta al cambiamento degli stakeholder e degli enti regolatori odierni.

 

2. Smart Working ed emergenza Covid-19

Un primo passo in avanti in questa direzione, in Italia, è stato dato dall’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano nel 2012 che ha definito lo Smart Working come “una filosofia manageriale basata sulla restituzione alle persone di autonomia e flessibilità nella scelta di luoghi, orari e strumenti per lavorare, a fronte di una responsabilizzazione sui risultati”. In Italia dal 2017 lo Smart Working ha una cornice normativa avanzata, la legge 81/2017 che all’art.18 lo definisce come una “modalità di esecuzione del rapporto di lavoro subordinato” stabilita mediante un “accordo individuale”, libero e reversibile tra datore di lavoro e singolo lavoratore in base al quale le parti convengono su un’organizzazione del lavoro per obiettivi “senza precisi vincoli di orario o di luogo di lavoro, con il possibile utilizzo di strumenti tecnologici”.

Nonostante la novità e rilevanza del fenomeno e il suo inquadramento giuridico finalmente chiaro, lo Smart Working continua ad essere confuso con il concetto di telelavoro, lavoro da casa o ricondotto riduttivamente a politiche di welfare e conciliazione. Il vero cambiamento che deriva dallo Smart Working, tuttavia, è ben più profondo: si tratta di passare da un management orientato al presenzialismo e al controllo di orari e comportamenti, ad uno orientato alla fiducia, alla collaborazione e alla meritocrazia. Ad essere messo in discussione non è soltanto il nesso spazio-temporale tra il lavorare e l’essere sul posto di lavoro, ma i principi stessi su cui l’organizzazione del lavoro si fonda.

Nel 2019 in Italia lo Smart Working riguardava circa 570.000 lavoratori[2], il 20% in più rispetto all’anno precedente ed erano soprattutto le grandi imprese ad avere iniziative strutturate.

L’emergenza Covid-19 ha costituito un radicale punto di svolta. Molte organizzazioni, infatti, per far fronte all’emergenza sanitaria hanno chiesto alle persone di lavorare da casa introducendo, spesso per la prima volta, modelli di Smart Working. Lo stesso Governo ha puntato sullo Smart Working come strumento per conciliare distanziamento fisico, e quindi tutela della salute, con l’esigenza di garantire continuità delle attività economiche e nell’erogazione dei servizi. Fin dai primi decreti l’adozione dello Smart Working è stata promossa attraverso una semplificazione della procedura di attivazione e l’utilizzo di standard di informative sulla salute e sicurezza pubblicate direttamente dall’INAIL. Ovunque possibile, sia nel settore privato che in quello pubblico, lo Smart Working è diventato quindi la modalità preferibile o addirittura obbligatoria di lavorare

L’Osservatorio Smart Working del Politecnico di Milano ha stimato che, durante la fase più acuta dell’emergenza, lo Smart Working ha coinvolto un totale di 6,58 milioni di lavoratori, circa un terzo dei lavoratori dipendenti italiani.

Aziende e persone che già in precedenza avevano sperimentato modelli di Smart Working si sono trovate indiscutibilmente avvantaggiate perché tecnologicamente, culturalmente e organizzativamente preparate, tutti gli altri si sono trovati ad improvvisare. Il cambiamento, tuttavia, è stato radicale per tutti, i lavoratori si sono trovati a dover svolgere da remoto ogni attività, comprese quelle di collaborazione e relazione interpersonale che in precedenza avevano sempre assunto richiedessero una copresenza fisica in ufficio.

Quello che in molti si sono trovati a sperimentare, spesso in maniera improvvisata, non è però il “vero” Smart Working, ma una forma di lavoro da remoto estremo e vincolato, nella quale sono venuti a mancare quei presupposti di volontarietà e flessibilità che sono alla base dello scambio tra autonomia nella scelta delle modalità di lavoro e responsabilizzazione sui risultati su cui si dovrebbe fondare ogni accordo di Smart Working. Lo Smart Working è infatti un accordo libero e responsabile tra azienda e lavoratore, che prevede che le persone, con flessibilità e autonomia, scelgano il luogo più adatto e l’orario ideale per svolgere una determinata attività. Nella fase 1, tuttavia, i lavoratori non hanno avuto alcuna possibilità di scelta perché la casa è diventata l’unico luogo di lavoro possibile. Anche l’urgenza ha condizionato pesantemente il processo di adozione non consentendo alle organizzazioni di mettere a punto piani di formazione e change management necessari per abilitare comportamenti e stili di leadership orientati alla responsabilizzazione sui risultati. L’orario è rimasto in molti casi rigido e le nuove condizioni di lavoro hanno forzato a un modo di comunicare e collaborare a cui i lavoratori, e soprattutto i capi, non erano culturalmente e organizzativamente preparati.

Nonostante questo, i risultati dell’applicazione dello Smart Working in fase emergenziale sono stati in media positivi, in qualche caso addirittura sorprendenti: da una rilevazione fatta dall’Osservatorio Smart Working su circa 8.600 lavoratori appartenenti a realtà sia pubbliche sia private, è emerso che il 68% di loro è riuscito a svolgere da remoto tutte le proprie attività, il 29% non è riuscito a svolgerne una parte mentre solo per il 3% non è stato possibile svolgere la maggior parte del proprio lavoro. Dalla stessa rilevazione emerge, inoltre, che questo nuovo modo di lavorare ha avuto un impatto positivo sulle performance lavorative: l’85% delle persone ha ritenuto ottima o buona la propria efficacia lavorativa e l’86% la propria efficienza. Le uniche criticità segnalate hanno riguardato il rischio di inibire la socializzazione e collaborazione tra team diversi all’interno dell’organizzazione e di rendere più difficile l’innovazione trasversale. A livello individuale si sono poi riscontrate alcune criticità come senso di isolamento, difficoltà a disconnettersi e a mantenere un equilibrio tra vita privata e professionale, tutti elementi che difficilmente si riscontrano in percorsi di Smart Working più bilanciati e accompagnati.

Sebbene forzata e spesso improvvisata, dunque, l’esperienza di Smart Working fatta durante la pandemia ha permesso di fare in pochi mesi un percorso di apprendimento e crescita di consapevolezza che in condizioni normali avrebbe richiesto anni. Proprio alla luce di questa esperienza sono moltissime le organizzazioni che dichiarano di voler proseguire con lo Smart Working.

Al termine dell’emergenza, l’Osservatorio Smart Working del Politecnio di Milano stima che i lavoratori agili, che lavoreranno almeno in parte da remoto, saranno complessivamente 5,35 milioni. Per adattarsi a questa “nuova normalità” del lavoro il 70% delle grandi imprese aumenterà le giornate di lavoro da remoto, portandole in media da uno a 2,7 giorni alla settimana.

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