x

x

Sogno e realtà dell’America Latina di Mario Vargas Llosa

America Latina
America Latina

Fresco di stampa (è arrivato in libreria ai primi di gennaio 2020), Sogno e realtà dell’America Latina del premio Nobel Mario Vargas Llosa è un breve saggio che, in poco più di trenta pagine, riesce a offrire al lettore un punto di vista privilegiato e inedito sul continente latinoamericano, a sfatare miti metropolitani, scalzare pregiudizi e spazzare via gli innumerevoli stereotipi che sui quei Paesi e quelle popolazioni circolano da secoli in Europa e in Nord America.

L’America Latina è di fatto caratterizzata da un esteso meticciato, ricca di diversità culturali, etniche, linguistiche, religiose che ne fanno un prototipo del mondo, e che rappresentano il suo patrimonio più prezioso, ma è stata percepita per secoli come un El Dorado dove i conquistatori potevano rinvenire ricchezze, figure mitologiche e città leggendarie.

È tempo ormai di scrollarsi di dosso quell’immagine fosforescente: lo scrittore peruviano naturalizzato spagnolo chiede uno sforzo di razionalità affinché l’ambito politico e sociale di quel continente, abbandonando finalmente deliri, utopie e irrealtà, riesca a creare un mondo giusto e libero senza dispotismi.

Qui di seguito, un significativo estratto:

«La scoperta dell’America da parte degli europei viene portata a termine sotto l’impero del mito e dell’immaginazione. Questo, si può dire, traccerà il destino dell’America Latina: l’essere spesso vista o percepita dagli europei con gli stessi occhi fantasticanti con i quali la videro i primi navigatori che misero piede sul suo suolo. Da quel momento e per tutta la sua storia, l’Europa proietterà spesso sull’America le utopie e le frustrazioni artistiche e ideo­logiche (anche religiose) nate nel suo seno e condan­nate, laggiù, a vivere confinate nei regni dell’illusione. Ricordiamo che nella conclusione de I miserabili di Victor Hugo, il cattivo della storia, l’oste Thénardier, parte per l’America del Sud du coté de Panama, un luogo esotico, dove i nativi solevano vivere ammuc­chiati in grandissimi alloggiamenti, tant’è che ancora oggi, in Francia, è rimasta l’abitudine del XVIII secolo di esclamare c’est n’est pas le Pérou! per riferirsi a qualcosa che non è tanto opulento né prezioso come le ricchezze da Mille e una notte di quel continente al di là dei mari.

Tale contributo dell’America alla storia e alla cul­tura dell’Occidente – l’esser servita da ricettacolo dei suoi desiderî e delle sue utopie, risarcendo gli europei delle limitazioni che la realtà reale imponeva ai loro sogni e ai loro ideali – quasi non si suole menzionare nella vasta collezione dei contributi americani alla vita, usanze, idee e credenze della civiltà occidentale. Molti le vengono riconosciuti, dai prodotti della terra come il mais, la patata, il cacao e i tanti alimenti senza i quali la dieta di alcuni paesi come la Francia, la Ger­mania, l’Irlanda, la Svizzera, il Belgio e l’Austria avrebbe patito un considerevole impoverimento, ai medicinali, come ad esempio l’albero della quinoa, il cui prodotto farmaceutico, il chinino, frenò drasticamente la piaga della malaria, per arrivare infine a un fatto cul­turale e geopolitico nevralgico: l’idea di una storia realmente universale. Il collegamento dell’America con il resto del mondo inaugura un percorso irreversibile di avvicinamento e di interscambi – violenti e pacifici – che integrerà in un processo mondiale ciò che fino ad allora erano storie particolari di paesi, territori e comunità in cui le vicende regionali altro non erano che caselle di un unico cruciverba in movimento, che si scomponeva e ricomponeva senza fine.

Dall’arrivo delle tre caravelle nell’isola di Guanahani, fino alla glo­balizzazione dei nostri giorni, vi è un legame che non si è mai interrotto e che è andato rafforzandosi soprattutto nel suo bene ma, a volte anche nel suo male, fino a integrare tutti i popoli del mondo in un’unica ver­tiginosa e protoplasmatica storia. Tuttavia, proprio come le lingue, il sapere, gli usi, i costumi, la cucina europea, le forme artistiche e il pensiero dell’umanità si arricchirono con l’incorporazione dell’America al resto del mondo a partire dal 1492, è necessario sottolineare anche quel sottile servizio che l’America è andata prestando per cinque secoli all’immaginazione e alle frustrazioni degli europei (ai quali, nell’epoca contemporanea, andrebbero aggiunti molti statunitensi): ovvero materializzare le loro fantasie religiose e ideologiche, incarnando i paradisi a cui anelano o gli inferni che li spaventano.

Il Paradiso biblico, che il licenciado Antonio León Pinelo nel XVII secolo situò in Amazzonia, era religioso e legato a idee del passato. Il paradiso che un giovane e brillante normalien francese, discepolo del filosofo marxista Louis Althusser, vide in America Latina durante gli anni Sessanta, era invece un paradiso rivolu­zionario, comunista, e apparteneva a un futuro che, secondo lui, aveva iniziato a formarsi con la Rivolu­zione cubana. Poiché tanta acqua è scorsa sotto i ponti da quel momento, molti hanno già dimenticato le ri­percussioni che ebbe sul mondo intero il piccolo libro di Régis Debray, ¿Revolución en la Revolución? pubbli­cato, con la benedizione di Fidel Castro, nel 1967 con una tiratura elevatissima dalla Casa de las Américas dell’Avana e che, per molto tempo, fu il catechismo teorico e pratico di quei giovani che, in ogni parte del mondo ma soprattutto in vari paesi dell’America Lati­na, cercarono durante gli anni Sessanta e Settanta di riprodurre le gesta rivoluzionarie dei cubani barbuti.

A qualcuno farà sorridere il mio paragonare il libretto di Debray con lo zibaldone di León Pinelo. Ma non si tratta di un confronto arbitrario. Entrambi i libri, uno nell’ambito religioso e l’altro in quello politico e ideologico, proiettano verso l’America Latina un’utopia occidentale e lì, la incarnano. Secondo Debray, la Rivoluzione cubana ha portato alla luce una verità che sarebbe poi andata persa nel dedalo di errori, concessioni, compromessi, debolezze, pregiudizi e tradimenti che hanno impedito l’avanzare della marcia rivolu­zionaria nella scena mondiale: cosa è e come si fa una rivoluzione. Fidel, il Che e i suoi compagni, non solo hanno ricordato con il loro esempio che il primo do­vere di un rivoluzionario è “fare la rivoluzione”, qualcosa che i comunisti imborghesiti e sottilmente recuperati dal sistema tendono a dimenticare, ma hanno insegnato anche il metodo corretto per mettere in atto quell’ideale e convertirlo in storia viva. […]

Difficilmente il mito di Cuba, prima società nella quale libertà e socialismo si confondevano come le due facce della stessa medaglia, avrebbe proliferato e durato tanto tempo senza la leggenda utopica, tanto contrastante con la verità storica di ciò che stava accadendo nell’isola, intorno alla quale, alla maniera di Régis Debray, ricameranno molti europei, i quali in seguito si impegnarono, in sintonia con la tradizione che ini­zia con i conquistatori e i colonizzatori, nel vedere in quell’isola il paradiso. Debray non fu il solo: Sartre, lo ricordiamo, dopo una visita ufficiale di pochi giorni a Cuba scrisse “Uragano sopra lo zucchero!”, nel quale descrive un’isola dove si praticava “una democrazia in azione”.»

Mario Vargas Llosa, Sogno e realtà dell’America Latina, Introduzione di Carlo Nordio, traduzione di Conzuelo Fogante, collana Oche del Campidoglio, pagg. XVI-40, euro 10.00, ISBN 978-88-98094-64-6