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Stalking: la tutela dell'art. 612-bis c.p.

Gli atti persecutori previsti dall'articolo 612-bis c.p.
Stalking
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Stalking: cos'è e come è disciplinato?
 

Stalking: in questo contributo cerchiamo di approfondire al massimo il tema introdotto dall'art. 612-bis del codice penale, ovvero la disciplina dello stalking e degli atti persecutori connessi, attraverso una disamina giurisprudenziale, dottrinale e pratica compiuta dal dottor Vincenzo Giuseppe Giglio.

Stalking - l'art. 612-bis del codice penale tra dottrina e giurisprudenza

 

1. Salvo che il fatto costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da un anno a sei anni e sei mesi (2) chiunque, con condotte reiterate, minaccia o molesta taluno in modo da cagionare un perdurante e grave stato di ansia o di paura ovvero da ingenerare un fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona al medesimo legata da relazione affettiva ovvero da costringere lo stesso ad alterare le proprie abitudini di vita (3).

2. La pena è aumentata se il fatto è commesso dal coniuge, anche separato o divorziato, o da persona che è o è stata legata da relazione affettiva alla persona offesa ovvero se il fatto è commesso attraverso strumenti informatici o telematici (4).

3. La pena è aumentata fino alla metà se il fatto è commesso a danno di un minore, di una donna in stato di gravidanza o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, ovvero con armi o da persona travisata.

4. Il delitto è punito a querela della persona offesa. Il termine per la proposizione della querela è di sei mesi. La remissione della querela può essere soltanto processuale. La querela è comunque irrevocabile se il fatto è stato commesso mediante minacce reiterate nei modi di cui all’articolo 612, secondo comma. Si procede tuttavia d’ufficio se il fatto è commesso nei confronti di un minore o di una persona con disabilità di cui all’articolo 3 della legge 5 febbraio 1992, n. 104, nonché quando il fatto è connesso con altro delitto per il quale si deve procedere d’ufficio (5).

(1) Articolo aggiunto dall’art. 7, DL 11/2009, convertito in legge, con modificazioni, con L. 38/2009.

(2) L’attuale trattamento edittale è stato introdotto dall’art. 9 della L. N. 69/2019. Il precedente andava da sei mesi a cinque anni.

(3) Comma così modificato dal comma 1 dell’art. 1-bis, DL 78/2013 convertito con L. 94/2013.

(4) Comma così sostituito dall’art. 1, comma 3, lett. a), DL 93/2013 convertito con L. 119/2013.

(5) Comma così modificato dall’art. 1, comma 3, lett. b), DL 93/2013 convertito con L. 119/2013.


Stalking: rassegna di giurisprudenza

Quesito posto alle Sezioni unite: se, in caso di concorso tra i fatti-reato di atti persecutori e di omicidio aggravato ai sensi dell’art. 576, comma 1, n. 5.1, sussista un concorso di reati, ai sensi dell’art. 81, o un reato complesso, ai sensi dell’art. 84, comma 1, che assorba integralmente il disvalore della fattispecie di cui all’art. 612-bis ove realizzato al culmine delle condotte persecutorie precedentemente poste in essere dall’agente ai danni della medesima persona offesa (Sez. 5, udienza 1.3.2021, informazione provvisoria).

Il delitto di atti persecutori (stalking), in quanto reato necessariamente abituale, non è configurabile in presenza di un’unica, per quanto grave, condotta di molestie e minaccia, neppure unificando o ricollegando la stessa ad episodi pregressi oggetto di altro procedimento penale attivato nella medesima sede giudiziaria, atteso il divieto di bis in idem. Laddove un soggetto sia stato condannato per il delitto di atti persecutori, gli atti successivi a quelli per i quali egli è già stato giudicato non possono essere più collegati a quelli precedenti, ma devono dare vita ad una nuova serie di atti che sia causa di uno degli eventi contemplati dall’art. 612-bis. Una serie di condotte capaci di integrare il reato abituale può ritenersi cessata per effetto di sentenza di condanna e, se ripresa successivamente a questa, può anche dare luogo ad una situazione di continuazione ai sensi e per gli effetti dell’art. 81, purché la nuova serie di condotte sia tale da delineare una nuova ed autonoma fattispecie di reato abituale (Sez. 5, 11925/2020).

Il delitto di atti persecutori (stalking) è un reato abituale, a struttura causale e non di mera condotta, che si caratterizza per la produzione di un evento di «danno» (l’alterazione delle abitudini di vita della vittima o il perdurante e grave stato di ansia o di paura), ovvero di «pericolo» (il fondato timore per l’incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona alla vittima legata da relazione affettiva), indotti dalla reiterazione di condotte moleste o minatorie. Esso invece non comprende strutturalmente, tra gli eventi costitutivi, né la lesione dell’altrui integrità fisica, né tanto meno l’incendio della cosa propria e altrui (Sez. 1, 57950/2018).

In tema di atti persecutori (stalking), la prova dell’evento del delitto, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall’agente ed anche da quest’ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l’evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata (Sez. 5, 17795/2017).

Il delitto di atti persecutori (stalking), cosiddetto “stalking”, è un reato che prevede eventi alternativi, la realizzazione di ciascuno dei quali è idonea ad integrarlo; pertanto, ai fini della sua configurazione non è essenziale il mutamento delle abitudini di vita della persona offesa, essendo sufficiente che la condotta incriminata abbia indotto nella vittima uno stato di ansia e di timore per la propria incolumità (Sez. 5, 29872/2011).

Ai fini della configurabilità del reato di atti persecutori, non è necessario che la vittima prospetti espressamente e descriva con esattezza uno o più degli eventi alternativi del delitto, potendo la prova di essi desumersi dal complesso degli elementi fattuali altrimenti acquisiti e dalla condotta stessa dell’agente (Sez. 5, 57704/2017).

Nella fattispecie prevista e punita dall’art. 612-bis (stalking) è il comportamento complessivo del soggetto agente, coerentemente alla natura di reato abituale propria della fattispecie, ad assumere rilievo ai fini della produzione dell’evento tipico, nelle forme alternative richieste dalla norma incriminatrice, e, dunque, ai fini della stessa tipicità della fattispecie, connotata da una sua propria offensività.

Laddove i singoli atti persecutori (stalking), isolatamente considerati, non sono affatto produttivi dell’anzidetto evento tipico, a fortiori ove si tratti di fatti autonomamente rilevanti sul piano penale, come tali caratterizzati da una loro propria offensività, che  si ripete  è distinta da quella che scaturisce dalla loro reiterazione, che, unificandoli, vale a definire un comportamento criminale per certo diverso da quelli che concorrono a delinearlo sul piano oggettivo (Sez. 7, 41752/2016).

Il delitto di atti persecutori (stalking) di cui all’art. 612-bis ha natura di reato abituale a reiterazione necessaria delle condotte di guisa che ad esso, quanto alla individuazione del giudice territorialmente competente, si applica la regola di cui all’art. 8 comma 3 CPP, ai sensi del quale, “se si tratta di reato permanente, è competente il giudice del luogo in cui ha avuto inizio la consumazione” (Sez. 1, 31705/2017).

A seguito del chiarimento delle Sezioni unite (SU, 10969/2016), anche il delitto ex art 612-bis (stalking) deve intendersi ricompreso nella previsione normativa ex art. 408 comma 3-bis CPP (Sez. 5, 9435/2017).

Il delitto di atti persecutori (stalking) può concorrere con quelli di lesioni ed esercizio arbitrario delle proprie ragioni, avendo oggetto giuridico diverso (Sez. 5, 54923/2016).

Nell’ipotesi di atti persecutori commessi nei confronti della ex compagna (stalking), l’attendibilità e la forza persuasiva delle dichiarazioni rese dalla vittima del reato non sono inficiate dalla circostanza che all’interno del periodo di vessazione la persona offesa abbia vissuto momenti transitori di attenuazione del malessere in cui ha ripristinato il dialogo con il persecutore (Sez. 5, 5313/2014).