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Trust: se finiscono i soldi il trustee deve attivare il tribunale per tutelare i creditori

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È tornato alla ribalta qualche mese fa, a seguito della intervenuta sentenza in sede di appello, un caso che aveva suscitato non poco interesse alcuni anni addietro, noto come gli Z trusts.

Nell’occasione, la Royal Court di Jersey aveva fornito indicazioni sulle problematiche che si pongono ai trustees di un trust che si trovi in una situazione di insolvenza.

Premesso intanto che un trust, in quanto tale, non può essere insolvente, e che quindi il termine insolvenza riferito al trust è impropriamente utilizzato perché non avendo il trust personalità giuridica sarà semmai il trustee a essere dichiarato insolvente, le sentenze pronunciate si riferiscono a tre giudizi ([2015] JRC 031, [2015] JRC 196C e [2015] JRC 214) complessivamente individuati come Z trusts.

Nel caso ZIII, il trustee, rilevata una situazione di insolvenza, aveva già richiesto e ottenuto un’ordinanza secondo cui avrebbe dovuto amministrare il trust sotto il controllo della Royal Court. Nel caso ZII, l’ex trustee rivendicava il diritto al ristoro dei costi sostenuti in relazione a un giudizio, nel quale era risultato vincitore, oltre ad altre spese relative a un diverso contenzioso pendente. La situazione debitoria constava anche delle spese professionali del nuovo trustee e di prestiti concessi al trustee da parte di componenti della famiglia. ZII aveva inoltre goduto di un prestito da parte di ZIII il cui valore attuale non era facilmente determinabile. Di fronte a una situazione giudicata compromessa, il trustee chiede e ottiene istruzioni alla Corte. Al tempo stesso una signora siriana beneficiaria di questi trust esercitava il potere attribuitogli dall’atto nominando ulteriori trustees, nomina contestata dall’attuale trustee.

A). Secondo la Corte, quando un trust (semplificazione lessicale), in base all’applicazione del c.d. cash flow test (cd. Test del flusso di cassa) diviene insolvente, o è prossimo a divenire tale, il trustee non può restare inerte e, a quel punto, si opera un significativo cambiamento di scenario perché l’attenzione del trustee si sposta dai beneficiari (che in qualche modo vengono temporaneamente accantonati) ai creditori (considerati nella loro globalità, e il cui trattamento sarà dunque improntato alla par condicio) la cui approvazione e la cui fiducia il trustee dovrà ottenere in ordine alla futura gestione del trust, oltre che per quanto riguarda la percezione del suo compenso.

La gestione dell’insolvenza prevede in teoria varie alternative;

  • Il trustee assume il ruolo di "trustee liquidatore" sotto la supervisione della Corte;
  • Il trustee nomina un curatore fallimentare per assistere il trustee nella liquidazione delle attività del trust;
  • La Corte nomina un curatore fallimentare indipendente in relazione a ciascun trust, estromettendo di fatto il trustee dalla gestione dell’insolvenza

In questo caso la Corte, anche al fine di ridurre i costi, ha optato per la prima soluzione e, incidentalmente, ha annullato anche la nomina di nuovi trustee effettuata dalla beneficiaria siriana, atteso che la stessa, pur avendone il potere, lo aveva esercitato nell’interesse dei beneficiari, che in parte erano anche creditori, uti singuli, ma non in quello dei creditori come classe, che come tali dovevano essere prioritariamente considerati nel rispetto del principio della par condicio.

Questa non era la sola soluzione possibile anche perché la Corte aveva precisato, nella fattispecie sottoposta alla sua attenzione (Re Z Trusts [2015] JRC 196C), che il trustee di questo trust avrebbe dovuto essere così saggio e avveduto da esercitare i suoi poteri o col consenso di tutti i beneficiari o sotto la supervisione di una Corte. Pertanto, in caso di insolvenza, se tutti i creditori sono d’accordo, non è richiesto obbligatoriamente l’intervento del Tribunale.

B). Un altro aspetto preso in considerazione dalla sentenza riguardava il diritto alla percezione di un giusto compenso da parte del trustee e alla possibilità di vedersi riconosciuto un privilegio sui fondi del trust in ordine alla riscossione di quanto a questi dovuto per l’attività svolta, secondo quanto riconosciuto in Investec Trust (Guernsey) Limited-v-Glenalla Properties Limited and Ors [2014] (29 October 2014, Guernsey CA).

Coerentemente a quanto deciso nel caso citato, la Corte ha ritenuto che il trustee avesse, anche in questo caso, titolo per reclamare il compenso e per bloccare la corrispondente parte del fondo in trust con priorità rispetto ai diritti dei beneficiari.

Nel 2019 (Re Z Trusts [2019] JCA 106) si è avuta la sentenza di appello da cui possono trarsi alcuni ulteriori e interessanti spunti di riflessione.

Il punto di partenza è che, in caso di insolvenza, si abbia la supervisione sull’amministrazione del trust da parte di una Corte nell’interesse dei creditori considerati come classe. La procedura da adottare dipenderà dalla complessità del caso, ma la Corte non potrà dare indicazioni al trustee sulle cose da fare, che esulino dai poteri attribuitigli dall’atto di trust; d’altro canto il potere della Corte di nominare in queste circostanze receivers, e cioè pubblici funzionari titolari quindi di una funzione pubblica, rientra nella inerente giurisdizione della Corte che quindi può estrinsecarsi in questa direzione come in Re Z Trusts [2015] JRC 214.

Rimane confermato il diritto del trustee, anche di quello che nel frattempo sia cessato dall’ufficio, di soddisfarsi sui beni del trust con previlegio rispetto ai beneficiari.

La sentenza afferma che i trustee hanno ragione di aspettarsi, soprattutto in presenza di situazioni complesse, un intervento da parte della Corte, il cui scopo principale è quello di assistere coloro che si occupano dell’amministrazione dei trust per risolvere le loro divergenze e per cercare una guida giudiziaria in un contesto ordinato ma in modo relativamente informale e flessibile (Jersey Evening Post -v- Al Thani 2002 JLR 542). E del resto la s 51 della Trust Jersey Law e la s.69 della Guernsey Law attribuiscono un ampio potere discrezionale alla Corte di impartire ordini a un trustee laddove ritenuto opportuno.

La decisione della Corte ha riguardato anche la relazione intercorrente fra gli equitable rights del trustee che sia cessato dal suo incarico e quelli di tutti coloro che vantano delle pretese sul fondo in trust rispetto ai quali il trustee ha diritto di essere soddisfatto con precedenza.

Quanto a questi ultimi la sentenza ribadisce la priorità del diritto del trustee sul fondo, rispetto ai diritti dei beneficiari, con alcune ulteriori precisazioni:

  • se vi sono più trustee, alcuni attuali e altri cessati, viene soddisfatto prima il diritto di questi ultimi;
  • se un creditore sa che un trustee agisce come tale, le sue pretese riguarderanno solo la proprietà del trust;
  • l’ordine delle priorità rimane inalterato sia quando il trust è solvibile sia quando diviene insolvente;
  • i diritti dei trustees a ricevere il compenso e al previlegio sul fondo sono diritti permanenti (continuous) e il loro ordine dipende solo dalla data in cui ciascun trustee è stato nominato come tale.

Quindi questa sentenza offre alcuni interessanti indicazioni che, con i debiti aggiustamenti, possono servire anche nel caso in cui una situazione di insolvenza si verifichi in un contesto interno.

Il punto centrale è quello per cui, in questi casi, e dopo aver ricordato che l’insolvenza di un trust interno dovrà essere apprezzata sulla base delle disposizioni e della giurisprudenza vigenti e non sulla base dei criteri cui sopra si è fatto cenno, il trustee non può restare indifferente, ma deve adire la Corte, quindi deve chiedere l’intervento della magistratura. Ma in qual modo?

Evidentemente le indicazioni valide per altri ordinamenti (Jersey e Guernsey) non sono replicabili in un trust interno, a ciò ostando le norme di salvaguardia che sottraggono alla discrezionalità degli interessati la gestione della procedura di liquidazione in caso di insolvenza e l’applicazione della normativa vigente secondo l’insegnamento di Cass.10105/2014. Pertanto il trustee di un trust interno dovrà comportarsi come l’amministratore di una società e portare i libri in tribunale. Al tempo stesso non avrà diritto ad alcun previlegio per quanto riguarda i compensi maturati per l’attività svolta. Infatti sarà trattato alla stessa guisa degli altri creditori, nel rispetto della par condicio.

Questo è però solo uno degli scenari che si possono presentare, nel senso cioè che le situazioni astrattamente ipotizzabili possono presentare un tasso di gravità differente e non comportare necessariamente il ricorso alla procedura fallimentare.

Prendiamo per esempio l’ipotesi tutt’altro che remota di un trust in cui sia conferito l’immobile destinato ad abitazione (a titolo gratuito) da parte del disponente, e quindi non produttivo di reddito, senza ulteriori cespiti, con un trustee terzo la cui dotazione iniziale sia venuta a mancare e che non disponga dei mezzi per far fronte alle spese correnti né per prelevare il proprio compenso.

Questa situazione si è prodotta in un caso di cui mi è stato riferito, in cui il disponente, che godeva a titolo gratuito dell’immobile conferito in trust nel quale abitava, aveva inizialmente dotato lo stesso di disponibilità liquide, ma poi, venute queste a esaurirsi, non aveva più provveduto ad alimentarle, come in precedenza aveva fatto, pur continuando a pagare direttamente, quindi senza transitare attraverso il trustee, le imposte gravanti sull’immobile nonché, per qualche anno, anche il compenso al trustee.

Il trust in questione prevedeva altresì che il trustee potesse attingere solo alla parte liquida del fondo per il pagamento delle proprie competenze, escludendo però la possibilità di potersi rivalere sull’immobile. Il trustee, a sua volta, aveva lasciato che questa situazione si incancrenisse per sette o otto anni, maturando un credito non indifferente verso il fondo in trust, in realtà verso sé stesso, pretendendo che il disponente facesse fronte al suo compenso come in precedenza era stato.

Il caso si presta ad alcune considerazioni sul comportamento delle parti e più in generale su come debbano affrontarsi situazioni del genere.

Per una migliore intelligenza delle cose, si premette che la crisi di liquidità si era determinata perché il trust avrebbe dovuto essere destinatario anche di altro immobile, produttivo di reddito, ma tale conferimento non aveva avuto poi luogo. Di qui l’esaurimento dei fondi.

A mio avviso, in base agli elementi a disposizione, il trustee ha avuto un comportamento censurabile.

Il trustee infatti ha continuato a rivolgersi al disponente come se questi fosse stato il soggetto tenuto a coprire i costi del trust. Il disponente, dal canto suo, ha concordato il compenso con il trustee, ma non ha assunto alcuna obbligazione di pagamento nei suoi confronti e neppure in ordine al pagamento delle imposte o a quelle altre spese necessarie per la gestione dell’immobile. Ergo, il disponente non può essere il destinatario delle richieste del trustee, né il fatto di essersi per alcun tempo accollato alcune spese può legittimare il convincimento che così debba continuare ad essere in futuro.

In secondo luogo, il trustee non ha interessato, come avrebbe dovuto, il giudice per ricevere indicazioni (Beddoe Order) o per sollecitare l’esercizio della inherent jurisdiction da parte del Tribunale.

Infatti, aver completamente trascurato questa strada ha non solo fatto sì che il debito del trust sia andato incrementandosi a vantaggio del trustee, ma così facendo, ha agito, da un lato in conflitto di interessi privilegiando il proprio tornaconto (facendo lievitare il suo compenso) in danno ai beneficiari, e, dall’altro, è venuto meno al dovere fiduciario che gli avrebbe imposto di preservare in primo luogo gli interessi dei beneficiari e che gli avrebbe probabilmente imposto di dimettersi salvo avanzare le sue pretese nei confronti del nuovo trustee.

Non appare quindi del tutto paradossale sostenere che il trustee debba risarcire il danno arrecato e che quindi in sostanza non abbia diritto a nulla, o in ipotesi a una somma assai minore di quella reclamata.

Si potrebbe obiettare che siccome il trustee poteva far valere le sue pretese sulla parte liquida del fondo, essendosi questa esaurita, i beneficiari non avrebbero risentito della situazione perché l’immobile non poteva essere aggredito, neppure a tal fine.

Anche questo argomento però non sembra aver pregio perché, stante la funzione “creativa” che la Corte, e conseguentemente anche un tribunale, avrebbe potuto esercitare, forse una soluzione in termini di equity – in base a una massima tipica di questa giurisdizione secondo cui: “l’equity non tollera che non possa esser trovato rimedio a un’ingiustizia o a un torto” – si sarebbe potuta trovare, una volta stabilito se era il trustee ad aver subito un torto per non essere stato pagato, o i beneficiari a dover essere risarciti a causa della condotta da questi tenuta.

Ma anche in questa ipotesi il prossimo trustee si troverebbe sempre a dover combattere con il problema della liquidità cui, indipendentemente dalla soluzione di questa diatriba, dovrà comunque esser trovata una via d’uscita all’impasse generatasi. Il fatto che i beneficiari siano minori e che l’immobile sia destinato ad abitazione del disponente per la durata della sua vita non facilita le cose.

Infatti il trust, in carenza di liquidità non sembra possa proseguire a meno che, revocato l’attuale trustee e nominato nel ruolo un genitore dei minori beneficiari, che possa svolgere gratuitamente il suo lavoro, si risolva giudizialmente la controversia con l’originario trustee, le cui spese, ove dovute, saranno, in ultima analisi, i genitori dei beneficiari a dover sostenere, soluzione che alla fine appare, di fatto, la più ragionevole.