Sperimentazione scientifica sui macachi. Un giudizio sostitutivo del giudice amministrativo?
Indice:
1. La libertà di ricerca scientifica e i suoi limiti in Costituzione
2. La vivisezione: legittimità e limiti
3. La decisione del Consiglio di Stato
1. La libertà di ricerca scientifica in Costituzione
La ‘Costituzione culturale’[1] pone la ricerca tra i propri valori fondamentali. L’articolo 9 Costituzione statuisce che la Repubblica promuove la ricerca scientifica e tecnica. Si tratta di una libertà negativa, che garantisce il ricercatore dall’interferenza statuale e assicura che non si istituisca una ‘scienza di Stato’.
La disposizione costituzionale, peraltro, si presta ad esser letta anche in chiave positiva, ponendo in capo ai pubblici poteri il dovere di sostenere l’attività di ricerca. Analogamente, l’articolo 33 Costituzione afferma che la scienza è libera e libero ne è l’insegnamento, corroborando il principio espresso all’articolo 9.
La previsione costituzionale sembra valorizzare la storia scientifica italiana – da Galileo a Giordano Bruno – e consacrare, in apicibus al sistema delle fonti, la libertà della ricerca. In questa prospettiva, anche il sapere viene declinato secondo la logica pluralistica, escludendo ‘ipse dixit’ e verità autoritative.
Naturalmente, il politeismo di valori costituzionali implica che anche la ricerca scientifica incontri dei limiti nei valori con essa confliggenti, sicché spetta al legislatore o al giudice trovare un punto d’equilibrio.
In questo senso, mentre il nucleo duro della ricerca ‘teorica’ risulta inscalfibile, la ricerca sperimentale – che si traduce in azione – può subire dei bilanciamenti con altri principi concorrenti[2].
Tra questi, per quanto qui interessa, viene in rilievo la protezione delle specie animali, che determina la necessità di disciplinare e circondare di adeguate garanzie la sperimentazione animale e – in particolare – la vivisezione.
Un bilanciamento è stato tracciato, in tema, dal legislatore con il Decreto Legislativo 27 gennaio 1992, n. 116 prima, e con il Decreto Legislativo 4 marzo 2014 n. 26, poi. In ambedue le discipline citate la sperimentazione animale è sì consentita, ma a rigorose condizioni, che saranno tra breve esaminate.
Merita osservare che, vigente il primo decreto delegato, la Regione Emilia-Romagna aveva adottato, in materia di sperimentazione animale, una legge più restrittiva rispetto alla disciplina statuale.
La Corte costituzionale, con decisione 11 giugno 2004, n. 166[3] ha precisato che la materia della ricerca scientifica appartiene alla potestà legislativa concorrente, sicché le Regioni debbono rispettare i principi fondamentali dettati dalla legislazione statuale, tra i quali figura anche l’estensione della libertà di ricerca e il livello del valore antagonistico della protezione degli animali.
Peraltro, la Corte – esprimendosi anche sul merito dell’operazione di bilanciamento – è parsa avallare la soluzione mediana adottata dal legislatore statale, ritenendola foriera di un sapiente equilibrio tra istanze di protezione degli animali e esigenze della ricerca scientifica.
2. La sperimentazione animale: legittimità e limiti
La sperimentazione animale – nel cui genus ricade anche la vivisezione – ha da sempre rappresentato un metodo gnoseologico fondamentale per il medico.
Usando come ‘schermo’ il corpo animale, sono stati condotti esperimenti utili (‘traslabili’) anche per gli esseri umani. Tuttavia, è evidente che si impone così un sacrificio a esseri viventi e senzienti, fatti oggetto di pratiche invasive e dolorose, con danni talora permanenti se non con conseguenze mortali[4].
L’accresciuta sensibilità sociale per questo tema ha determinato l’adozione di una legislazione sempre più attenta ai ‘diritti’ degli animali. In particolare, il Decreto Legislativo n. 26/2014, che recepisce la direttiva 2010/63/UE, condiziona l’utilizzo di animali a fini scientifici o educativi all’impossibilità di conseguire gli obiettivi di ricerca senza l’impiego di animali vivi. La fonte adotta i principi di sostituzione, riduzione e perfezionamento (le 3 R[5]).
Per sostituzione si deve intendere la preferenza per metodi alternativi all’impiego di animali vivi; per riduzione il minor utilizzo possibile – in termini quantitativi e qualitativi – degli animali; per perfezionamento la ricerca delle procedure che siano meno invasive e dannose per gli animali[6].
È in questo contesto normativo che si inscrive la decisione in commento.
3. La decisione del Consiglio di Stato
Il Ministero della salute ha rilasciato, in favore di alcuni atenei, un’autorizzazione a effettuare sperimentazioni su sei macachi – primati non umani – al fine di studiare la capacità di c.d. visione cieca o non conscia.
Insorgeva contro questa determinazione l’associazione L.A.V. - Lega Antivivisezione Ente Morale Onlus, deducendo il difetto di istruttoria e la carenza di motivazione con riferimento all’infungibilità della sperimentazione animale. Ad avviso dell’Associazione, infatti, il provvedimento non avrebbe chiarito le ragioni tecnico-scientifiche che avrebbero giustificato il ricorso alla sperimentazione sui primati non umani, violando altresì il principio delle 3 R.
Il TAR Lazio, sez. III quater, con decisione 1° giugno 2020, n. 5771, ha ritenuto che il provvedimento fosse adeguatamente motivato, evocando i pareri resi nel corso del procedimento dagli organi tecnici coinvolti[7].
La L.A.V. impugnava avanti al Consiglio di Stato anche la decisione del TAR Lazio appena citata, reiterando le proprie censure che – precisava – chiedevano non già un (inammissibile) sindacato sulla sfera tecnico-discrezionale riservata all’Amministrazione, bensì uno scrutinio di legittimità in termini di ragionevolezza dell’esercizio del potere.
Il supremo giudice amministrativo, al fine di corrispondere alla domanda di giustizia dell’appellante, disponeva una verificazione, finalizzata – come chiarito dalla decisione in commento – non a sostituirsi alla valutazione tecnico-scientifica dell’autorità amministrativa, ma a consentirne il vaglio in punto di legittimità sub specie di congruità/ragionevolezza.
Ai verificatori veniva, in particolare, richiesto se il progetto rispettasse il principio delle tre R e se i risultati attesi fossero traslabili agli esseri umani.
Cons. St., sez. III, 8 febbraio 2021, n. 1186 opinava – alla luce dei risultati della verificazione – che il progetto fosse rispettoso delle tre R e che le conoscenze ricavabili dall’esperimento fossero traslabili agli esseri umani. Non ometteva tuttavia di rilevare come, in realtà, la motivazione del provvedimento fosse «effettivamente scarna, e non consent[isse] di evincere con immediata evidenza le ragioni che hanno condotto a ritenere suscettibile di positiva valutazione il progetto». Proseguiva rilevando che «la verificazione disposta dalla Sezione – dimostratasi essenziale al fine del decidere – ha consentito di avere la conferma della correttezza della conclusione alla quale erano pervenuti il Consiglio Superiore della Sanità e l’Organismo preposto al benessere animale».
Queste affermazioni suscitano, invero, il dubbio che – nonostante la dichiarazione d’intenti iniziale – il giudice amministrativo abbia in effetti esercitato un sindacato ‘forte’, sostituendo la propria valutazione a quella dell’organo amministrativo.
In questo senso, si sarebbe in presenza di un giudizio sul rapporto, teso a verificare tout court la corrispondenza del fatto alla legge, senza la mediazione del potere amministrativo già esercitato.
La decisione parrebbe seguire le cadenze logiche di cui all’articolo 21 octies, comma 2, l. 7 agosto 1990, n. 241, senza però che ne ricorrano le condizioni. Infatti, il provvedimento non ha natura vincolata, ma tecnico-discrezionale; inoltre, non si dibatte dell’omissione della comunicazione di avvio del procedimento, bensì di insufficiente motivazione.
Insomma: l’Amministrazione era chiamata ad un giudizio tecnico, conoscibile dal giudice soltanto in termini di legittimità. Una volta assuntane l’insufficienza, parrebbe precluso al giudice di sostituirsi all’Amministrazione decidente con un proprio apprezzamento tecnico, in guisa da corroborare l’insufficiente motivazione del provvedimento impugnato.
Si sarebbe potuto, secondo questa linea ragionativa, richiedere ai verificatori di vagliare l’esaustività e l’attendibilità scientifica del giudizio espresso dall’Amministrazione, piuttosto che rimettere loro una valutazione immediata sull’esperimento.
Sarebbe stato forse più coerente con il principio di separazione dei poteri un decisum di annullamento, ai fini della riedizione del potere amministrativo conformemente alle direttive rivenienti dalla statuizione giudiziale.
[1] Sul concetto, cfr. M. BETZU, Articolo 9, in Commentario breve alla Costituzione, Padova, 2008.
[2] Cfr. R. BIN, La Corte e la scienza, relazione al seminario Biotecnologie e valori costituzionali. Il contributo della giustizia costituzionale, tenutosi a Parma il 19 marzo 2004.
[3] V. la nota di S. MANGIAMELI, Il riparto Stato-Regioni tra assetto delle materie e disciplina delle fonti, in Le Regioni 5/2004.
[4] Per i profili storici della disciplina, cfr. amplius G. PELAGATTI, Profili giuridici della sperimentazione animale, in Diritti fondamentali 1/2018.
[5] Reduce, replace, refine.
[6] Sulla disciplina vigente, v. G. PELAGATTI, op. cit., nonché A. INDELICATO, La sperimentazione animale e i metodi alternativi: dalla normativa alla giurisprudenza comparata Italia-Cina, in Corti supreme e salute 2/2020.
[7] Cfr. S. PENASA, Sperimentazione animale e valutazioni tecnico-scientifiche: il T.A.R. Lazio e il ruolo degli organismi di autorizzazione. Riflessioni a partire da T.A.R. Lazio, sentenza n. 5771, 1 giugno 2020, in Il Piemonte delle Autonomie 2/2020.