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Trust: il test di verosimiglianza di Charman

(Charman v Charman [2007] EWCA Civ 503)
Charman Likelihood Test
Charman Likelihood Test

Quello di cui ci occupiamo oggi nella Rubrica si riferisce a un caso, risalente al 2007 e di cui si è avuta da poco, in quest’anno 2020, la sentenza di Appello, che ha destato un certo interesse perché ha affrontato alcune questioni rilevanti in tema di ripartizione del patrimonio fra coniugi in caso di divorzio e, in questo contesto, applicato quello che, dal caso in esame, va sotto il nome di “Test di verosimiglianza di Charman” (Charman Likelihood Test).

Vediamo i fatti.

La causa sorge all’interno di un contesto familiare in cui, a un certo punto i coniugi divorziano. La sentenza di primo grado, risalente al 2007, nel pronunciare il divorzio aveva statuito in ordine alle somme cui la moglie aveva diritto. Si trattava, in questo caso, di un patrimonio particolarmente consistente, pari a 131 milioni di sterline, di cui la moglie aveva conferito 8 milioni di sterline e il marito 123. Secondo il giudice di prime cure il marito avrebbe dovuto corrispondere alla moglie una somma forfettaria di £ 40 milioni, fornendole così un patrimonio pari a £ 48 milioni (pari al 36,5% del patrimonio familiare complessivo ante divorzio), riservando per sé un percentuale del patrimonio pari al 63,5%, equivalente quindi a 83 milioni di sterline.

Al di là del fatto che secondo il marito le somme da riconoscere al coniuge avrebbero dovuto essere molto inferiori (com’era normale attendersi) interessa più che altro soffermarsi sugli argomenti addotti per sostenere tale tesi. Al riguardo occorre ricordare preliminarmente che la legge inglese è molto più generosa di quella italiana riguardo al trattamento da riservare al coniuge, soprattutto nei confronti delle mogli. Mentre infatti in Italia il giudice può stabilire un assegno di mantenimento, in Inghilterra la Corte deve ripartire l’intera consistenza del matrimonial pot, vale a dire del patrimonio di famiglia, un contenitore ideale nel quale confluisce tutto il patrimonio di entrambi i coniugi-esclusi solo, gli acquisti effettuati prima del matrimonio e i beni ricevuti in eredità- da ripartire sulla base del 50% ciascuno.

Come abbiamo visto, la ripartizione è stata effettuata, nella proporzione del 63,5% marito e del 36,5% alla moglie, in considerazione del maggior contributo che il marito aveva dato alla consistenza del patrimonio familiare nonché della maggiore rischiosità degli investimenti presenti nel patrimonio di quest’ultimo rispetto alla parte residuata al coniuge. Questa decisione appare coerente con la prassi dei tribunali inglesi per cui la percentuale del 50% può variare in base a molteplici fattori, quali la durata del matrimonio, il contributo dato da ciascuno dei coniugi in termini di lavoro e alla creazione del patrimonio, l’età e le condizioni di salute dei coniugi.

I motivi dell’appello introdotto dal marito si fondavano in primo luogo sul fatto che il giudice non aveva tenuto sufficiente conto dello speciale contributo arrecato dal marito al patrimonio e, in secondo luogo perché, nel calcolare tale consistenza, il giudice aveva considerato anche un trust, The Dragon Holding Trust, il cui fondo ammontava a 68 milioni di sterline e di cui il disponente era il principale beneficiario. A detta del marito tale fondo non andava considerato fra le “financial resources”, di cui alla s. 25 (2)(a) del Matrimonial Causes Act 1973, trattandosi di un trust dinastico.

Tale trust era stato istituito nel 1987 e in quell’occasione il disponente aveva altresì dato vita, il J.R. Charman Children's Settlement, un nuovo trust istituito a beneficio dei due figli, con un patrimonio del valore di circa 30 milioni di sterline, che il giudice ha, in questo caso, escluso dal calcolo dei beni delle parti.

Dragon è stato istituito il 16 novembre 1987. Il marito era il disponente, e trustee una trust company di Jersey, e di Jersey era anche la legge regolatrice. I beneficiari erano il disponente, la moglie, espressamente indicata, i loro due figli, eventuali figli futuri, ulteriori discendenti diretti del marito (nipoti, bisnipoti), quelle organizzazioni di beneficenza o altri soggetti che i trustees avevano il potere di indicare. Si osserva, incidentalmente, al riguardo, che alcune previsioni, poco compatibili con la Convenzione dell’Aja, sono perfettamente legittime secondo la legge di Jersey.
Al di là di quanto asserito dal disponente, il trust in parola era del tutto discrezionale e i trustees avevano un ampio potere di anticipare il capitale o il reddito a un beneficiario, a meno che ciò non si rivelasse tale da "pregiudicare qualsiasi persona avente diritto a un life interest già costituito o comunque a un altro interest acquisito sul fondo in trust".

Al di là delle apparenze però, il marito avvalendosi di alcune clausole dell’atto aveva fatto in modo di autorizzare i trustees a disporre a favore di un beneficiario a danno degli altri. La s.5 (e) dell’atto istitutivo prevedeva che, nell'esercitare i propri poteri a favore di un beneficiario, i trustees avrebbero potuto "ignorare completamente gli interessi o le aspettative" di qualsiasi altro; e, la s.12 (a), aveva previsto che i trustees avrebbero potuto esercitare i loro poteri a vantaggio di un beneficiario "senza essere obbligati a considerare gli interessi degli altri beneficiari". La s.15 (e) riconosceva infine al disponente (il marito) il potere di rimuovere i trustees.

L’istituzione del trust era stata accompagnata da una lettera di desideri dal disponente al trustee, redatta in modo formalmente corretto. Questo il suo contenuto:
"Potrebbe esserti utile conoscere i miei desideri in merito all'esercizio dei tuoi poteri e della tua discrezionalità sui fondi depositati nel trust di cui sei trustee. Mi rendo ovviamente conto che questi desideri non possono essere vincolanti per te. Le mie reali intenzioni nella creazione di questa sistemazione sono quelle di proteggere e conservare alcuni beni a beneficio mio e della mia Famiglia.

Durante la mia vita desidero essere consultato in merito a tutte le questioni relative agli investimenti o all'amministrazione del Fondo e, dopo la mia morte, dovreste consultare mia moglie nello stesso modo. Se mia moglie mi sopravvive, è mio desiderio che il fondo sia amministrato principalmente a suo vantaggio e che, se necessario, possa godere anche del capitale.

Morti mia moglie ed io, i miei figli devono essere considerati come i principali beneficiari e spero che tu voglia consultare i miei esecutori testamentari e i loro tutori. Se dovesse succedere qualcosa a tutta la famiglia, i fondi oggetto della Transazione dovrebbero essere trattati come la mia eredità.

Nella misura in cui sia coerente con i termini del Trust, desidero avere il più ampio accesso possibile al capitale e al reddito del Trust, inclusa la possibilità di investire l'intero Fondo in iniziative imprenditoriali da me intraprese.

Se le circostanze dovessero cambiare in qualche modo, ti scriverò un'altra lettera ".

Successivamente il disponente provvedeva a rimuovere il trustee, a spostare la sede del trust a Bahamas e a cambiare inoltre la legge regolatrice con quella del nuovo trustee al quale indirizzava una nuova lettera di desideri del seguente tenore:
"Durante la mia vita, vorrei che tu mi trattassi come beneficiario principale, anche se mi aspetto che di volta in volta prenderai in considerazione gli interessi degli altri beneficiari più stretti della famiglia. Prendo atto che hai stabilito di corrispondermi un reddito annuale per la durata della mia vita, come del resto avevano fatto i precedenti trustees.
Dopo la mia morte, e se mi sopravvivono, vorrei i miei figli venissero trattati come principali beneficiari in parti uguali fra loro, per stirpe. Vorrei che i miei figli ricevessero un reddito solo fino all'età di 30 anni, a meno che il trustee non sia di diverso avviso.

Vorrei che prendeste in considerazione la possibilità di mettere a loro disposizione la metà del capitale della quota presunta di ciascuno di essi al raggiungimento da parte di ciascuno dell’età di 30 anni. All'età di 40 anni, vorrei che prendeste in considerazione la possibilità di mettere a loro disposizione l'intero capitale della quota loro spettante."

Come abbiamo detto la linea difensiva del marito-disponente sosteneva che si trattasse di un trust dinastico, volto cioè a privilegiare sostanzialmente i discendenti del disponente.

A fronte di tale affermazione i giudici hanno rilevato:

Mr Charman è il disponente e, da entrambe le letters of wishes risulta che egli vuol essere considerato come principale beneficiario.

Addirittura nella prima lettera egli manifestava il desiderio di avere il più ampio accesso possibile al capitale e al reddito del trust, con la possibilità di investire l’intero fondo in affari da lui stesso intrapresi. Entrambe le lettere, anche se esprimono solo un desiderio del disponente, e non sono vincolano pertanto il trustee a uniformarvisi,  sono incompatibili con un trust dinastico;

Mr Charman aveva mantenuto un sostanziale potere di controllo sul trust (possibilità di rimuovere i trustees).

Per quanto attiene al reddito, i trustees consideravano il trust come un interest in possesion trust istituito cioè a beneficio di Mr Charman con esclusione quindi di ipotizzare una ripartizione del reddito a vantaggio di altri beneficiari diversi da lui.

La ricchezza del fondo era frutto di investimenti posti in essere d’accordo con Mr Charman e i trustees avevano seguito le sue indicazioni di investire nel campo delle assicurazioni.

In sintesi, il trust rappresentava una componente essenziale nella pianificazione finanziaria e fiscale complessiva del disponente.

Effettuate queste considerazioni i giudici infine si sono concentrati sul test di verosimiglianza di Charman ponendosi la domanda che è risultata poi dirimente:

"se il marito dovesse richiedere al trustee di anticipargli la totalità o parte del capitale o del reddito del trust, il trustee, agendo in conformità con i suoi doveri, sulla base di una valutazione delle probabilità, potrebbe probabilmente aderire a tale richiesta?" E rispondendo a tale domanda, i giudici hanno dato una risposta affermativa.

Quindi il test non è stato superato, o ha consentito di giungere a una corretta conclusione perché è apparso verosimile che il trust essendo sostanzialmente gestito dal disponente, ed essendo stato essenzialmente istituito a proprio vantaggio, al di là delle indicazioni nello stesso contenute, non integrava un dinastico e pertanto doveva esser considerato a pieno titolo come parte del matrimonial pot da ripartire con l’altro coniuge.

Fatte queste considerazioni non è dubbio poi che il giudice abbia in certo senso recepito le istanze di Mr Charman in ordine alla special contribution a lui ascrivibile riguardo al Dragon Trust.

Non c’è dubbio infatti che Mr Charman abbia apportato la maggior parte del fondo e che i guadagni dal trust realizzati siano stati dovuti alle indicazioni fornite circa gli investimenti da porre in essere. Questo particolare apporto non sembra però essere stato adeguatamente apprezzato dal giudice che non si è discostato in maniera troppo marcata da quella ripartizione paritetica indicata dalla legge (inglese). Ma ciò integra una valutazione di merito non impugnabile se adeguatamente motivata potremmo dire con un linguaggio che ci è abituale.

Dai puntuali rilievi effettuati dai giudici sulla struttura del trust e sulle criticità che questo presentava se non altro perché, di fatto, erano state svuotate le finalità per le quali il trust era stato istituito, ci si è chiesti perché i giudici non abbiano dichiarato sham il trust per i rilievi effettuati che sembrano richiamare in proposito l’applicazione della massima donner et rétenir ne vaut, sia perché dallo svolgimento dei fatti l’atteggiamento del trustee, o meglio dei trustees che si sono succeduti appare un po' troppo supino rispetto ai “desideri” manifestati dal disponente nelle letters of wishes tanto è vero che gli stessi trustees ritengono di trovarsi di fronte a un interest in possesion trust.

Quanto al primo punto, al di là della prima impressione, la tesi non sembra che possa essere facilmente sostenibile perché siccome il testo dell’atto e delle letters appaiono formalmente ineccepibili, sia nell’individuazione dei beneficiari successivi, per i puntuali riferimenti fatti al coniuge e ai figli, il  discorso si sposta sul rapporto disponente trustee per vedere se il secondo sia stato prono ai voleri del primo. A questo proposito occorre considerare che per la legge di Jersey è più difficile, rispetto a quanto accade secondo la legge inglese, giungere a far dichiarare sham un trust.

Secondo la giurisprudenza inglese, infatti, è sufficiente la lettura dell’attività del disponente e del trustee perché l’intento simulatorio si appalesi facilmente. Quanto alla legge di Jersey (A.K. MacKinnon v The Regent Trustee company Limited ecc [2005] JCA 066 ) invece,  è “l’intenzione comune delle parti di creare nei terzi una falsa impressione elemento costitutivo dello sham”. Pertanto, si richiede la presenza di “un’intenzione simulatoria comune a disponente e trustee” e quindi una sorta di concertazione dolosa, un disegno preordinato, che, ovviamente, risulterà ben più difficile da provare.

Pertanto, anche sotto questo profilo sembra arduo riuscire a dimostrare la presenza di un’intenzione simulatoria comune, e quindi la presenza di un disegno preordinato fra questi due soggetti per operare a vantaggio del solo disponente trascurando i diritti degli altri beneficiari. Di conseguenza non sembra che si possa sostenere in maniera fondata la tesi del trust sham in questo caso.