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Terrorismo - Cassazione penale: legittimo il carcere preventivo per chi svolge attività di supporto a gruppi terroristici

Terrorismo - Cassazione penale: legittimo il carcere preventivo per chi svolge attività di supporto a gruppi terroristici
Terrorismo - Cassazione penale: legittimo il carcere preventivo per chi svolge attività di supporto a gruppi terroristici

Con la sentenza in esame, la Cassazione ha ritenuto legittimo un provvedimento che dispone la custodia cautelare in carcere, per chi, ai sensi dell’articolo 270-bis del Codice Penale, “promuove costituisce, organizza, dirige o finanzia associazioni con finalità terroristiche o di eversioni dell’ordine democratico”.

 

La vicenda

Le indagini a carico del ricorrente hanno avuto inizio a seguito dell’arresto di un terrorista ceceno, a cui era stata concessa ospitalità presso un’associazione culturale gestita dal ricorrente.

A seguito di ulteriori accertamenti (“una serie di intercettazioni ambientali e servizi di appostamento”), era emerso che l’associazione non veniva utilizzata soltanto come luogo di incontri religiosi e attività sociali, ma anche come base di appoggio per gli aderenti all’ISIS e per finalità di “propaganda e proselitismo”.

Tra le accuse mosse nei riguardi del ricorrente, inoltre, figuravano i suoi legami con il gruppo terroristico e attività di apologia dell’organizzazione per mezzo dei social network, rispondendo pertanto di reato continuato ed istigazione a delinquere, ai sensi di quanto rispettivamente previsto dagli articoli 81 e 414 del Codice Penale.

 

Motivo della decisione

La Suprema Corte ha ritenuto infondate le tesi difensive presentate dal ricorrente avverso il provvedimento emesso dal giudice delle indagini preliminari.

Nel caso di specie, la Cassazione ha affermato che l’effettiva partecipazione ad una struttura associativa di tipo criminale, non si basa su “caratteristiche rigide per qualsivoglia fattispecie di associazione” ma deve essere determinata sulla base della particolare natura del gruppo.

In linea con precedenti orientamenti, la Cassazione chiarisce come il delitto di partecipazione ad un’associazione con finalità di terrorismo (…) ai sensi dell’articolo 270-bis del Codice Penale, possa essere integrato dalla condotta di chi offre in modi differenti, sostegno alle finalità della stessa associazione terroristica, aderendo agli obiettivi perseguiti dalla stessa (al riguardo la Cassazione ha citato il precedente: Sezione Quinta, n. 2651 del 08.10.2015, dep. 2016, Nasr Osama, Rv. 265925).

La Cassazione basandosi su quanto già affermato in precedenza dal giudice per le indagini preliminari, ha ribadito la sussistenza nel caso di specie di valide ragioni per ritenere che il ricorrente fosse concretamente affiliato all’ideologia del gruppo noto come ISIS che, per sue caratteristiche intrinseche, basa la sua intera attività facendo leva su motivazione ideologiche, al fine di reclutare nuovi membri, incitando alla commissione di atti violenti “non sulla base di una centralizzata pianificazione ma per mezzo di scelte autonome dei singoli soggetti”.

Pertanto, “la condivisione ideologica delle finalità del gruppo terroristico, l’aver fornito assistenza ad uno degli associati, e lo svolgimento di attività di apologia e propaganda”, nonché la possibilità di influenzare potenzialmente un numero anche esiguo di followers – secondo le indagini, pari a tredici – e il possesso di materiale criptato ottenibile soltanto mediante l’accesso con credenziali private, attraverso il dark web, forniscono la prova concreta di un legame con il gruppo terroristico.

Inoltre, secondo quanto ulteriormente specificato dalla Suprema Corte, ai fini della verifica di affiliazione, non è necessario appurare che l’adesione sia accettata da parte di vertici associativi, dal momento che l’attività del gruppo si sostanzia in una sorta di chiamata pubblica ad agire lanciata attraverso strumenti mediatici.

In aggiunta, la Cassazione ha respinto la tesi secondo cui la condivisione di un’ideologia integralista, accompagnata dall’assenza di propositi concreti di violenza da parte del ricorrente, possa essere considerata espressione di una libera manifestazione del pensiero, dal momento che tra i principali obbiettivi del gruppo terroristico in questione emergono atti di “inaudita ed efferata violenza”. Infine, non è stato ritenuto elemento favorevole il profilo “aperto” su Twitter, facilmente raggiungibile e accessibile da un ampio pubblico, non solo limitato ai tredici followers, ponendo, quindi, in evidenza il potenziale offensivo dei contenuti pubblicati.

Alla luce di quanto affermato, la Cassazione ha, dunque, respinto il ricorso e ritenuto legittima la misura cautelare del carcere, disposta dal giudice per le indagini preliminari nei riguardi del ricorrente.

(Corte di Cassazione - Sezione Prima Penale, Sentenza 15 novembre 2018, n. 51654)