Tributario e materia penale a Strasburgo: spunti di riflessione su un’unione feconda

Marina di Ravenna, 2017
Ph. Alessandro Saggio / Marina di Ravenna, 2017

Abstract

Il contributo esamina la nozione autonoma di materia penale nella giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, e fornisce esempi circa le conseguenze dell’utilizzo di tale nozione in materia tributaria, al fine di illustrarne le potenzialità.

The contribution focuses on the autonomous notion of criminal law in the case law of the European Court of Human Rights. It provides examples of the consequences deriving from the use of such notion in respect of tax law, with the aim of evoking its potential.

 

Indice:

1. La CEDU come strumento del tributarista?

2. Le nozioni autonome nella CEDU

3. La nozione autonoma di materia penale

4. Il tributario assume i tratti del penale

5. Conclusioni

 

1. La CEDU come strumento del tributarista?

La Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo (CEDU) è uno strumento che molti tributaristi e commercialisti considerano irrilevante per la propria attività professionale quotidiana. Ciononostante, la giurisprudenza della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Corte EDU, altresì detta Corte di Strasburgo) ha affrontato diverse tematiche legate alla materia tributaria.

In questa sede, ci si concentrerà sulle potenziali conseguenze della nozione autonoma di materia penale vigente nel sistema CEDU. L’obiettivo è quello di fornire ai professionisti del settore alcuni spunti di riflessione sui rapporti tra CEDU e materia tributaria, pur senza velleità di esaurire un tema certamente più vasto.

Il corpo del contributo è diviso in tre parti, seguite da una breve conclusione. Nella prima parte si descriverà brevemente il principio interpretativo delle nozioni autonome elaborato dalla Corte di Strasburgo. Nella seconda parte, si entrerà nel dettaglio della nozione autonoma di materia penale. Nella terza parte, si forniranno esempi delle conseguenze derivanti dall’utilizzo di tale nozione in sede tributaria.

 

2. Le nozioni autonome nella CEDU

Uno dei principi cardine che governano l’interpretazione della CEDU è il c.d. principio delle “nozioni autonome”.

In base a tale principio, le nozioni contenute nella CEDU hanno un significato autonomo e indipendente da quello in uso negli Stati Parte alla Convenzione. Tale significato è determinato dalla giurisprudenza di Strasburgo, la cui conoscenza è quindi essenziale per comprendere la portata della tutela offerta dalla CEDU.[1]

Il principio delle nozioni autonome ha una duplice finalità. Da un lato, esso è strumentale a garantire uniformità di tutela. Alla Convenzione aderiscono infatti 47 Stati: se l’applicabilità delle sue norme dipendesse dalle definizioni che ciascun ordinamento da alle nozioni in esse contenute, si rischierebbe di avere 47 definizioni potenzialmente diverse tra loro, con conseguente difformità di tutela. Si prenda ad esempio l’articolo 8 CEDU, che tutela il “diritto al rispetto della vita privata familiare”. Se la nozione di “vita familiare” dipendesse dalla definizione fornita da ciascun ordinamento nazionale, vi sarebbero ordinamenti in cui le garanzie dell’articolo 8 si applicherebbero solo ai legami derivanti da filiazione legittima e da unione matrimoniale tra persone dello stesso sesso, ed ordinamenti in cui le medesime garanzie si applicherebbero anche a legami nascenti da mera convivenza, o da unioni tra persone dello stesso sesso. L’autonomia delle nozioni CEDU consente invece di avere una tutela uniforme in tutti gli Stati Parte.

Il principio delle nozioni autonome, inoltre, serve a garantire effettività di tutela. Se si lasciasse agli Stati il potere di definire le nozioni contenute nella CEDU, si rimetterebbe loro la libertà di definire il campo di applicazione delle garanzie che a quelle nozioni si riconducono. Si prenda ad esempio l’articolo 7 CEDU, che tutela il principio di legalità in materia penale, tra i cui corollari vi è l’irretroattività. Se uno Stato volesse sottrarre un certo tipo di sanzioni alla garanzia dell’irretroattività, sarebbe sufficiente che definisse quelle sanzioni come “non penali”. L’autonomia delle nozioni CEDU serve dunque ad evitare che gli Stati possano liberamente scegliere come e quando applicare le garanzie convenzionali.

 

3. La nozione autonoma di materia penale

Una delle più celebri nozioni autonome contenute nella CEDU è quella di “materia penale”. L’autonomia di tale  nozione fu affermata dalla Corte di Strasburgo già nel 1976, con sentenza nel caso Engel c. Paesi Bassi, ove giunse alla conclusione che un illecito considerato disciplinare in base al diritto interno avesse natura penale ai fini della Convenzione. Nel far ciò, la Corte elaborò tre criteri (i c.d. criteri Engel), che da allora si utilizzano per verificare se un determinato illecito possa, o meno, attrarre le garanzie che la CEDU riconduce alla materia penale.

I c.d. criteri Engel sono:

1) la classificazione data all’illecito dal diritto nazionale;

2) la natura dell’illecito;

3) il grado di severità della sanzione ricollegata all’illecito.

È importante sottolineare che questi criteri sono alternativi, e non cumulativi: pertanto, se un illecito può essere considerato penale alla luce di uno dei criteri, non sarà necessario verificare anche il ricorrere degli altri.

Il primo criterio costituisce solo un punto di partenza: secondo la Corte, il fatto che un determinato illecito sia classificato come “non penale” (es: amministrativo, disciplinare) dal diritto nazionale ha una valenza meramente formale e relativa, che non esclude (anzi, impone) la verifica del ricorrere del secondo e terzo criterio.

Al fine di stabilire la ricorrenza del secondo criterio (natura dell’illecito), la Corte fa riferimento a diversi fattori, quali:

  • Destinatari della norma che prevede l’illecito:
    • La norma è rivolta solo a uno specifico gruppo o categoria, o ha carattere vincolante erga omnes? (nel secondo caso, è evidentemente più marcata la sua affinità con la materia penale);
  • Scopo della norma:
    • Si tratta di una norma avente finalità compensatoria, o piuttosto finalità repressiva e/o deterrente? (nel secondo caso, la norma persegue finalità tipiche del diritto penale);
  • Presupposto della sanzione:
    • L’imposizione della sanzione presuppone un accertamento di responsabilità?
  • Autorità che impone la sanzione:
    • Si tratta di un’autorità pubblica cui la legge attribuisce poteri coercitivi?
  • Comparazione con altri ordinamenti:
    • Che natura ha il medesimo illecito negli ordinamenti degli altri Stati Parte alla CEDU?

Per un approfondimento su questi fattori, si possono esaminare le pronunce più rilevanti in materia quali: Jussila c. Finlandia, Bendenoun c. Francia, Benham c. Regno Unito, Öztürk c. Germania.

Per quanto riguarda il terzo criterio Engel (grado di severità della sanzione), un elemento dirimente è la limitazione della libertà personale: se tale è la sanzione direttamente collegata all’illecito, o la conseguenza del mancato pagamento di una sanzione pecuniaria, l’illecito sarà “attratto” verso la materia penale. Non è vero, però, l’inverso: una sanzione meramente pecuniaria e non suscettibile di convertirsi in pena detentiva non fuoriesce per ciò stesso dal campo del penale. In tal caso si avrà riguardo, piuttosto, alla sua severità, parametrata normalmente (ma non necessariamente: Gestur Jónsson e Ragnar Halldór Hall c. Islanda) sul massimo edittale.

 

4. Il tributario assume i tratti del penale

Per giurisprudenza CEDU consolidata, il processo tributario non gode delle garanzie dell’equo processo civile (parità delle armi, imparzialità del giudice, ragionevole durata, ecc.), in quanto le “obbligazioni pecuniarie nei confronti dello Stato (…) ai fini dell’articolo 6 paragrafo 1, si considerano appartenere al dominio esclusivo del diritto pubblico, non essendo coperte dalla nozione di “diritti ed obbligazioni di natura civile”” (vedasi il leading case Ferrazzini c. Italia e giurisprudenza in esso citata).

Tuttavia, grazie ad una serie di sentenze fondate sui criteri Engel, e culminanti nel celebre leading case Jussila c. Finlandia, il processo tributario può godere delle garanzie dell’equo processo penale, in parte convergenti a quelle del civile e in parte di maggiore ampiezza (si pensi alla presunzione di innocenza, al diritto ad escutere testimoni, e via dicendo).

L’applicabilità delle garanzie dell’equo processo penale alla materia tributaria dipende dall’esistenza di sanzioni, formalmente amministrative, che in base ai criteri Engel sono da considerarsi penali dal punto di vista CEDU.

Nel caso Jussila, il contribuente aveva subito una rettifica della propria dichiarazione IVA, con conseguente applicazione di una sanzione amministrativa corrispondente al 10% del dovuto. Davanti alla Corte EDU, lamentava che nel processo instaurato in seguito alla sua opposizione non fosse stato garantito il principio di pubblicità e oralità dell’udienza di cui all’articolo 6 CEDU. Tale principio è particolarmente stringente nell’ambito del penale, dove l’accusato ha il diritto di essere presente al fine di poter esercitare diritti specifici quali l’esame dei testimoni a carico e a discarico.

La Corte esaminò la situazione alla base dei criteri Engel, e concluse che la sanzione amministrativa pecuniaria imposta al ricorrente-contribuente avesse natura “penale”, nonostante la relativa modestia dell’importo, in quanto la norma che la prevedeva aveva carattere vincolante erga omnes ed uno scopo repressivo e punitivo.

È evidente che considerare “materia penale” sanzioni amministrative in materia tributaria può avere conseguenze importanti.

Si consideri ad esempio il fatto che, in materia penale, vige la presunzione di innocenza di cui all’articolo 6 comma 2 CEDU. Tale presunzione, in ambito CEDU, opera su due livelli: all’interno del processo (sostanzialmente) penale, e al di fuori di esso.[2] Nel contesto del processo penale, essa impone garanzie concernenti, tra l’altro, l’onere della prova, l’ammissibilità di presunzioni, il principio in dubio pro reo (Barberà, Messegué and Jabardo c. Spagna). Al di fuori del processo penale, la presunzione di innocenza opera nelle procedure collegate (parallele o susseguenti a quella penale) imponendo un considerevole self-restraint sulle affermazioni che gli organi di giustizia possono utilizzare nei confronti di chi non ha ancora visto accertata la sua responsabilità penale (Bohmer c. Germania; Eshonkulov c. Russia), o di chi è già stato prosciolto o altrimenti giudicato non colpevole (Allen c. Regno Unito).

Quid allora del ricorso a presunzioni nel processo tributario che abbia ad oggetto una sanzione sostanzialmente penale? O della condanna in sede tributaria per fatti nei confronti dei quali in sede penale è intervenuta assoluzione?

Si consideri, poi, che in sede penale vige il diritto a rimanere in silenzio e a non rendere dichiarazioni autoincriminanti, considerato dalla Corte di Strasburgo come parte integrante della nozione di un processo penale “equo” (Funke c. Francia). Quid delle sanzioni imposte nei confronti del contribuente che rifiuti di esibire documenti contabili la cui verifica potrebbe portare all’imposizione di sanzioni formalmente amministrative ma sostanzialmente penali?

E ancora: in materia penale vi è il diritto a “esaminare e fare esaminare i testimoni a carico e ottenere la convocazione e l’esame dei testimoni a discarico” (articolo 6 comma 3 lettera d) CEDU). Quid allora di preclusioni circa l’ammissibilità della prova testimoniale?

Su alcuni dei menzionati interrogativi la Corte di Strasburgo si è già pronunciata.

Si consideri il caso Melo Tadeu c. Portogallo. La ricorrente, sospettata di essere amministratrice di fatto di una società che aveva evaso IVA e imposte sui redditi, fu giudicata in sede penale e in sede tributaria per i medesimi fatti. In sede penale fu assolta perché si concluse che il suo ruolo non rispondeva a quello di un’amministratrice di fatto. Il giudice tributario, rifiutando di prendere in considerazione il giudicato penale, dichiarò accertate circostanze di fatto che erano state escluse in quella sede. Questa mancanza fu ritenuta dalla Corte di Strasburgo come una violazione della presunzione di innocenza di cui godeva la ricorrente, poiché in sede tributaria si era posta in discussione l’assoluzione (già passata in giudicato) di cui al penale.

Altro esempio è il caso J.B. c. Svizzera. Il ricorrente fu soggetto a verifiche da parte delle autorità fiscali per la mancata dichiarazione di alcuni investimenti, e conseguente evasione delle imposte dovute. Le autorità domandarono a più riprese al ricorrente di fornire documenti e informazioni circa gli investimenti non dichiarati, e il rifiuto opposto dal ricorrente determinò l’applicazione di una sanzione. La Corte di Strasburgo concluse che, vista la natura sostanzialmente penale della sanzione prevista per l’evasione fiscale della quale il ricorrente era sospettato, sanzionare il suo rifiuto di produrre documenti che avrebbero concorso a incriminarlo costitutiva violazione del suo diritto al silenzio.

Nel caso Chap Ltd c. Armenia, la società ricorrente fu soggetta a verifiche fiscali. Sulla base di documenti, e di testimonianze rese da alcuni clienti della società, le autorità fiscali conclusero per l’esistenza di omissioni nella dichiarazione annuale dei redditi, che fu quindi rettificata con imposizione di una sanzione amministrativa pari al 60% dell’importo dovuto. In sede di opposizione, la società ricorrente chiese di poter esaminare i testimoni a suo carico; chiese, inoltre, l’esame di ulteriori testimoni, grazie ai quali intendeva provare la falsità delle prove documentali. Entrambe le richieste furono rigettate. La Corte di Strasburgo concluse per la natura sostanzialmente penale della sanzione amministrativa imposta alla società. Rilevò inoltre che l’accusa era fondata in via preponderante su testimonianze e documenti rispetto ai quali la ricorrente non aveva potuto esercitare un adeguato diritto di controprova. Concluse, quindi, che era stato indebitamente compresso il diritto della società ricorrente a esaminare testimoni in un procedimento penale a suo carico.

 

5. Conclusioni

I menzionati casi sono solo esempi delle conseguenze, potenzialmente dirompenti, che l’applicabilità della nozione autonoma di “materia penale” adottata dalla Corte di Strasburgo può avere in ambito tributario.

È importante ricordare ai professionisti che la giurisprudenza di Strasburgo concerne sempre casi concreti, ciascuno caratterizzato dalle peculiarità del proprio ordinamento nazionale: pertanto, le conclusioni cui giunge la Corte in un caso non sono necessariamente estendibili in via automatica ad un altro caso.

Ciò non toglie che tale giurisprudenza possa essere uno strumento potente nelle mani del professionista che accortamente la studi, e che sia in grado di desumerne principi consolidati.

Considerato il rango sub-costituzionale attribuito alla CEDU nel sistema delle fonti, i principi consolidati della giurisprudenza di Strasburgo dovrebbero orientare l’operato del legislatore e del giudice nell’interpretazione del diritto nazionale. In caso ciò non avvenga, resta aperta la strada del ricorso alla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo.

 

[1] La giurisprudenza della Corte di Strasburgo è accessibile tramite il database Hudoc; informazioni utili per gli aspiranti ricorrenti sono inoltre disponibili sul sito ufficiale della Corte. Per una raccolta ragionata del materiale in parola, sia consentito il rinvio a Iura Risorse.

[2] Sia consentito il rinvio all’approfondimento giurisprudenziale su “La presunzione di innocenza “oltre” il processo penale”, in Percorsi Penali 2/2021