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Tribunale di Cagliari: no all’amministrazione di sostegno a favore di persona sana (se e quando sarà inferma)

TRIBUNALE ORDINARIO DI CAGLIARI

Il GIUDICE TUTELARE

pronuncia il seguente

DECRETO

nel procedimento per amministrazione di sostegno iscritto al n. del registro generale V.G. per l’anno 2009, promosso da:

A. M. , nata a … il …

con l’intervento del Pubblico Ministero.

* * *

La signora A. M., persona non affetta da alcuna patologia, chiede che questo giudice proceda alla nomina, in suo favore, di un amministratore di sostegno, indicato nominativamente, affinché, nell’ipotesi che la stessa ricorrente venga a trovarsi in una situazione di incapacità di intendere e di volere in conseguenza di una malattia, l’amministratore attui la volontà precedentemente manifestata in una scrittura privata, allegata al ricorso. In tale scrittura la ricorrente ha, tra l’altro, espresso la direttiva di non essere mantenuta in uno stato di incoscienza permanente o di demenza avanzata mediante trattamenti farmacologici, chirurgici e/o meccanici, o anche soltanto di sostegno vitale con idratazione o alimentazione forzata.

All’udienza di comparizione la ricorrente ha confermato di non essere, allo stato, affetto da alcuna infermità fisica o psichica.

Ciò premesso, il Giudice Tutelare osserva quanto segue.

La domanda della signora A. M. è analoga ad altre, che sono state accolte da alcuni giudici tutelari di questo e di altri tribunali.

I relativi decreti prendono le mosse, espressamente o per implicito, dalle considerazione del principio di autodeterminazione in materia di cure mediche (art. 32 della Costituzione), di cui è attuazione la regola, di elaborazione giurisprudenziale, del consenso informato quale strumento per la concreta realizzazione dell’ineludibile rapporto dialogico medico-paziente.

Si tratta di principi unanimemente accolti dalla dottrina giuridica e dalla giurisprudenza, e costituenti ormai patrimonio comune dei sistemi giuridici di democrazia matura. Indugiare su di essi sarebbe, in questa sede, del tutto superfluo.

E’, invece, necessario verificare la consistenza degli argomenti posti a fondamento di quei provvedimenti per giustificare l’applicazione dell’amministrazione di sostegno a soggetti in piena salute, psichica e fisica, qual è l’odierna ricorrente. Nei decreti in esame, la nomina anticipata di un amministratore, con efficacia condizionata al successivo, eventuale sopraggiungere di un’infermità tale da determinare uno stato di incapacità psichica, è considerata, infatti, una strada obbligata per assicurare una tutela piena ed effettiva dei diritti sopra richiamati.

Richiede soltanto un accenno la tesi, pienamente condivisa da questo giudice, della legittimazione del tutore appositamente nominato ad esprimere, nel rapporto con i medici curanti e previa specifica autorizzazione giudiziale, la volontà del soggetto divenuto incapace di intendere e di volere, da quest’ultimo previamente manifestata. Sul punto si rimanda, per tutte, a Cass. 16 ottobre 2007, n. 21748 (sul caso Englaro), che costituisce ormai “diritto vivente” (salve le precisazioni di cui infra sui limiti entro i quali il rifiuto delle cure può essere ultrattivo). Alla figura del tutore va equiparata, sotto il profilo in esame, quella dell’amministratore di sostegno, alla stregua del plausibile orientamento, che tende sempre più a consolidarsi, circa la tendenziale copertura, da parte del nuovo istituto, dell’intera area già di pertinenza dell’interdizione (v. Cass. 12 giugno 2006, n. 13584; 22 aprile 2009, n. 9628).

Del tutto condivisibile, su questa linea, è anche la tesi secondo cui la nomina di un amministratore è strumento idoneo ad assicurare la realizzazione della volontà di rifiuto delle cure espressa dal paziente, se questo già versi in una condizione certamente o probabilmente prossima alla perdita della capacità di intendere e di volere: si tratta di una situazione rientrante, di sicuro, nella previsione di cui agli artt. 404 e 410 c.c., da interpretarsi estensivamente, quanto ai poteri dell’amministratore, in relazione agli sviluppi prevedibili ed imminenti della patologia in atto.

I decreti sopra richiamati riguardano peraltro, come si è anticipato, una situazione del tutto differente (quella - ripetesi - del soggetto in piena salute che chiede l’immediata nomina di un amministratore, con efficacia condizionata all’eventuale sopraggiungere di un’infermità).

Si afferma espressamente, in taluno di tali decreti, che la lettera dell’art. 404 (“La persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, può essere assistita da un amministratore di sostegno [...]”) sarebbe non del tutto univoca; e che l’interpretazione restrittiva (quella della nomina a favore della sola persona già inferma) non corrisponderebbe alla ratio legis, da individuarsi nella finalità di apprestare uno strumento che consenta al beneficiario il superamento degli ostacoli ad una piena realizzazione della sua personalità. L’asserita non univocità della norma imporrebbe, allora, di prescegliere una soluzione interpretativa costituzionalmente orientata, ed ispirata ai principi della giurisprudenza europea in materia di autodeterminazione del paziente (principi, viene sottolineato, tali da rendere necessaria l’individuazione di strumenti adeguati per rendere generale ed effettivo il diritto di effettuare le scelte in materia sanitaria, a prescindere dallo stato di capacità o incapacità).

Non è dato comprendere, ad avviso di questo giudice, come possa dubitarsi della assoluta univocità e della piena chiarezza della norma, di lineare formulazione, che non consente, alla luce dei suoi aspetti lessicali, grammaticali e sintattici, interpretazioni alternative a quella che circoscrive l’utilizzabilità dell’istituto in esame ai soli casi di persona attualmente inferma.

La necessaria attualità della malattia si ricava anche dalle espresse previsioni della immediata annotazione del decreto di apertura dell’amministrazione nei registri di cancelleria e dell’obbligo per il cancelliere di trasmettere il provvedimento all’ufficiale dello stato civile entro il termine di dieci giorni dal suo deposito (artt. 49 bis disp att. c.c.; 405, ultimo comma, c.c.).

Non può, d’altro canto, trarsi argomento, per giustificare, come vorrebbe qualcuno, la nomina anticipata, dalla norma di cui all’art. 406, 1° comma, c.c., che legittima alla proposizione della domanda lo stesso interessato: essa è formulata, con tutta evidenza, in relazione all’ipotesi che questi sia limitato nella cura dei suoi interessi da una condizione patologica soltanto fisica (v. riferimento testuale nell’art. 404), ovvero da una condizione psichica che lasci permanere una capacità residua; ed il suo richiamo è quindi inconferente rispetto alla tesi di cui oggi si discute.

Manca dunque il presupposto imprescindibile, costituito dall’esistenza di una pluralità di interpretazioni possibili, per il ricorso, nell’interpretazione dell’art. 404 c.c., a parametri di valenza costituzionale o di rilievo sovranazionale. Né appare ammissibile un percorso ermeneutico di segno invertito, il quale, muovendo dall’imperativo di individuare nell’ordinamento istituti tipici, idonei ad attuare il principio di autodeterminazione, e dall’idea che essi siano necessariamente esistenti, forzi fino alla “rottura”, in nome di quel principio, il tessuto verbale delle norme, attribuendo loro significati incompatibili con quello “fatto palese dal significato dalle parole secondo la connessione di esse”.

Non giova, d’altro canto, richiamare, come fa taluno, la ratio dell’istituto dell’amministrazione di sostegno, poiché la finalità, certamente perseguita dal legislatore, di realizzare la piena estrinsecazione della personalità del beneficiario non appare di specificità tale da porsi in contrasto con la lettera delle legge, la quale - va ribadito - palesemente limita il sostegno a chi ne abbia bisogno perché attualmente ammalato.

I rilievi che precedono sono di per sé tali, ad avviso di questo giudice, da comportare il rigetto del ricorso.

A non diversa soluzione si giungerebbe comunque, nella sostanza, anche ponendosi nell’ottica propria della differente linea interpretativa sopra discussa. Non si ravvisa, infatti, alcun apprezzabile interesse della ricorrente ad ottenere fin da ora la nomina di un amministratore in vista delle mera eventualità del sopraggiungere, in futuro, di uno stato di incapacità di intendere e volere.

Devono, al riguardo, formularsi le seguenti osservazioni.

Il “diritto vivente”, che trova la sua origine nella citata Cass. 16 ottobre 2007, n. 21748 (e dal quale nessuno, in giurisprudenza, sembra finora discostarsi), limita, come è noto, l’effetto ultrattivo della volontà di rifiuto delle cure alla situazione della persona che versi in una condizione di stato vegetativo irreversibile, rispetto al quale “[…] non vi sia alcun fondamento medico, secondo gli standard scientifici riconosciuti a livello internazionale, che lasci supporre la benché minima possibilità di un qualche, sia pure flebile, recupero della coscienza e di ritorno ad una percezione del mondo esterno”. Ove a questa situazione si giunga attraverso un processo patologico evolutivo, come tale protraentesi nel tempo, lo stesso interessato o i suoi familiari potranno, nel rispetto della norma di cui all’art. 404, adire il giudice tutelare nel corso della malattia per ottenere tempestivamente la nomina di un amministratore, da designare (v., per fattispecie di questo tipo, decreti relativi a pazienti ammalati di SLA, ecc.), ovvero già designato in precedenza ai sensi del primo comma dell’art. 408.

La differente ipotesi dell’instaurarsi improvviso ed istantaneo di una condizione di patologia irreversibile (per effetto di incidenti vascolari, sinistri stradali, ecc.) è più suggestiva, potendo, prima facie, apparire non tollerabile, dal punto di vista dell’interesse in esame, una sia pur minima dilazione nell’istituzione della procedura di amministrazione di sostegno. Ma, a ben guardare, la soluzione della nomina anticipata dell’amministratore non vale, di per sé, a soddisfare in maniera più piena quell’interesse.

Deve rilevarsi, anzitutto, che l’accertamento in concreto della sussistenza di una situazione corrispondente a quella delineata da Cass. n. 21748 del 2007 (v. la massima sopra trascritta) non sarà immediatamente coincidente con il momento dell’instaurarsi della patologia, ma richiederà degli imprescindibili tempi tecnici, nel corso dei quali l’amministratore già designato dall’interessato ex art. 408 c.c. potrà, se legittimato ai sensi degli artt. 406, 1° comma, e 417 c.c., adire direttamente il giudice per la nomina; ovvero sollecitare l’adempimento, da parte dei sanitari curanti, dell’obbligo di ricorso di cui al 3° comma dell’art. 406; ovvero provocare l’iniziativa del pubblico ministero.

Nel caso, differente da quello in esame, che non vi sia stata in precedenza la designazione formale di cui all’art. 408, analogo percorso sarà consentito, nelle more degli accertamenti, a qualunque persona che voglia attivarsi nell’interesse del paziente incapace.

L’obiezione che al riguardo viene mossa dai fautori della tesi qui contestata, circa i tempi richiesti dai predetti interventi, appare infondata sotto molteplici profili.

E’ anzitutto, da rilevare che molti tribunali, compreso quello cui appartiene questo giudice, sono in grado di nominare ad horas, se necessario, l’amministratore di sostegno, ovvero di intervenire direttamente nei confronti dei medici curanti, attuando in tempi brevissimi la previsione di cui all’art. 405, 4° comma. Non può, quindi, invocarsi, a sostegno della tesi criticata, l’impossibilità di un tempestivo intervento, che non sussiste come tale; potendosi, se mai, ipotizzare dei disservizi, da rimuovere doverosamente sul piano organizzativo (sicché l’adducere inconvenientes è non solo giuridicamente scorretto in via generale, ma anche, nella specie, ingiustificato sul piano delle situazioni di fatto).

Sotto un altro profilo, appare non coerente con il sistema l’idea che, nominato anticipatamente, da parte del giudice tutelare, l’amministratore di sostegno, quest’ultimo possa poi instaurare con i medici, in una sopravvenuta situazione patologica del beneficiario, un rapporto autonomo ed esclusivo, assumendo immediatamente decisioni spesso definitive, per loro natura, rispetto al destino della persona divenuta incapace. Davvero non si vede come ciò possa avvenire in un quadro normativo connotato dalla costante presenza del giudice, il quale è, dalla legge vigente, chiamato ad intervenire, con provvedimenti autorizzativi, anche soltanto per legittimare la riscossione di capitali o la transazione di controversie, pur se modeste (v. artt. 411, 374 e 375 c.c.); e tanto meno - se possibile - si comprende come, nell’ambito di un sistema siffatto, le scelte di fine vita possano essere rimesse in via diretta ad un terzo sulla base di una mera nomina condizionata, avvenuta (in ipotesi, anche decine di anni prima) in una situazione di assoluta imprevedibilità del concreto atteggiarsi delle ipotetiche, future infermità.

E’ pur vero che alcuni decreti i quali accolgono la soluzione qui contestata contengono dei riferimenti alla figura del giudice tutelare. Ma in taluno di essi si prevede che l’amministratore debba riferire al giudice circa “l’attività svolta” nei confronti del beneficiario in situazioni di fine vita, espressamente menzionate, rispetto alle quali lo stesso beneficiario, da sano, aveva prescritto il rifiuto di cure (Giudice Tutelare Cagliari, decreto 22 ottobre 2009); in altri ancor più esplicitamente si dispone che venga data al giudice immediata comunicazione “sull’esito dell’espletamento del demandatogli incarico di sostegno” (il quale contiene l’espressa autorizzazione all’amministratore a negare interventi di rianimazione, di ventilazione e di sostegno vitale: Giudice Tutelare Modena, decreto 5 novembre 2008): in tutti questi casi (anche quando si fa salva la possibilità dell’emanazione di “altri provvedimenti” resi necessari da “ogni variazione delle condizione di salute della persona”: Giudice Tutelare Modena, cit.) si autorizza, dunque, a priori una autonoma funzione surrogatoria della volontà del (potenziale) beneficiario, il cui normale esito sarà, nella gran parte dei casi, la morte del medesimo; essendo, di conseguenza, riservato al giudice tutelare il ruolo di mero destinatario di informative circa situazioni tendenzialmente già conclusesi per effetto delle scelte autonome dell’amministratore.

In definitiva, come accennato, sembra che disposizioni siffatte si pongano in contrasto con i principi vigenti in materia di misure di protezione, la cui disciplina assegna un rilievo centrale alla funzione del giudice, in particolare con riguardo allo specifico controllo preventivo delle scelte non ordinarie del soggetto preposto alla cura del beneficiario. Tale controllo non può esaurirsi in un’autorizzazione a priori per categorie di atti, quando questi siano destinati ad incidere in modo così penetrante e spesso irreversibile su situazioni non compiutamente prevedibili, a priori, nelle loro concrete peculiarità.

In assenza di una specifica disciplina normativa (che i disegni di legge sul c.d. testamento biologico hanno, talvolta, opportunamente tratteggiato sul punto, e che sola potrebbe impedire difficoltà difficilmente superabili nel concreto rapporto con i medici in assenza dell’intervento del giudice), dovranno allora necessariamente applicarsi per analogia le norme sopra citate degli artt. 411, 374 e 375 c.c.. Sarà dunque ineliminabile (e, di fatto, può prevedersi che verrà sempre richiesto dai sanitari, qualunque sia il tenore dei decreti di nomina) l’intervento autorizzativo del giudice tutelare rispetto alle singole scelte dell’amministratore nelle situazioni estreme della vita del beneficiario, che non consentono interventi correttivi a posteriori.

Tale conclusione toglie sostanza all’argomento dell’urgenza sostenuto dai fautori della nomina anticipata, dal momento che i normali tempi di qualsiasi necessario procedimento autorizzativo tenderanno a coincidere con quelli del medesimo procedimento che sia preceduto dalla nomina, in via temporanea e urgente, dell’amministratore; o a discostarsi da essi in misura scarsamente rilevante.

A quest’ultimo riguardo, sembra ovvia la considerazione che l’interesse dell’ammalato, alla stregua del diritto vivente sopra richiamato, non è quello che si ponga termine alla sua vita, mediante l’interruzione delle cure o la mancata attivazioni di presidi tecnici, nell’assoluta immediatezza dell’accertamento di uno stato vegetativo irreversibile, senza una sia pur minima soluzione di continuità; meritando invece di essere tutelato soltanto il diritto ad impedire che quello stato si protragga per un lasso temporale apprezzabile, di misura tale da renderlo incompatibile con la dignità della persona.

In uno dei decreti in questione si sostiene che l’interesse alla nomina anticipata su istanza della persona in piena salute andrebbe ravvisato nella possibilità della stessa di interloquire con il giudice tutelare per ottenere la nomina dell’amministratore da essa indicato, partecipando attivamente al procedimento al fine di orientare il giudice nella sua scelta; finalità che meno facilmente si realizzerebbe con lo strumento della designazione per iscritto, anteriore al procedimento di nomina, prevista dal citato art. 408 c.c.. L’argomento, che valorizza un ipotetico “contraddittorio” tra l’istante ed il giudice, appare inconsistente alla luce della considerazione che quest’ultimo non avrà comunque ragione di disattendere, con il decreto di nomina anticipata, l’indicazione della persona in piena salute (e tanto meno ciò farà, in concreto, in procedimenti tendenzialmente “seriali”, quali sono quelli in questione); sicché lo strumento della cui legittimità qui si dubita finirebbe per realizzare un automatismo estraneo alla funzione del giudice, e tendenzialmente inutile in tutte le ipotesi, che saranno le più frequenti, in cui la condizione di efficacia della nomina si verificherà dopo lungo tempo, con conseguente necessità di verificare successivamente l’idoneità del soggetto a suo tempo nominato e la persistenza del rapporto di fiducia (essendo di fatto inconoscibili, per loro natura, le eventuali revoche e modifiche, che i decreti in esame necessariamente ipotizzano a forma libera).

Non si comprende, per altro verso, come l’interesse ad agire possa cogliersi (secondo la tesi della difesa della ricorrente, seguita da altro giudice) nell’accostamento tra la domanda per cui si procede e le azioni tipiche con le quali si attua una tutela anticipata e condizionata (convalida di sfratto; denuncia di danno temuto; azioni cautelari; azioni di accertamento): il confronto appare del tutto improponibile, per l’irriducibile eterogeneità tra le situazioni giuridiche che ne costituiscono l’oggetto.

A ben guardare, la soluzione dalla quale questo giudice dissente si pone su un piano di attività, per dir così, notarili, che si limitano a recepire, quanto alla individuazione della persona dell’amministratore e alle indicazioni di natura medica, le domande proposte con il ricorso, al di fuori da qualsiasi operazione valutativa propria della giurisdizione (sia pure volontaria): nella sostanza, l’attività di nomina anticipata si risolve nell’apposizione del sigillo giudiziale ad atti di parte, purché essi corrispondano nel loro contenuto agli standard ritenuti, un volta per tutte, in linea con gli spazi concessi dalla legge alla volontà del potenziale paziente.

Non si vede, allora, come una risorsa per principio limitata, qual è la giurisdizione, possa essere snaturata, piegandola ad una funzione che non le è propria; senza che ciò - va soggiunto - sia in alcun modo giustificato, come si è cercato di porre in evidenza, da reali esigenze di tutela dei diritti, che non possano trovare differente soddisfazione.

Appare invero del tutto sufficiente, ai fini della piena tutela dei fondamentali diritti di cui si discute, la innovativa previsione contenuta nell’art. 408, 1° comma: norma certamente suscettibile, per la sua natura e per gli interessi che mira a tutelare, di interpretazione estensiva; e che quindi sicuramente consente che alla designazione per iscritto di un amministratore, nella prospettiva di un’eventuale futura incapacità, si accompagni l’indicazione di direttive di carattere medico per il momento successivo alla nomina da parte del giudice; il quale dovrà necessariamente tenere conto, nella sua funzione autorizzativa, della volontà espressa dall’interessato nell’atto di designazione.

Per tutte le considerazioni fin qui svolte, il ricorso deve essere respinto.

PER QUESTI MOTIVI

il Giudice tutelare rigetta il ricorso proposta da A. M..

Cagliari, 14 dicembre 2009

Il Giudice Tutelare

(dott.ssa Emanuela Cugusi)

TRIBUNALE ORDINARIO DI CAGLIARI

Il GIUDICE TUTELARE

pronuncia il seguente

DECRETO

nel procedimento per amministrazione di sostegno iscritto al n. del registro generale V.G. per l’anno 2009, promosso da:

A. M. , nata a … il …

con l’intervento del Pubblico Ministero.

* * *

La signora A. M., persona non affetta da alcuna patologia, chiede che questo giudice proceda alla nomina, in suo favore, di un amministratore di sostegno, indicato nominativamente, affinché, nell’ipotesi che la stessa ricorrente venga a trovarsi in una situazione di incapacità di intendere e di volere in conseguenza di una malattia, l’amministratore attui la volontà precedentemente manifestata in una scrittura privata, allegata al ricorso. In tale scrittura la ricorrente ha, tra l’altro, espresso la direttiva di non essere mantenuta in uno stato di incoscienza permanente o di demenza avanzata mediante trattamenti farmacologici, chirurgici e/o meccanici, o anche soltanto di sostegno vitale con idratazione o alimentazione forzata.

All’udienza di comparizione la ricorrente ha confermato di non essere, allo stato, affetto da alcuna infermità fisica o psichica.

Ciò premesso, il Giudice Tutelare osserva quanto segue.

La domanda della signora A. M. è analoga ad altre, che sono state accolte da alcuni giudici tutelari di questo e di altri tribunali.

I relativi decreti prendono le mosse, espressamente o per implicito, dalle considerazione del principio di autodeterminazione in materia di cure mediche (art. 32 della Costituzione), di cui è attuazione la regola, di elaborazione giurisprudenziale, del consenso informato quale strumento per la concreta realizzazione dell’ineludibile rapporto dialogico medico-paziente.

Si tratta di principi unanimemente accolti dalla dottrina giuridica e dalla giurisprudenza, e costituenti ormai patrimonio comune dei sistemi giuridici di democrazia matura. Indugiare su di essi sarebbe, in questa sede, del tutto superfluo.

E’, invece, necessario verificare la consistenza degli argomenti posti a fondamento di quei provvedimenti per giustificare l’applicazione dell’amministrazione di sostegno a soggetti in piena salute, psichica e fisica, qual è l’odierna ricorrente. Nei decreti in esame, la nomina anticipata di un amministratore, con efficacia condizionata al successivo, eventuale sopraggiungere di un’infermità tale da determinare uno stato di incapacità psichica, è considerata, infatti, una strada obbligata per assicurare una tutela piena ed effettiva dei diritti sopra richiamati.

Richiede soltanto un accenno la tesi, pienamente condivisa da questo giudice, della legittimazione del tutore appositamente nominato ad esprimere, nel rapporto con i medici curanti e previa specifica autorizzazione giudiziale, la volontà del soggetto divenuto incapace di intendere e di volere, da quest’ultimo previamente manifestata. Sul punto si rimanda, per tutte, a Cass. 16 ottobre 2007, n. 21748 (sul caso Englaro), che costituisce ormai “diritto vivente” (salve le precisazioni di cui infra sui limiti entro i quali il rifiuto delle cure può essere ultrattivo). Alla figura del tutore va equiparata, sotto il profilo in esame, quella dell’amministratore di sostegno, alla stregua del plausibile orientamento, che tende sempre più a consolidarsi, circa la tendenziale copertura, da parte del nuovo istituto, dell’intera area già di pertinenza dell’interdizione (v. Cass. 12 giugno 2006, n. 13584; 22 aprile 2009, n. 9628).

Del tutto condivisibile, su questa linea, è anche la tesi secondo cui la nomina di un amministratore è strumento idoneo ad assicurare la realizzazione della volontà di rifiuto delle cure espressa dal paziente, se questo già versi in una condizione certamente o probabilmente prossima alla perdita della capacità di intendere e di volere: si tratta di una situazione rientrante, di sicuro, nella previsione di cui agli artt. 404 e 410 c.c., da interpretarsi estensivamente, quanto ai poteri dell’amministratore, in relazione agli sviluppi prevedibili ed imminenti della patologia in atto.

I decreti sopra richiamati riguardano peraltro, come si è anticipato, una situazione del tutto differente (quella - ripetesi - del soggetto in piena salute che chiede l’immediata nomina di un amministratore, con efficacia condizionata all’eventuale sopraggiungere di un’infermità).

Si afferma espressamente, in taluno di tali decreti, che la lettera dell’art. 404 (“La persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, può essere assistita da un amministratore di sostegno [...]”) sarebbe non del tutto univoca; e che l’interpretazione restrittiva (quella della nomina a favore della sola persona già inferma) non corrisponderebbe alla ratio legis, da individuarsi nella finalità di apprestare uno strumento che consenta al beneficiario il superamento degli ostacoli ad una piena realizzazione della sua personalità. L’asserita non univocità della norma imporrebbe, allora, di prescegliere una soluzione interpretativa costituzionalmente orientata, ed ispirata ai principi della giurisprudenza europea in materia di autodeterminazione del paziente (principi, viene sottolineato, tali da rendere necessaria l’individuazione di strumenti adeguati per rendere generale ed effettivo il diritto di effettuare le scelte in materia sanitaria, a prescindere dallo stato di capacità o incapacità).

Non è dato comprendere, ad avviso di questo giudice, come possa dubitarsi della assoluta univocità e della piena chiarezza della norma, di lineare formulazione, che non consente, alla luce dei suoi aspetti lessicali, grammaticali e sintattici, interpretazioni alternative a quella che circoscrive l’utilizzabilità dell’istituto in esame ai soli casi di persona attualmente inferma.

La necessaria attualità della malattia si ricava anche dalle espresse previsioni della immediata annotazione del decreto di apertura dell’amministrazione nei registri di cancelleria e dell’obbligo per il cancelliere di trasmettere il provvedimento all’ufficiale dello stato civile entro il termine di dieci giorni dal suo deposito (artt. 49 bis disp att. c.c.; 405, ultimo comma, c.c.).

Non può, d’altro canto, trarsi argomento, per giustificare, come vorrebbe qualcuno, la nomina anticipata, dalla norma di cui all’art. 406, 1° comma, c.c., che legittima alla proposizione della domanda lo stesso interessato: essa è formulata, con tutta evidenza, in relazione all’ipotesi che questi sia limitato nella cura dei suoi interessi da una condizione patologica soltanto fisica (v. riferimento testuale nell’art. 404), ovvero da una condizione psichica che lasci permanere una capacità residua; ed il suo richiamo è quindi inconferente rispetto alla tesi di cui oggi si discute.

Manca dunque il presupposto imprescindibile, costituito dall’esistenza di una pluralità di interpretazioni possibili, per il ricorso, nell’interpretazione dell’art. 404 c.c., a parametri di valenza costituzionale o di rilievo sovranazionale. Né appare ammissibile un percorso ermeneutico di segno invertito, il quale, muovendo dall’imperativo di individuare nell’ordinamento istituti tipici, idonei ad attuare il principio di autodeterminazione, e dall’idea che essi siano necessariamente esistenti, forzi fino alla “rottura”, in nome di quel principio, il tessuto verbale delle norme, attribuendo loro significati incompatibili con quello “fatto palese dal significato dalle parole secondo la connessione di esse”.

Non giova, d’altro canto, richiamare, come fa taluno, la ratio dell’istituto dell’amministrazione di sostegno, poiché la finalità, certamente perseguita dal legislatore, di realizzare la piena estrinsecazione della personalità del beneficiario non appare di specificità tale da porsi in contrasto con la lettera delle legge, la quale - va ribadito - palesemente limita il sostegno a chi ne abbia bisogno perché attualmente ammalato.

I rilievi che precedono sono di per sé tali, ad avviso di questo giudice, da comportare il rigetto del ricorso.

A non diversa soluzione si giungerebbe comunque, nella sostanza, anche ponendosi nell’ottica propria della differente linea interpretativa sopra discussa. Non si ravvisa, infatti, alcun apprezzabile interesse della ricorrente ad ottenere fin da ora la nomina di un amministratore in vista delle mera eventualità del sopraggiungere, in futuro, di uno stato di incapacità di intendere e volere.

Devono, al riguardo, formularsi le seguenti osservazioni.

Il “diritto vivente”, che trova la sua origine nella citata Cass. 16 ottobre 2007, n. 21748 (e dal quale nessuno, in giurisprudenza, sembra finora discostarsi), limita, come è noto, l’effetto ultrattivo della volontà di rifiuto delle cure alla situazione della persona che versi in una condizione di stato vegetativo irreversibile, rispetto al quale “[…] non vi sia alcun fondamento medico, secondo gli standard scientifici riconosciuti a livello internazionale, che lasci supporre la benché minima possibilità di un qualche, sia pure flebile, recupero della coscienza e di ritorno ad una percezione del mondo esterno”. Ove a questa situazione si giunga attraverso un processo patologico evolutivo, come tale protraentesi nel tempo, lo stesso interessato o i suoi familiari potranno, nel rispetto della norma di cui all’art. 404, adire il giudice tutelare nel corso della malattia per ottenere tempestivamente la nomina di un amministratore, da designare (v., per fattispecie di questo tipo, decreti relativi a pazienti ammalati di SLA, ecc.), ovvero già designato in precedenza ai sensi del primo comma dell’art. 408.

La differente ipotesi dell’instaurarsi improvviso ed istantaneo di una condizione di patologia irreversibile (per effetto di incidenti vascolari, sinistri stradali, ecc.) è più suggestiva, potendo, prima facie, apparire non tollerabile, dal punto di vista dell’interesse in esame, una sia pur minima dilazione nell’istituzione della procedura di amministrazione di sostegno. Ma, a ben guardare, la soluzione della nomina anticipata dell’amministratore non vale, di per sé, a soddisfare in maniera più piena quell’interesse.

Deve rilevarsi, anzitutto, che l’accertamento in concreto della sussistenza di una situazione corrispondente a quella delineata da Cass. n. 21748 del 2007 (v. la massima sopra trascritta) non sarà immediatamente coincidente con il momento dell’instaurarsi della patologia, ma richiederà degli imprescindibili tempi tecnici, nel corso dei quali l’amministratore già designato dall’interessato ex art. 408 c.c. potrà, se legittimato ai sensi degli artt. 406, 1° comma, e 417 c.c., adire direttamente il giudice per la nomina; ovvero sollecitare l’adempimento, da parte dei sanitari curanti, dell’obbligo di ricorso di cui al 3° comma dell’art. 406; ovvero provocare l’iniziativa del pubblico ministero.

Nel caso, differente da quello in esame, che non vi sia stata in precedenza la designazione formale di cui all’art. 408, analogo percorso sarà consentito, nelle more degli accertamenti, a qualunque persona che voglia attivarsi nell’interesse del paziente incapace.

L’obiezione che al riguardo viene mossa dai fautori della tesi qui contestata, circa i tempi richiesti dai predetti interventi, appare infondata sotto molteplici profili.

E’ anzitutto, da rilevare che molti tribunali, compreso quello cui appartiene questo giudice, sono in grado di nominare ad horas, se necessario, l’amministratore di sostegno, ovvero di intervenire direttamente nei confronti dei medici curanti, attuando in tempi brevissimi la previsione di cui all’art. 405, 4° comma. Non può, quindi, invocarsi, a sostegno della tesi criticata, l’impossibilità di un tempestivo intervento, che non sussiste come tale; potendosi, se mai, ipotizzare dei disservizi, da rimuovere doverosamente sul piano organizzativo (sicché l’adducere inconvenientes è non solo giuridicamente scorretto in via generale, ma anche, nella specie, ingiustificato sul piano delle situazioni di fatto).

Sotto un altro profilo, appare non coerente con il sistema l’idea che, nominato anticipatamente, da parte del giudice tutelare, l’amministratore di sostegno, quest’ultimo possa poi instaurare con i medici, in una sopravvenuta situazione patologica del beneficiario, un rapporto autonomo ed esclusivo, assumendo immediatamente decisioni spesso definitive, per loro natura, rispetto al destino della persona divenuta incapace. Davvero non si vede come ciò possa avvenire in un quadro normativo connotato dalla costante presenza del giudice, il quale è, dalla legge vigente, chiamato ad intervenire, con provvedimenti autorizzativi, anche soltanto per legittimare la riscossione di capitali o la transazione di controversie, pur se modeste (v. artt. 411, 374 e 375 c.c.); e tanto meno - se possibile - si comprende come, nell’ambito di un sistema siffatto, le scelte di fine vita possano essere rimesse in via diretta ad un terzo sulla base di una mera nomina condizionata, avvenuta (in ipotesi, anche decine di anni prima) in una situazione di assoluta imprevedibilità del concreto atteggiarsi delle ipotetiche, future infermità.

E’ pur vero che alcuni decreti i quali accolgono la soluzione qui contestata contengono dei riferimenti alla figura del giudice tutelare. Ma in taluno di essi si prevede che l’amministratore debba riferire al giudice circa “l’attività svolta” nei confronti del beneficiario in situazioni di fine vita, espressamente menzionate, rispetto alle quali lo stesso beneficiario, da sano, aveva prescritto il rifiuto di cure (Giudice Tutelare Cagliari, decreto 22 ottobre 2009); in altri ancor più esplicitamente si dispone che venga data al giudice immediata comunicazione “sull’esito dell’espletamento del demandatogli incarico di sostegno” (il quale contiene l’espressa autorizzazione all’amministratore a negare interventi di rianimazione, di ventilazione e di sostegno vitale: Giudice Tutelare Modena, decreto 5 novembre 2008): in tutti questi casi (anche quando si fa salva la possibilità dell’emanazione di “altri provvedimenti” resi necessari da “ogni variazione delle condizione di salute della persona”: Giudice Tutelare Modena, cit.) si autorizza, dunque, a priori una autonoma funzione surrogatoria della volontà del (potenziale) beneficiario, il cui normale esito sarà, nella gran parte dei casi, la morte del medesimo; essendo, di conseguenza, riservato al giudice tutelare il ruolo di mero destinatario di informative circa situazioni tendenzialmente già conclusesi per effetto delle scelte autonome dell’amministratore.

In definitiva, come accennato, sembra che disposizioni siffatte si pongano in contrasto con i principi vigenti in materia di misure di protezione, la cui disciplina assegna un rilievo centrale alla funzione del giudice, in particolare con riguardo allo specifico controllo preventivo delle scelte non ordinarie del soggetto preposto alla cura del beneficiario. Tale controllo non può esaurirsi in un’autorizzazione a priori per categorie di atti, quando questi siano destinati ad incidere in modo così penetrante e spesso irreversibile su situazioni non compiutamente prevedibili, a priori, nelle loro concrete peculiarità.

In assenza di una specifica disciplina normativa (che i disegni di legge sul c.d. testamento biologico hanno, talvolta, opportunamente tratteggiato sul punto, e che sola potrebbe impedire difficoltà difficilmente superabili nel concreto rapporto con i medici in assenza dell’intervento del giudice), dovranno allora necessariamente applicarsi per analogia le norme sopra citate degli artt. 411, 374 e 375 c.c.. Sarà dunque ineliminabile (e, di fatto, può prevedersi che verrà sempre richiesto dai sanitari, qualunque sia il tenore dei decreti di nomina) l’intervento autorizzativo del giudice tutelare rispetto alle singole scelte dell’amministratore nelle situazioni estreme della vita del beneficiario, che non consentono interventi correttivi a posteriori.

Tale conclusione toglie sostanza all’argomento dell’urgenza sostenuto dai fautori della nomina anticipata, dal momento che i normali tempi di qualsiasi necessario procedimento autorizzativo tenderanno a coincidere con quelli del medesimo procedimento che sia preceduto dalla nomina, in via temporanea e urgente, dell’amministratore; o a discostarsi da essi in misura scarsamente rilevante.

A quest’ultimo riguardo, sembra ovvia la considerazione che l’interesse dell’ammalato, alla stregua del diritto vivente sopra richiamato, non è quello che si ponga termine alla sua vita, mediante l’interruzione delle cure o la mancata attivazioni di presidi tecnici, nell’assoluta immediatezza dell’accertamento di uno stato vegetativo irreversibile, senza una sia pur minima soluzione di continuità; meritando invece di essere tutelato soltanto il diritto ad impedire che quello stato si protragga per un lasso temporale apprezzabile, di misura tale da renderlo incompatibile con la dignità della persona.

In uno dei decreti in questione si sostiene che l’interesse alla nomina anticipata su istanza della persona in piena salute andrebbe ravvisato nella possibilità della stessa di interloquire con il giudice tutelare per ottenere la nomina dell’amministratore da essa indicato, partecipando attivamente al procedimento al fine di orientare il giudice nella sua scelta; finalità che meno facilmente si realizzerebbe con lo strumento della designazione per iscritto, anteriore al procedimento di nomina, prevista dal citato art. 408 c.c.. L’argomento, che valorizza un ipotetico “contraddittorio” tra l’istante ed il giudice, appare inconsistente alla luce della considerazione che quest’ultimo non avrà comunque ragione di disattendere, con il decreto di nomina anticipata, l’indicazione della persona in piena salute (e tanto meno ciò farà, in concreto, in procedimenti tendenzialmente “seriali”, quali sono quelli in questione); sicché lo strumento della cui legittimità qui si dubita finirebbe per realizzare un automatismo estraneo alla funzione del giudice, e tendenzialmente inutile in tutte le ipotesi, che saranno le più frequenti, in cui la condizione di efficacia della nomina si verificherà dopo lungo tempo, con conseguente necessità di verificare successivamente l’idoneità del soggetto a suo tempo nominato e la persistenza del rapporto di fiducia (essendo di fatto inconoscibili, per loro natura, le eventuali revoche e modifiche, che i decreti in esame necessariamente ipotizzano a forma libera).

Non si comprende, per altro verso, come l’interesse ad agire possa cogliersi (secondo la tesi della difesa della ricorrente, seguita da altro giudice) nell’accostamento tra la domanda per cui si procede e le azioni tipiche con le quali si attua una tutela anticipata e condizionata (convalida di sfratto; denuncia di danno temuto; azioni cautelari; azioni di accertamento): il confronto appare del tutto improponibile, per l’irriducibile eterogeneità tra le situazioni giuridiche che ne costituiscono l’oggetto.

A ben guardare, la soluzione dalla quale questo giudice dissente si pone su un piano di attività, per dir così, notarili, che si limitano a recepire, quanto alla individuazione della persona dell’amministratore e alle indicazioni di natura medica, le domande proposte con il ricorso, al di fuori da qualsiasi operazione valutativa propria della giurisdizione (sia pure volontaria): nella sostanza, l’attività di nomina anticipata si risolve nell’apposizione del sigillo giudiziale ad atti di parte, purché essi corrispondano nel loro contenuto agli standard ritenuti, un volta per tutte, in linea con gli spazi concessi dalla legge alla volontà del potenziale paziente.

Non si vede, allora, come una risorsa per principio limitata, qual è la giurisdizione, possa essere snaturata, piegandola ad una funzione che non le è propria; senza che ciò - va soggiunto - sia in alcun modo giustificato, come si è cercato di porre in evidenza, da reali esigenze di tutela dei diritti, che non possano trovare differente soddisfazione.

Appare invero del tutto sufficiente, ai fini della piena tutela dei fondamentali diritti di cui si discute, la innovativa previsione contenuta nell’art. 408, 1° comma: norma certamente suscettibile, per la sua natura e per gli interessi che mira a tutelare, di interpretazione estensiva; e che quindi sicuramente consente che alla designazione per iscritto di un amministratore, nella prospettiva di un’eventuale futura incapacità, si accompagni l’indicazione di direttive di carattere medico per il momento successivo alla nomina da parte del giudice; il quale dovrà necessariamente tenere conto, nella sua funzione autorizzativa, della volontà espressa dall’interessato nell’atto di designazione.

Per tutte le considerazioni fin qui svolte, il ricorso deve essere respinto.

PER QUESTI MOTIVI

il Giudice tutelare rigetta il ricorso proposta da A. M..

Cagliari, 14 dicembre 2009

Il Giudice Tutelare

(dott.ssa Emanuela Cugusi)