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Tam pro papa quam pro reg bibunt omnes sine lege

Mondo giuridico e vino
Mondo giuridico e vino

Tempo fa, dopo una mattinata spesa a un convegno, un collega mi propose di pranzare insieme. “Va bene – dissi – purché non si parli di diritto. Voi giuristi – aggiunsi tirandomi fuori dalla categoria cui disgraziatamente appartengo – sareste capaci di parlare due ore, non dico del vino, ma persino dei profili giuridici dei suoi contenitori: bottiglie, damigiane, e via via. La vita è fatta anche di altre cose: l’amore, la famiglia, l’arte, la musica, lo sport, la cucina, e appunto il vino”.

Purtroppo l’Occidente ha ridotto tutto alla forma. Quello è il jus!: lo Stato di diritto ti permette di fare guerre e devastare il pianeta, di inquinare e provocare carestie, di deportare i migranti in cerca di una vita migliore, o prenderli in ostaggio, e di accumulare ricchezza per pochi, lasciando nella fame i molti.

Ventisei persone nel mondo hanno, sommato, un patrimonio pari a quello messo insieme da tre miliardi e 800 milioni di altre persone. Tutto, però, è deciso con le dovute forme.

Il giurista occidentale è contento se si rispetta la forma, e in ciò incontra l’essenza della vita, che identifica col diritto.

Davanti a un buon bicchiere, pochi giuristi non pensano, foss’anche per un istante, alla tutela data dalla denominazione d’origine, nella sue diverse forme; o alle componenti degli uvaggi, quali percentuali devono essere rispettate per non uscire dal marchio; agli organi che autorizzano, che controllano, alle competenze in materia.

Poi magari si lasciano incantare dal colore, dal bouquet, dal retrogusto, e siccome spesso sono ricchi non si preoccupano del prezzo. I più colti magari si interrogano – e introducono quale argomento di conversazione – il rapporto tra vino, religione e diritto. Le religioni (e il diritto) delle regioni calde del globo spesso proibiscono l’alcool, diversamente da quelle fredde. Il diritto è un continuum tra società, religione, istituzioni.

Io stesso, una volta, durante un pranzo ho provocato un dibattito sul federalismo etilico. Perché mai l’etilometro deve essere tarato sugli stessi valori in Veneto e in Sicilia? In Veneto ci addestrano sin da bambini, a bere vino (eravamo poveri e avevamo freddo); prima di sentire le conseguenze dell’alcool dobbiamo berne parecchi, di “goti”. Però con un bicchiere e mezzo diventiamo fuorilegge, come chi – non abituato – risente immediatamente degli effetti (mentre se si mangia un chilo di amatriciana va tutto bene). Normative differenziate, dunque, ci vorrebbero!

“Vero! – replicò il collega. Ma pensa a quante cose si potrebbero dire anche dei contenitori del vino”. E cominciò l’elenco.

Manca una normativa europea per uniformare le bottiglie, con gravi problemi quando si imbottiglia (non ce ne sono due uguali…), quando si devono mettere in frigo (alcune sono troppo panciute), ecc.

I contenitori in tetrapak si conciliano con le previsioni costituzionali sull’ambiente? Come si risolvono i problemi di smaltimento?

Le imposte agevolate sul vino si applicano anche alle bottiglie, e se no, perché no? Come disciplinano i vari Paesi la materia?

Perché la protezione del marchio “champagne” non si estende anche ai suoi tipici “contenitori” (Magnum, Geroboamo, Roboamo, Matusalemme, fino al Nabucco e oltre)? Altre “forme” sono protette, come ad es. la bottiglia della coca-cola. Come funziona il copyright?

Non la smetteva più.

Arrivati al caffè, la sua verve si esaurì, e se ne restò muto per un po’. La vita non gli offriva altri spunti. Neppure per commentare se il bicchiere bevuto era buono o cattivo.

C’è una morale in tutto ciò: evitare i giuristi, se si vuole gustare il pranzo, e pranzare in pace. Abbasso il diritto, Viva il vino!